Oggi e sempre, antifascisti. Perché il 25 aprile non sarà mai un giorno come un altro

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80 anni dalla liberazione 1945 – 2015

No, il 25 APRILE non sarà MAI un giorno come un altro.
Non è solo una ricorrenza, è una eredità; Un’eredità di memoria, democrazia, libertà e responsabilità.
E per capirlo basterebbe leggere le ultime parole scritte dai condannati a morte della resistenza italiana, ai familiari. Ne ho lette tante, difficile sceglierne qualcuna, ma lo faccio perché serve riflettere su quelle parole così profonde, sentite.

SERGIO PIOMBELLI, studente, 18 anni, nato a Genova il 5 aprile 1926

Cara mamma e papà, muoio per voler bene all’Italia, perdonatemi per il male che vi ho fatto e beneditemi come io benedico voi.

GIORGIO LABÒ 24 anni, studente in architettura nato a Modena il 29 maggio del 1919, dettò il messaggio per la famiglia al cappellano, pochi istanti prima della fucilazione, perché aveva contratto un’infezione alle mani in seguito alle torture subite, impedendogli di scrivere di suo pugno l’ultimo saluto, per far sapere che moriva per la patria in piena serenità.

E la memoria va rispolverata perché a volte dimentichiamo, e questo non possiamo permettercelo. Resistenza significa difendere la democrazia e la democrazia è sancita dalla nostra costituzione che all’articolo 11 recita: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.
No, non è un giorno come un altro il 25 aprile, perché ci ricorda che abbiamo la responsabilità di resistere per difendere i diritti, le conquiste ottenute, i baluardi di democrazia e che dobbiamo combattere le ingiustizie, i tentativi di zittire le libertà conquistate, la prepotenza al potere; ancora oggi si parla di deportazione di migranti dimenticando i diritti umani. La prepotenza del potere su Gaza, la distruzione, la morte spettrale che si consuma sotto i nostri occhi. E non possiamo restare indifferenti perché i regimi nazifascisti non sono nati certo all’improvviso, ma sono stati preceduti da segnali sempre più forti di compressione della democrazia, colpendo una minoranza alla volta, fino a divenire dittatura. Libertà negata, diritti civili calpestati, informazione controllata [oggi posso scrivere questo articolo perché godo della libertà di stampa conquistata], il dissenso punito con la violenza [potremo ancora dissentire?]
E allora lasciamo che rieccheggino le parole di Piero Calamandrei: “La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale, quando comincia a mancare“.

La memoria, quella che dobbiamo tenere viva, oggi e sempre.
L’uccisione per mano dei fascisti di Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno del 1924, deputato socialista che denunciò pubblicamente le illegalità e le violenze del regime.
E poi le ignobili leggi razziali, emanate dal regime fascisti.
20 anni di dittatura, ma sotto traccia pulsava il sentimento di ribellione verso il regime e dal quale nacque la Resistenza Italiana. Anche 70 mila donne, fecero la resistenza, combatterono, fecero le staffette, lavorarono nelle fabbriche e il loro contributo fu decisivo per la Liberazione. Non solo dunque uomini armati, coraggiosi, come i protagonisti dei romanzi di Fenoglio, Vittorini e Calvino. Erano donne di ogni estrazione sociale, unite per sostenere la resistenza; raccoglievano fondi, distribuivano volantini, organizzavano proteste, facevano da collegamento tra i gruppi partigiani attraverso delle staffette, rischiando la vita.
Molte combatterono anche in prima linea. Furono circa 35 mila le partigiane combattenti che imbracciarono le armi e presero parte agli scontri armati.

Ecco perché non possiamo permettere revisionismi, semplificazioni, sobrietà, non possiamo farlo “a bassa voce”. Canteremo “bella ciao” a squarciagola.
A chi manchiamo di rispetto? A Papa Francesco? Chissà cosa avrebbe detto di tutta questa ipocrisia, di questi 5 giorni di lutto nazionale (mai così lungo nella morte di un Papa) o forse fatto ad arte, semplicemente per scavalcare una “bestia nera”.

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