Omicidio Vanessa Zappalà, se persino il giudice pensa che un po’ di colpa sia della donna

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Il Riformista

Sentir dire, oltre a tutto dalla bocca di un giudice, dopo l’omicidio di Vanessa Zappalà, la numero 41 di quest’anno, che “la donna non riesce a tenere una condotta univoca” nei confronti del maschio predatore, quello che poi la violenta oppure arriva a ucciderla, riporta lontana la memoria, a quel famoso “Processo per stupro” del 1979.

A triste disperante dimostrazione che quarant’ anni non sono bastati. Non sono stati sufficienti alle donne per riuscire a difendere il proprio corpo e la propria dignità. Non sono bastati per gli uomini a far proprio il problema che li riguarda in prima persona, tutti quanti. Perché i predatori sono maschi, e non c’è guerra in cui il corpo violato delle donne non sia il trofeo esibito dai vincitori. E non c’è violenza di gruppo in cui non si senta dire –ancora, ancora!- che “lei ci stava”. E ci tocca anche avere nelle orecchie, e subito dopo nella mente e nel corpo la voce di un giudice che invita La Donna, cioè tutte le donne, tutte noi a “tenere una condotta univoca”.

Vanessa aveva un po’ litigato e un po’ perdonato, come facciamo tutte noi donne, davanti al predatore che si mostrava pentito. Manipolatore, in realtà. Ma le denunce della ragazza erano “univoche”, parlavano per lei. E avrebbero meritato maggior ascolto. Diversa sensibilità, più che altro. Perché il problema qui e oggi non è più quello dell’aumento delle pene.

Articolo tratto da IlRiformista

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