Una violenta scossa di terremoto, di magnitudo 4.3, è stata registrata dai sismografi dell’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia nel Palermitano alle ore 6:14. L’epicentro è stato localizzato in mare, al largo di Cefalù. Il sisma è stato avvertito dalla popolazione soprattutto nella zona delle Madonie. E anche nel capoluogo in molti sono stati svegliati dal tremore. Tantissime sono state le telefonate ai vigili del fuoco. Non sono stati segnalati danni.
Dopo le dichiarazioni di emergenza incendi e la conta dei danni: il Parco delle Madonie presenta un esposto-denuncia a magistrati e forze dell’ordine contro i piromani. I dettagli.
Il Parco delle Madonie
Il presidente della Regione, Nello Musumeci, lo scorso 6 agosto ha dichiarato lo stato di emergenza incendi in Sicilia, e ha predisposto i primi risarcimenti a favore degli agricoltori, ovvero i maggiormente danneggiati dalle fiamme che da luglio imperversano nell’isola. Nel frattempo, lo scorso 26 agosto anche il governo Draghi ha riconosciuto come nazionale l’emergenza in Sicilia, liberando, in prospettiva, altre risorse finanziarie per risarcire i danni. Adesso, tra emergenze e risarcimenti, si procede anche alla ricerca dei responsabili che hanno flagellato con fuoco e fiamme la regione, bruciando, al momento, 78mila ettari di boschi, soprattutto nel Parco delle Madonie, a ridosso di 15 Comuni della provincia di Palermo, che conserva oltre la metà delle specie vegetali e animali dell’intera Sicilia, e che è stato il maggiore bersaglio dei criminali incendiari. Infatti, il presidente del Parco delle Madonie ha presentato un esposto-denuncia alla Procura di Termini Imerese e ai Carabinieri di Petralia Sottana, “affinché – ha scritto Angelo Merlino – gli organi competenti possano eseguire gli opportuni accertamenti e valutare la sussistenza di eventuali profili penalmente rilevanti in relazione ai recenti incendi che hanno devastato parte del territorio dell’Ente Parco della Madonie”. E poi il presidente Merlino ha sottolineato: “Quello che ormai appare un vero attacco criminale organizzato, ha colpito luoghi simbolo del territorio del Parco e dei Comuni limitrofi. L’ultimo della drammatica serie è stato l’incendio di Blufi che ha compromesso il famoso campo dei tulipani. E’ una vera guerra che va combattuta mettendo in campo anche le tecnologie più sofisticate”. Poi, Angelo Merlino si sofferma sul contenuto più tecnico dell’esposto, e spiega: “La denuncia, preparata con il supporto dell’Ufficio Legale dell’Ente, nello specifico dall’avvocato Maria Ardillo, ha preso in esame gli incendi che si sono verificati dal 30 luglio in poi. A supporto abbiamo portato anche lo studio di un gruppo specializzato dell’Università di Reggio Calabria, diretto dal professor Giuseppe Modica, che ci ha fornito anche un ampio e dettagliato report fotografico. In particolare, secondo quanto emerso anche dalle foto satellitari, fino al 10 agosto sono stati devastati 2mila ettari di territorio protetto, su un totale di circa 43mila ettari, quindi il 5 per cento, quasi tutto in zona B”. E poi il presidente del Parco delle Madonie, che è inserito nella Rete di geo-parchi globale dell’Unesco, conclude: “Credo fosse il minimo che potessi fare, al fine di tutelare gli interessi, non solo del Parco ma di tutti coloro i quali hanno perso tutto a causa di quanto accaduto. Naturalmente, qualora si celebrerà un processo, il Parco si costituirà parte civile”.
Lampedusa ha segnato il suo secondo decesso, dall’inizio della pandemia, a causa del covid19. Questa volta a non avercela fatta è stata una donna, 65anni.
Dalle prime indiscrezioni la lampedusana era stata trasportata a Palermo, dove si trovava ricoverata, perchè risultata positiva al virus dalla metà di Agosto.
Da quanto si apprende le condizioni di salute della donna , non vaccinata, sono precitate fino al decesso.
Il sindaco dell’isola, Toto’ Martello, con una messaggio sui social network, nella tarda mattina di oggi aveva invitato i propri concittadini a vaccinarsi: “vi ricordiamo che vaccinarsi è necessario sia per contrastare la diffusione del Covid19 che per limitarne fortemente gli effetti su chi ne viene contagiato“.
Era il 30 ottobre scorso, quando Lampedusa, nel pieno sgomento piangeva la sua prima vittima una donna di 62anni. In quella occasione il sindaco scriveva ai suo concittadini di un dolore immenso: “Cari Concittadini, con immenso dolore vi comunico che oggi a Lampedusa abbiamo registrato il primo decesso causato dal Covid19. Si tratta di una donna, aveva 62 anni, dopo essere risultata positiva stava osservando la quarantena in isolamento ed era sotto osservazione sanitaria prevista dai protocolli.”
«Raccogliendo le aspettative di cittadini, imprese e visitatori, abbiamo esteso gli orari estivi dei collegamenti marittimi tra la Sicilia e le Isole Eolie fino al 15 settembre. L’impennata di presenze nella nostra Isola e nell’arcipelago, registrata quest’estate, è un dato incoraggiante e conferma la posizione della Sicilia tra le mete privilegiate del turismo mondiale. Prolungando il servizio di navi e aliscafi realizzato con il contributo della Regione, favoriamo dunque l’arrivo di ulteriori flussi turistici alle Eolie. Le maggiori frequenze dei collegamenti, riservate alla bella stagione, non si interromperanno dunque a settembre, sostenendo così il positivo trend di presenze che genera ricadute ad ampio raggio per la nostra economia».
Lo afferma l’assessore regionale alle Infrastrutture e ai Trasporti Marco Falcone, rendendo nota l’estensione degli orari estivi di navi e aliscafi per le Isole Eolie, collegamenti marittimi svolti dal concessionario con il contributo della Regione Siciliana.
Sentir dire, oltre a tutto dalla bocca di un giudice, dopo l’omicidio di Vanessa Zappalà, la numero 41 di quest’anno, che “la donna non riesce a tenere una condotta univoca” nei confronti del maschio predatore, quello che poi la violenta oppure arriva a ucciderla, riporta lontana la memoria, a quel famoso “Processo per stupro” del 1979.
A triste disperante dimostrazione che quarant’ anni non sono bastati. Non sono stati sufficienti alle donne per riuscire a difendere il proprio corpo e la propria dignità. Non sono bastati per gli uomini a far proprio il problema che li riguarda in prima persona, tutti quanti. Perché i predatori sono maschi, e non c’è guerra in cui il corpo violato delle donne non sia il trofeo esibito dai vincitori. E non c’è violenza di gruppo in cui non si senta dire –ancora, ancora!- che “lei ci stava”. E ci tocca anche avere nelle orecchie, e subito dopo nella mente e nel corpo la voce di un giudice che invita La Donna, cioè tutte le donne, tutte noi a “tenere una condotta univoca”.
Vanessa Zappalà era una giovane donna di 26 anni. Quale sia stata la sua condotta di vita, lo possiamo immaginare. Normale. Non sappiamo se indossasse la minigonna, ossessione dei maschi degli anni settanta, sicuro indizio di leggerezza sessuale da parte di chi la indossava. Evocata come strumento del diavolo da tronfi avvocati maschi in ogni processo per molestie o violenza sessuale, come attenuante per lo stupratore. Poco sappiamo anche della relazione sentimentale tra Vanessa e il suo ex fidanzato-assassino, che le ha dato e si è dato la morte, la pena che non è neppure prevista dal codice. C’è solo un macabro ritornello che insegue la donna che non ama più: se non sei più mia, non potrai essere di nessun altro.
E’ più che possesso, è oscuro retropensiero che ci porta d’un tratto un pezzo di Afghanistan, quello dei Talebani, sull’uscio di casa. “Io sono mia” gridavamo nelle strade e nelle piazze negli anni settanta, indicando con il gesto dei due pollici e indici uniti in alto, la nostra libertà sessuale. Non volevamo essere di nessun altro, neppure di chi ci amava.
Vanessa aveva un po’ litigato e un po’ perdonato, come facciamo tutte noi donne, davanti al predatore che si mostrava pentito. Manipolatore, in realtà. Ma le denunce della ragazza erano “univoche”, parlavano per lei. E avrebbero meritato maggior ascolto. Diversa sensibilità, più che altro. Perché il problema qui e oggi non è più quello dell’aumento delle pene.
Intanto perché mai, nella storia del mondo intero, qualcuno è andato a consultare il codice penale prima di commettere un reato, in particolare i delitti più gravi come lo stupro e il femminicidio. Mai l’inasprimento delle condanne ha dissuaso qualcuno dal commettere delitti. E poi anche perché di questo tipo di comportamenti devianti si occupano solo le donne. Lo vediamo ogni volta, fin dal 1996 quando la violenza sessuale divenne finalmente reato contro la persona e non più contro “la morale” (orrore!), fino al recente Codice Rosso di due anni fa, sono sempre le donne, per fortuna ormai numerose in Parlamento, le protagoniste di ogni riforma sui propri diritti. Sono loro a essere ferite, sono loro a cercare le soluzioni. Con tutte le contraddizioni del caso, perché anche ogni aumento di pena è una ferita.
Se si stesse parlando della normale vita quotidiana dei tribunali, dovremmo dire che nel caso di Vanessa, la legge è stata applicata. Arresti domiciliari per lo stalker, poi attenuati dal gip con il divieto di avvicinamento alla vittima. Ma non siamo in una situazione di normalità, siamo nella prevedibilità, con alta percentuale, che quel predatore ossessionato dal “o mia o di nessun altro”, attuerà un femminicidio, cioè ucciderà l’oggetto della propria possessività. Da gennaio a questo agosto, ogni mese quattro e cinque e sei donne uccise fino a 41 con Vanessa, in una vera guerra dei sessi, dove non ci sono più sentimenti, ma l’annullamento di persone tramite l’appropriazione totale del loro corpo: me lo prendo come bambola rotta quando lo violento, lo distruggo quando non lo voglio più, perché dalla sua bocca è uscito un NO.
Vede, giudice Sarpietro, lei che aveva espresso tanta ammirazione nei confronti dell’ex premier Conte, lei che si è fatto beccare con il piccolo privilegio di far aprire un ristorante chiuso in zona arancione, lei che ha detto la famosa frase sulla carenza di condotta univoca non di Vanessa, ma “della Donna”, cioè di tutte noi. Lei dimostra, come ogni giorno tanti uomini, come tanti magistrati, come tanti legislatori, che tutto sommato dei diritti delle donne non le importa niente. Per lei è solo burocrazia, il suo collega gip ha applicato la norma. Ci sono leggi speciali, procuratori speciali, carceri speciali, spazzacorrotti e ossessioni varie con cui è stato rimpinzato fino a esplodere il nostro codice penale. Siamo intercettati in Italia più che negli interi Stati Uniti. Le conferenze-stampa sul pericolo-mafia che c’è e anche su quello che non c’è, del procuratore Gratteri inondano giornali, tv e social. Alcuni ossessionati ancora indagano su una trattativa che non c’è mai stata, né trent’anni fa né negli anni successivi. E altri, ancora ossessionati dai processi bis e ter, vogliono sapere che cosa faceva Berlusconi la notte.
Ma per i diritti delle donne non c’è mai tempo. Vengono presi alla leggera, come se non corresse il sangue più che per i delitti di mafia. Ancora ricordo quel deputato che gridò in aula “ma chi ve l’ha chiesto?”, mentre noi, per arrivare a una votazione importante che spazzava via il concetto di “morale” dalla violenza sui nostri corpi, avevamo detto che avremmo rinunciato all’intervento orale, e presentato quello scritto. Più che una battuta volgare, quella frase mostrava il disinteresse dell’uomo. E allora, visto che, pur lasciando l’ultima parola ai magistrati, forse il Parlamento potrà dire la sua sulle priorità di indagine, per quest’anno si scelga il femminicidio come precedenza assoluta. E i magistrati si impegnino a allontanare davvero i predatori dalle loro vittime. Fisicamente. Si usi il carcere, che non ci piace, o un altro luogo di isolamento, una comunità, o il domicilio con braccialetto elettronico, ma si tengano lontani i persecutori dalle loro prede. Almeno questo ci è dovuto, perché quella drammatica contabilità delle vittime di quest’anno si fermi a 41. Mentre ci diamo da fare per liberare le donne afghane dai loro burka, per favore liberiamoci anche dai nostri.
Le discutibili parole profferite dal giudice Nunzio Sarpietro, in merito alla uccisione di Vanessa Zappalà, trovano il contropalco nelle parole di un altro giudice catanese che hanno una potenza straordinaria. Nella vita bisogna saper chiedere anche scusa e perdono senza cercare alibi o discutibili autodifese. Questo giudice lo ha fatto , prima da uomo, poi da cittadino ed infine da magistrato.
Queste le sue parole: “Dolce Vanessa… So che chiederti scusa vale a poco. Perché qualcosa non ha funzionato. Questo è poco ma sicuro. Non può e non deve accadere. Sarai per sempre “un angelo” tra gli angeli a ricordarci ogni giorno che una storia va letta tante volte a 360°….”
Sono 1.600 i nuovi casi di coronavirus registrati in Sicilia nelle ultime 24 ore su un totale di 11.243 tamponi processati. L’indice di positività è al 14.23%, ancora in aumento rispetto a ieri. Le vittime sono 9 mentre i guariti/dimessi sono 526. Attualmente in Sicilia ci sono 28.489 persone positive. Ancora oggi l’isola, entrata in zona gialla, è la prima regione in Italia per incremento di nuovi casi.
Questa la situazione nei Comuni capoluogo: Palermo 442; Catania 399; Messina 273; Caltanissetta 133; Enna 105; Ragusa 95; Siracusa 90; Trapani 83; Agrigento 0
Un lungo vertice in prefettura voluto fortemente dal capo della Procura di Agrigento Luigi Patronaggio sulla delicata questione Lampedusa alla luce di nuovi fatti, come ad esempio la denuncia di Legambiente che avrebbe individuato delle vere e proprie fogne a cielo aperto nei presso del centro di accoglienza lampedusano con il rischio di gravissimi danni alla salute pubblica, nonchè l’eccessivo numero di sbarchi avvenuto nell’Isola nelle ultime settimane che fa pensare che dietro gli stessi ci sia una organizzazione criminale la quale, servendosi di scafisti, organizza dei viaggi verso le coste siciliane. Tra l’altro, alcuni medici, hanno individuato nell’ultimo sbarco, un numero di migranti con evidenti segni di torture oppure segni indelebili causati prima della partenza durante il periodo di prigionia. In questo caso, per approfondire le indagini, verranno impegnate le forze investigative della Direzione Investigativa Antimafia di Palermo che svolgeranno anche indagini internazionali.
L’incontro è terminato nel pomeriggio ed è stato messo nero su bianco sugli aspetti che abbiamo detto sopra.
Intanto la Procura ha aperto una inchiesta sul grave caso di degrado ambientale esistente nel vallone Imbriacola, a pochi passi dall’hotspot. Insistono nel vallone Imbriacola, a pochi passi dal centro, una serie di vasche contenenti reflui fognari provenienti anche dal centro di accoglienza e tale circostanza creerebbe gravissimi pericoli per la salute pubblica. Tra i reflui fognari vanno a finire anche i liquami di chi è affetto da Covid 19, da difterite e persino da tubercolosi. Saranno i carabinieri del centro Anticrimine e Natura a stabilire la pericolosità di quei reflui fognari attraverso una serie di interventi previsti nei prossimi giorni.
E’ stato convalidato l’arresto effettuato dal personale del Commissariato di Polizia di Licata del cittadino gambiano di anni 35 colto nella flagranza di reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.
L’uomo viaggiava in autobus con oltre 50 grammi di marijuana, perquisita anche la sua abitazione è stato trovato del materiale utile per il confezionamento delle singole dosi. Il giudice del Tribunale di Agrigento, ha disposto, a carico dell’extracomunitario, la misura cautelare del divieto di dimora in Licata.
Una nuova e fittissima pioggia di cenere vulcanica sta cadendo su molti comuni del versante ionico siciliano, Giarre e Riposto in particolare. Mentre ancora i boati del Vulcano, dove è in corso l’ennesimo evento parossistico, non si placano, sono già evidenti i danni enormi che lapilli e cenere stanno provocando. E domani sarà, di nuovo, conta dei danni. L’abbiamo detto e ripetuto: non si tratta di un fenomeno sporadico, questi “episodi” sono sempre più frequenti e non possono essere gestiti come occasionale emergenza. E’ necessario che la Protezione civile nazionale ed il governo di Roma facciano un ulteriore sforzo finanziario e intervengano su Bruxelles affinché l’Unione europea riconosca finalmente questo fenomeno come calamità nazionale e autorizzi un Piano che ci consenta di dare risposte immediate e congrue a sindaci e cittadini, ancora oggi costretti da sette mesi ad affrontare una emergenza che è diventata routinaria”. Lo dichiara il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci.