Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h
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Ci risiamo. Tutte le volte la stessa storia. Il fatto che siano persone famose non autorizza la massa a criticare, sputare veleno, giudicare.

Il fatto che una persona famosa scelga di raccontare quello che gli sta accendendo e le scelte intraprese non autorizza i fan (o i detrattori) a esprimersi in commenti ignobili, pieni di odio e di deliri di onnipotenza che in realtà recano in sé un analfabetismo emotivo e  funzionale.

Nel mirino degli stupidi e livorosi a questo giorno è finito Tiziano Ferro che ha annunciato di essersi lasciato con suo marito. Che poi lo ha fatto anche per spiegare perché non potrà onorare degli impegni presi in Italia: deve prendersi cura dei suoi figli in questo momento doloroso della sua vita e non può portarli con sé.

Ora, se non c’è “la donna di turno” con cui prendersela (perché se una coppia scoppia la colpa nella coppia etero è sempre della donna) allora prendiamocela con i gay! Tutti e due, su, tanto “sono loro che per loro stessa natura si prestano alla flagellazione mediatica degli omofobi”.

È aberrante leggere commenti di chi li accusa di essersi lasciati “troppo presto”, come se tra etero non ci si lasci dopo 4 anni.

E poi le critiche piene di odio contro la scelta dell’adozione della coppia, perché gente che non sa manco cosa sia per davvero l’utero in affitto, si permette di criticare, accusate, giudicare scelte altrui. Io vorrei vedere le loro di scelte, le loro di vite, le loro di schifezze, senza avere i riflettori addosso.

I figli delle coppie omogenitoriale vivono le stesse situazioni dei figli delle coppie etero.

La separazione – legittima e a volte necessaria perché consapevole – può fare soffrire un figlio tanto quanto vedere e avvertire che i genitori non si amano più. Ma questo accade sempre, non “di più” se ci sono due mamme o due papà.

C’è in giro tanto odio. Ma non è solo quello.

C’è in giro tanta ignoranza. Una ignoranza radicata, così tanto radicata che non solo è sempre più difficile sradicare, falciare, annullare, ma che diventa ogni giorno di più cattiveria.

Tabucchi diceva che l’ignoranza non è un vuoto da riempire, altrimenti sarebbe facile sconfiggerla; basterebbe riempirla di cultura, di sapere, di gentilezza. L’ignoranza è un muro, che ti tocca buttare giù o scavalcare. Immaginatela, la fatica di fare questo.

L’ignorante (omofobo) crede che l’omosessuale debba “scontare” la sue scelte e il suo essere e pertanto non può agire secondo il suo sentire, ma deve seguire “la retta via”. Come se la coppia omosessuale sia immune ai problemi, alle difficoltà emotive e non, o all’amore che finisce. Qui siamo alla follia pura.

Vorrei ricordare che ci sono coppie che durano una sola stagione e sulla carta (e solo sulla carta) invece, durano per tutta la vita, uniti da mutui da pagare e debiti senza fine. E continuano a vivere in maniera tossica rapporti che degenerano ogni giorno di più. Però criticano le coppie che onestamente si lasciano.

Poi la domanda regina è stata “chi deve pagare gli alimenti a chi”.

Se non facesse così tanto schifo tutto questo, direi che queste persone che si esprimono in taluna maniera, mi fanno pena.

Nelle coppie omosessuali succede quello che succede tra esseri umani. Tutto qui. Fatevene una ragione. Ci si ama, non ci si ama più, ci si lascia, si crescono i figli con amore anche da separati.

Tiziano Ferro con la stessa delicatezza con cui parlò del suo amore per l’uomo che poi divenne suo marito, oggi parla della separazione da Victor.

Mi domando ancora (perché non mi capacito) come si faccia a mettere bocca nella vita e nelle scelte degli altri.

Perché imparare a tacere, se non si sa empatizzate, dovrebbe essere una regola di buongusto, oltre che di buonsenso.

Sembrerebbe l’ennesimo colpo di scena nella lunga storia giudiziaria che dal lontano 18 novembre del 1989 è alla ricerca del responsabile della morte del calciatore Donato Bergamini, deceduto a Roseto Capo Spulico. Che non fu un suicidio ormai è certezza, e allora la verità sembrava essere davvero vicinissima. A processo, l’allora ex fidanzata del calciatore Isabella Internò, imputata con l’accusa di omicidio volontario, in concorso con ignoti; un processo che mira a far luce, una vota per tutte sulla morte del calciatore.

La notizia del giorno è che l’imputata, non si sottoporrà ad esame (non testimonierà in aula) ma – fanno sapere i suoi avvocati Angelo Pugliese e Rossana Cribari – la stessa Internò rilascerà dichiarazioni spontanee prima della fine del processo.

Non stiamo qui a fare supposizioni circa questa scelta, però una considerazione viene spontanea.

Scelta legittima, ci mancherebbe, ma così facendo appare “menomato”  lo spirito del contraddittorio, su cui si fonda il nostro processo penale.

Ci troveremo dunque, davanti ad una sorta di monologo che non avrà certo le dinamiche di un contraddittorio, con tutto quello che reca in sé.

Tocca mettersi comodi, ed attendere il finale.

Cè chi non vuole più prendere la macchina.
Si vive nella paura. Paura di morire per mano di chi incrocia la propria vita.  Non siamo più padroni della nostra vita una volta che ci mettiamo in macchina: È una perenne roulette russa. Siamo pendine nelle mani di chi decide di vivere sulla strada nella maniera più spregiudicata possibile e senza il minimo rispetto delle regole (non solo del codice della strada).
Le stragi del sabato sera, i giovani che sfrecciano in curve a velocità folle, in diretta Facebook, famiglie distrutte e tutte le problematiche che stanno dietro ognuno di questi incidenti che sono evitabili ma che sembra nessuno voglia evitare davvero.
La morte e la paura della stessa non inibisce azioni pericolose. La vita vera non ha nulla a che fare con i videogiochi dove se “muori”, alla fine trovi sempre un modo per riavere “una vita”. La vita vera non è come nei videogiochi, la vita virtuale ha una forma circolare, la vita vera è una linea che dovrebbe poter continuare a camminare, ma che viene interrotta da chi pretende di poter essere invincibile e di potere tutto.
Lo strazio del dolore dei genitori che perdono i propri figli. Intere comunità sotto shock.
Ragazze che muoiono perché fuori alle discoteche non si trovano mezzi per rientrare a casa, e non ci sono taxi per riportarle a casa. Ragazze che muoiono perché non hanno alternative, costrette ad accettare un passaggio. I ragazzi a 20 anni bevono, difficile impedirlo. Ma non ci sono alternative, forse servirebbe pensare a questo.
Contromano nella corsia degli autobus. Poi il giovane di Cagliari ha cercato di rimediare ma finisce sul cordolo tra le due corsie, la macchina si accappotta, finisce a testa in giù. I ragazzi seduti avanti sono morti sul colpo, quelli dietro sono stati sbalzati. Due sono morti, due sono ricoverati e non ricordano nulla.
Omicidio stradale plurimo.
In 6 in macchina, e andavano veloce.
E siamo sempre alle solite.
Finale tragico.
In due giorni sono morte 8 persone.
E queste stragi continuano e continueranno in una scia infinita.
E poi investiti ciclisti, anziani.
Consumo di droga e alcol continua a salire.
I controlli non sono abbastanza.
Distrazione da uso del telefono cellulare.
La lista è lunghissima delle irregolarità che si consumano sulle strade.
420 vite perse dall’inizio dell’anno.
30 solo nell’ultimo fine settimana.
Siamo genitori che mandiamo i figli a scuola (e magari vengono investiti sulle strisce), che vanno al cinema (e vengono investiti mentre camminano a piedi su un marciapiede da macchine impazzite in mano a giovani drogati); Siamo genitori di ragazzi che il sabato sera escono con gli amici e se squilla il cellulare non sappiamo quale sia la condanna che ci attende.
I controlli vanno fatti anche di giorno. Ci sono persone che fanno uso di cocaina anche di giorno, che bevono anche di giorno.
Possiamo fare tutte le riforme che vogliamo ma se non ci sono i controlli sulle strade anche di giorno, controlli seri e mirati, continueremo ad essere pedine nelle mani di coloro che non hanno nessun rispetto per le regole e per il prossimo.
Per Frud si trattava di “pulsione di morte”.
Oggi si osservano comportamenti che apparentemente sembrano di vita ma che in realtà sono violenza verso se stessi e verso gli altri. Morte fisica ma anche della personalità, voglia di distruggersi e di distruggere lasciandone memoria.
La distruttività come un boomerang.
Inconsapevole “pulsione di morte”.
Fermarla, è un dovere.

Non immaginavo si potesse vivere una esperienza emotiva così forte; eppure è successo.

Giovane, con tanto da dire e da dare, il mondo di Madame – in concerto ieri al teatro dei ruderi di Cirella – è proprio un castello con le finestre senza vetri, ci entrano sole e intemperie.

Non è disinibita, è viva.

È lei, unica, piena di carattere e di appeal, e mentre si racconta, racconta via, verità e vita di una giovane che ha già vissuto tante vite.

Ogni parola ha un peso, alcune di esse sono così affilate che ti trafiggono dentro l’orgoglio e la paura di essere pieni di tormenti.

Coinvolge, avvolge, accoglie e contagia con il suo modo di essere autentica e pungente.

Il concerto, straordinario, è diviso in due parti; una più intimistica e l’ultima che ha l’aria della festa.
La sua autenticità che si sposa con il suo essere austera, è estremamente accattivante. Parla al suo pubblico, spiega ai genitori dei tanti adolescenti presenti che da un certo momento in poi “si fa sul serio” nel senso che ci sono pezzi come “Pensavo a” che sono adatti solo ad un ascoltatore adulto e consapevole. Ma quel suo pubblico la ama, la cerca, la capisce, perché lei “ti entra dentro” e ti toglie quel velo di rigidità che il vivere comune di consegna.

Dal vivo, senza la sovrastruttura degli effetti, arriva la voce intonatissima e calda di una delle migliori cantanti in circolazione che a mio avviso, per i suoi testi, finirà nei libri in cui si parla di cantautorato, ed io le auguro di restare così, ossia capace di prendere il groviglio che ha dentro, attraversare notte e note, per riconciliarsi con il mondo e con tutti coloro che la amano.

Avatar,  Quanto forte ti pensavo, Tu mi hai capito, Nimpha, Baby, Donna Vedi. Parte così il concerto e lei assolutamente a suo agio, canta e incanta. Il pubblico la segue e le racconta tutto l’amore che lei riesce a donare.

Per la prima volta dal vivo fa “La festa della cruda verità”.

Racconta come è nata quella canzone; Dardust le porta una musica che suona proprio come una tarantella. Lei immagina una grande festa di paese, dove si fa un gioco collettivo: dire sempre e solo la verità.

La canta e dopo invita il suo pubblico confessare un segreto.

“Tutti dovrebbero averne uno” e a volte confessarlo, fa sentire liberi.

È strano e affascinate il suo modo di essere così travolgente, ma con classe.

Ha classe Madame, sa quello che vuole e non ha paura di chiederlo.

È colta Madame, conosce la musica, la metrica e ha una capacità di porre gli accenti sulle parole affinché il significato si mescoli alla musicalità.

È unica, Madame con i suoi 21 anni che trasudano passione e follia, dolore e sorrisi.

Che in quel suo sorriso – con i suoi “denti in ordine sparso” come canta in “17”, in cui racconta dell’importanza dei rapporti, fuori da quella voglia di apparire e di buttarsi via – c’è il senso di tutto.

Non pensavo di riuscire a provare un pugno nello stomaco, quando ha cantato quella che per me è e resterà una meravigliosa poesia che solo un’artista ispirata e capace di capire ciò che conta veramente, poteva scrivere.

“Per il tuo bene” Madame la canta seduta su uno sgabello ed è subito magia.

Regala al suo pubblico anche la sua prima canzone, la dedica a tutti coloro che la seguono dagli inizi, da quando aveva 17 anni.

Con “Schiccherie” dimostra tutta la tua bravura nella gestione della prosodia, dell’uso degli accenti che “si baciano” con il testo … e che testo!

La seconda parte del concerto è festa.

Invita il suo pubblico ad avvicinarsi al palco.

Balla Madame, è disinvolta nella sua fisicità, è piena di energia pura, è travolgente.

Aranciata, Voce, Bene nel male, Marea, Techno poke.

È festa, è tutto perfetto, è un mondo da attraversare.

Con lei sul palco Dalila Murano (batteria), Karme (Carmelo Caruso) (tastiere), Estremo (Enrico Botta) (consolle) ed Emanuele Nazzaro (basso), tutti all’altezza di questa artista.


Grazie Madame.

Hai ragione tu l’amore è solo di chi prova amore, è la più bella delle bugie, il più studiato degli inganni, il più persuasivo dei discorsi.

Sei Amore, tu, nelle sfumature più profonde e affilate di questo sentire chiamato vita. 

 

Eh mai io no, io non sono così.

Non si sta qui a dividere i buoni dagli stupratori.

C’è bisogno di una collettiva presa di coscienza; perché alcuni accadimenti sono frutto di una metodica errata, che disconosce la responsabilità di educare i giovani al rispetto dell’altro.

Non esiste più il dialogo tra genitori e figli, non esiste l’educazione sessuale, non esistono più filtri e tutto questo è aberrante tanto quanto gli ultimi fatti di cronaca che raccontano di uno stupro di gruppo da parte di giovanissimi – completamente fuori da ogni limite e da ogni regola – ai danni di una ragazza che oltre al danno, ha subìto l’umiliazione da parte di chi pensa di avere il diritto di giudicarla e di apostrofarla in maniera subdola e meschina.

Vi è una responsabilità collettiva; in primis genitoriale, perché questi ragazzi violenti, stupratori, esaltati, sono il frutto di una completa assenza genitoriale, perché non vi è solo una mancanza di educazione alle regole, ma spesso sono figli di genitori che incitano alla virilità, che non mettono freno a delle abitudini malsane, che alterano la realtà, come se ogni giorno si debba superare un qualche limite, per vedere come va a finire. Sono figli di madri che apostrofano le vittime come poco di buono, ma che nelle stanze dei propri figli però, non sono mai entrate e non si sono mai interessate a come quei figli, oggi stupratori, passassero il tempo, immersi in una dimensione alterata, distorta, che crea dipendenza e sfida i giovani a ciò che non è e non sarà mai solo una bravata.

È colpa di un sistema che “concede attenuanti” lì dove la pena massima non sarà mai neanche abbastanza, perché confessare uno stupro di gruppo con quella portata di violenza, non merita un premio, ma una punizione esemplare.

È colpa dei circuiti della comunicazione – giornali compresi – che alimentano la spettacolarizzazione del male, la curiosità verso tutto ciò che è fuori da ogni limite. Perché la cronaca deve fare altro e la ricondivisione di frasi dette, che raccontano uno scempio senza l’analisi sociologica di un problema che è reale, è esso stesso un problema … ed anche serio.

E questo perché a volte è solo un caso che queste notizie vengano a galla, ma chissà quante se ne consumano ogni giorno, senza che la cronaca o la platea dei social lo sappia. E perché alcuni episodi di tale portata non si consumano a volte solo per un puro caso, ma esistevano invece le intenzioni. E quindi si ritorna all’origine di tutto: la mancanza di una presa di coscienza collettiva. Perché continuiamo a parlare dello schifo assurdo che si è consumato, ma poco si pensa alla vittima che resterà mutilata per sempre; mutilata in tutto ciò che rende liberi, perché la libertà di dire di no, viene violata tanto quanto il corpo; mutilata nella considerazione di sé stessa come donna che ha vissuto un orrore profondo, emotivo oltre che fisico e che vedrà tutto alterato, per sempre; perché gestire dolore, rabbia, sete di giustizia e rapporti interpersonali futuri, sarà come vivere un perenne inferno, sarà come vivere con un mostro sotto il letto pronto ad uscire e a sbranare in un giorno qualunque di quel che resta dell’esistenza.
La donna vista come un oggetto non del desiderio, ma di un istinto carnale.
La donna come pezzo di carne da usare se serve, quando se ne ha voglia. Orrore.

Io non sono così.
Io non lo farei mai.
Continuano a dire gli uomini.
Non è questione del singolo, ma di una collettività che deve riscoprire una coscienza, che riguarda tutti, nessuno escluso.

Rieducare al rispetto dell’altro, del no dell’altro, delle scelte dell’altro.

Non le riporto le frasi di quegli stupratori. Mi rifiuto di farlo.

Mi viene da pensare non solo all’atto subdolo, violento, meschino consumatosi, ma anche alla completa mancanza di umanità nel non chiamare i soccorsi, nell’esaltazione del voler condividere l’accaduto e la pretesa affinché la vittima non denunciasse.

Sono i tasselli del mosaico di una società incancrenita, alla deriva, fuori controllo e forse irrecuperabile, se non ci si prende ognuno le proprie responsabilità.
Vorrei che si comprendesse la gravità di ciò che è accaduto, ma senza sconti.
Lo stupro è un crimine gravissimo non solo verso il singolo ma verso l’umanità e allora mi domando quale debba essere la pena da infliggere.
Forse la pena dovrebbe toccare a tutti noi, fin quando non ci interrogheremo su ognuno dei nostri sbagli, primo fra tutti come educhiamo (o non educhiamo) i giovani a gestire emotività, sesso e relazioni … ognuno dal proprio ruolo.

 

 

Ciao Michela,

mi sono presa qualche ora prima di scriverti.

Negli ultimi periodi, nelle ultime settimane, per me molto difficili,  mi sono abbeverata al tuo modo di concepire la vita; che non era solo coraggio, tempra, carattere; era anche quella capacità di mostrare la parte di noi stessi che tanto ci sforziamo di nascondere.

Tutto deve essere perfetto, omologato, “giusto”.

Mi hai insegnato che giusto è solo se è nostro, che la libertà di tutti è davvero libertà, che difendere un ideale sarà anche più difficile, ma è senza dubbio più bello che sedere su un trono fatto di ipocrisia, di falsità, di viltà.

Mi hai insegnato a guardare la vita dalla parte giusta, anche quando sembra sbagliata e a camminare senza fermarsi, tanto gli ostacoli ci sono sempre dietro l’angolo, basta imparare a saltarli, o a passarci di sotto.

Quel tuo piglio non mi era mai piaciuto tanto, quel tuo modo di stroncare ciò che non ti piaceva mi era sempre sembrato eccessivo; ma poi la tua malattia ha messo sotto i riflettori il tuo essere, la tua totale autenticità e allora la curiosità ha preso il sopravvento e ho deciso di guardarti un po’ più da vicino, per vedere cosa ci fosse sotto quel carattere che ha sempre brillato di luce propria.

E allora ho capito che meglio soli che male accompagnati, che le etichette vanno bene solo sulle cassette della frutta, che a decidere siamo sempre noi e che le passioni – questo l’ho sempre saputo – ci salvano.

Vorrei dirti grazie per “tre ciotole” che con delicatezza insegna a prendersi cura, ad avere cura, a lasciare che sia.

È stato.

Sarà.

Tu non ci sarai, ma ci saranno i tuoi moniti, i tuoi insegnamenti, le tue battaglie, le tue vittorie, la tua queer family che continuerà ad alimentare la gioia di vivere che hai insegnato a chi, prima di te, pensava che una consonare al maschile o al femminile potesse fare la differenza.

Oggi le differenze sono azzerate davanti alla tristezza che ci ha sorpresi mentre pensavamo che non fosse ancora l’ora di dirti addio.

Ciao Michela e grazie di tutto

Simona

La spettacolarizzazione della propria misera vita privata. Perché puoi anche essere un banchiere conosciuto e ricco, ma la tua vita resta misera e di poco valore se scegli di metterla in pubblica piazza.

Ad analizzare bene, sicuramente anche a muovere scelta, fatti e parole,  una buona dose di narcisismo, quel pizzico di notorietà in più che ti appaga dopo aver vissuto quintalate di frustrazione.

Si chiama vita privata perché tale dovrebbe rimanere e sicuramente la maggior parte delle persone che hanno guardato il video in cui un uomo senza fascino, di mezza età (e oltre), per nulla attraente e anche un po’ infantile (però ricco), lasciava la sua “futura sposa”, hanno pensato che forse lei avesse fatto bene, qualunque cosa avesse fatto.

In fondo, quando una storia finisce la colpa sta sempre nel mezzo.

Io sinceramente ho pensato che lei – qualunque cosa abbia fatto (o non fatto) – abbia fatto bene, che alla fine alcune situazioni sono anche peggio di come appaiono e chissà com’era in privato quell’uomo che in pubblico si è mostrato così pieno di sé ed anche alla ricerca di qualcuno che “gli desse un po’ retta”.

Il tradimento con tanto di filmino, è di una pochezza infinita. Per non parlare di terze persone trascinate nel fango.

Domani la gente se ne sarà ben che dimenticata; lei, la protagonista della storia, avrà tirato un sospiro di sollievo per essersi liberata di quell’uomo pedante, egocentrico e insopportabile, e lui resterà il cornuto (ops l’uomo tradito) che sicuramente non si farà mai un esame di coscienza. Peccato che lei debba continuare a lavorarci insieme. Pensate che calvario!

Certo, alla luce della sua performance (diventata miseramente vitale) dubito  che in giro ci sia una qualche donna che aspiri al posto di “fidanzata di quello che ho sputtanato la sua ex”.

Che vita triste deve essere quella di chi pensa che avere tanti soldi dia la libertà di mettere a soqquadro la vita degli altri, fossero anche i peggio fedifraghi.

Io sono con lei.

E se dovesse leggere questo articolo beh … cara mia, goditi il nuovo amore e tutti quelli che verranno. Magari la prossima volta usa tutte le armi che hai (anche l’esperienza ormai) per scansare situazioni in cui “uomini piccoli” usano l’unica arma che hanno per ferirti.

Tira su il capo, sciacquati la faccia e la prossima volta, sbaglia ancora, ma sbaglia meglio

Come diceva Antonio Neiwiller, grande artista di teatro, l’arte è arte quando è dialogo tra diverse discipline; E allora si fa presto a pensare all’arte quando si assiste ad una performance come quella che ieri sera Max Mazzotta ha regalato al suo pubblico nella suggestiva cornice del Teatro Svevo di Cosenza.

Noto al grande pubblico come attore di cinema e teatro, ieri sera ha raccontato il suo modo di fare musica, con un concerto dal titolo “Spiriti e maligni“. 10 canzoni, scritte e poi arrangiate insieme ad uno dei più bravi musicisti italiani, il chitarrista Massimo Garritano che insieme a Carlo Cimino al basso e al giovane batterista Antonio Belmonte hanno raccontato un modo di fare musica eclettico e originale.
L’originalità è propria dell’artista che coniuga con leggiadria l’arte del teatro con la musica e con l’uso minuzioso e intrigante della sua presenza scenica, oltre alla caratteristica voce ricca di sfumature che durante il concerto ha usato per creare suoni, controcanti, scat e innumerevoli sonorità molto ben accordate a quei testi capaci non solo di incontrare la sfera emotiva dell’ascoltatore, ma anche di divertire.

Sul palco anche due talentuose coriste, Noemi Guido e Claudia Rizzuti, dotate di voci capaci di essere supplementari a quella del cantautore ma anche di esprimere una bravura tecnica, interpretativa ed emozionale. Il gioco – mai facile – tra strumenti e voce, è efficace quando l’interplay è ben collaudato così come su quel palco ieri sera.

La musica di Mazzotta ricorda a tratti De André a tratti Rino Gaetano, eppure è “tutto suo”.
Quel suo cantare che sembra contaminato da tutti i generi musicali. Il cantautorato che incontra il funky,il pop, il folclore. La musica come cornice di quei testi che parlano di quotidiano, di vita di coppia che cambia con le stagioni, e di sogni che possono essere sia spiriti (inteso come lontani dalla realtà) che maligni ossia che provocano e a tratti conducono alla nostalgia.

Il tutto condito dalla fisicità espressiva riconoscibile ed inimitabile di un artista che sul palco non si risparmia mai e che mostra una notevole dote nel tessuto musicale del cantautorato. La metrica, gli accenti, la prosodia e la ricerca del dettaglio, sono senza dubbio le caratteristiche di questo lavoro musicale che merita di essere ascoltato e perché no anche riascoltato.

Ho trovato il concerto molto bello.
E considerato che utilizzo questo aggettivo sempre con parsimonia, è significativo del fatto che questo lavoro ha incontrato il mio interesse e mi ha piacevolmente sorpreso.
Ho apprezzato molto le scelte di ingresso e uscita degli strumenti, voci comprese, e la coralità di un lavoro fatto anche di tutta l’organizzazione che gira intorno ad un evento così ben realizzato.

Se penso al Giornalista di inchiesta in cima a tutti c’è sempre stato lui, Andrea Purgatori.

La notizia della sua morte scuote tutti, colleghi e persone comuni.

Tutti lo hanno conosciuto ed amato per il suo modo così schietto, astuto, autentico di occuparsi di casi che sono stati definiti – e talvolta sono ancora – irrisolti. Si pensi ad Ustica, al caso Orlandi, o la morte dei giudice Livatino. Per anni si è occupato delle più importanti inchieste giudiziarie, e poi di terrorismo, criminalità, intelligence per il corriere della sera. E non in ultimo i suoi innumerevoli reportage, la sua trasmissione Atlantide su La 7. Conosceva benissimo l’inglese e questo lo metteva sempre nella condizione di capire tutto nei minimi particolari e di comunicare lì dove ogni comunicazione sarebbe stata difficile. È stato inviato dalle zone di guerra, autore di importantissime inchieste giudiziarie.

Giornalista, conduttore, autore e sceneggiatore, è noto il suo contributo al documentario Vatican Girl sul caso di Emanuela Orlandi.

La notizia della sua morte all’Ansa arriva dai suoi figli Edoardo, Ludovico, Victoria e dalla famiglia rappresentata dallo studio legale Cau.

Muore a 70 anni, il giornalista perfetto, con la sua voce inconfondibile. A portarlo via una breve fulminante malattia.

Una mente brillante” – sottolineano i familiari distrutti dal dolore.

Mancherà la sua mente brillante. E pure la sua voce.