Letizia Battaglia muore a 87 anni, dopo aver amato Palermo visceralmente.
Fotografa di fama internazionale, animatrice culturale, impegnata in politica, ha raccontato i tanti volti della sua città, e poi la mafia e quel suo scatto dell’omicidio di Piersanti Mattarella, divenuto poi celebre.
“Io con la macchina fotografica al collo, scatto dal finestrino. All’interno della macchina c’è il corpo di un uomo che viene trascinato fuori da un altro uomo. Avevano sparato al presidente della nostra regione ”
Queste le parole di Letizia Battaglia mentre racconta gli eventi accorsi nel 1980 al quale provava a prestare soccorso il fratello Sergio.
La fotografa si trasferisce poi a Milano nel 1970, ma resta legatissima alla sua terra.
Ha testimoniato con il suo lavoro la stagione del terrorismo a Palermo; realizza le immagini degli omicidi di mafia, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Collabora con le più importanti agenzie internazionali e nella sua carriera hanno celebrato la sua arte, con mostre e premi in Italia ma anche all’estero.
Uno sguardo severo il suo, ma sempre con una luce di speranza.
“Noi eravamo in balia della mafia. Perché c’erano anche politici collusi. La figura oggi di Mattarella come presidente della Repubblica è di grande speranza”.
Dotata di personalità, carattere e carisma, riversava ogni dettaglio di sé nei suoi scatti che, come lei stessa diceva, erano diversi quando puntava l’obiettivo sui dettagli di Palermo. Trovava le giuste inquadrature, poneva lo sguardo geometricamente rispetto ai luoghi, trovava un senso, e quelle immagini in bianco e nero, durante le stragi di mafia, erano d’obbligo, per evitare che il colore del sangue distogliesse da tutta la scena rappresentata, che nelle sue foto pulsava di umanità violata. Realtà e nessuna censura nelle sue immagini, che hanno assunto nel tempo uno straordinario valore anche storico, considerato che ha immortalato un’epoca, e che poi sono finite nell’archivio dei ricordi di Letizia Battaglia e nelle mostre, come quelle “sospese nel vuoto” nella mostra al Maxxi di Roma nel 2017.
In quella mostra attaccata ad un muro anche il telegramma che Letizia Battaglia ricevette dalla mafia che le ordinava di lasciare Palermo, altrimenti l’avrebbero fatta fuori.
Ma lei mai si fece intimorire.
Non era solo una fotografa, ma una vera fotoreporter alla quale fu riconosciuto il Premio Eugene Smith, a New York. Lei prima donna europea a ricevere quel premio, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il famoso fotografo di Life. Nel 2017 il New York Times l’ha citata come una delle undici donne straordinarie dell’anno. Enorme il suo contributo dato al teatro, all’editoria e alla promozione della fotografia come disciplina.
La sua attenzione anche verso il mondo femminile, che ha fotografato fino all’ultimo giorno, come il suo progetto sui nudi di donna, corpi non sexy ma belli, veri e sinceri. I soggetti erano tutte sue amiche. Il ricordo poi della bambina con il pallone, che Battaglia ha rincontrato da adulta, dopo 38 anni, trovandosi dinanzi una donna bellissima, buona, gentile, che ha vissuto la sua vita distante da quella realtà anche se mai la fotografa l’aveva dimenticata perché mai avrebbe potuto dimenticare quello sguardo così greve incastonato in occhi da bambina.
“Nessuna tecnica, solo passione”
Diceva quando le chiedevano se i suoi scatti fossero istintivi o se seguissero una tecnica.
Un delle sue ultime riflessioni fu proprio sulla vita:
“Bisogna lavorare sodo, solo così si giunge alla conquista di qualcosa di vero e non effimero. Perché la vita è stupenda, io ho 84 anni e la considero ancora e sempre piena di sorprese. E in rapporto a questa meraviglia bisogna impegnarsi molto; con gioia, ma anche sfacciatamente. Ecco: con coraggio. Il coraggio ci vuole, lo dico anche a me stessa”.