In Tv la vita delle donne al tempo della pandemia: “Tutte a casa”: Forti e libere malgrado tutto

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Costrette a scoprirsi forti, temprate, combattive dentro le proprie case, dentro le proprie vite, in un lockdown che toglie tanto ma restituisce una consapevolezza di sé che non sapevano neanche di avere.

Su La7d ieri sera in prima serata, nel giorno della festa della donna, “TUTTE A CASA” un documentario che scopre i nervi, che racconta storie di donne, raccontate dalle donne, senza filtri, senza trucco e senza inganno.
Da nord a sud, sono tante le protagoniste che hanno aperto le finestre sulla loro quotidianità e l’hanno raccontata senza sconti, senza dover apparire forti a tutti i costi, senza rinunciare alle proprie paure, che diventano certezze in un tempo in cui nulla è certo se non la voglia di attraversare il buio per arrivare a riacciuffare ciò che era prima.

La nuova vita in tempo di pandemia, che trova nel contatto “online” la forma più prossima agli affetti che cambiano rotta: da “se vuoi Bene abbraccia i tuoi cari, stai vicino ai tuoi anziani” a “sei vuoi bene stai lontano, non andare da loro, non abbracciarli”. 

E così nonni e nipoti si guardano in video, la scuola è a distanza, ci si laurea davanti ad uno schermo.

I compleanni online, le lezioni online, nonni e nipoti, online.

La vita stretta e asfissiante dentro convivenze che nascondono violenze, il coraggio di scappare, di andare altrove, proprio nel momento peggiore possibile, proprio mentre “la casa” dovrebbe proteggere.

Le donne del documentario sono schiette autentiche: momenti di relax e di disperazione. 
I viaggi che si trasformano in passi, la vita troppo organizzata, piena di impegni che sta stretta, che soffoca.

Sempre alla ricerca di un proprio spazio, dentro convivenze che non erano più già da tempo e che tornano mentre ci si domanda se ci si riesce a sopportare ancora. E ci si scopre fieri di un genitore, o del proprio figlio.

Immagini non ritoccate, messe insieme con la grazie della normalità in un momento di completa assenza di normalità.

Le nonne a cui mancano nipoti e passeggiate in quantità variabili.
Le finestre che sono pezzi di cielo, e la visione di parti di cose, di porzioni del mondo.

La ricerca di uno spazio proprio che diventa spazio per la sopravvivenza, i caffè a tutte le ore, la pulizia a tutte le ore.
Ciò che era un impegno, diventa un diversivo.
Insofferenza che il fa il paio con nostalgia. 

E poi gli hobbies improvvisati, le prove di sopravvivenza.

Come colonna sonora il battito del cuore, che accelera e rallenta, che va e poi si ferma. 

La paura di morire, i problemi quotidiani, i giorni e le notti che si alternano e poi tutto uguale a se stesso.

Belli i racconti delle donne che si tagliano i capelli per sentirsi libere, e poi quelli di chi racconta di come avere o non avere un lavoro stabile faccia la differenza, eccome.

Le manie, le ossessioni.
Le mascherine, il lavaggio delle mani, il non toccare, il non toccarti, il non toccarsi. 

Il virus, le crisi di panico notturne, l’ansia e lo stress.

Le donne che hanno paura ma senza paura raccolgono video in cui spiegano tutto ciò che manca.
Come la voglia di studiare, la speranza nel futuro.

E poi i racconti delle donne in prima linea, negli ospedali e nelle ambulanze.

“Andrà tutto bene, è una presa in giro” – Dice un medico della terapia intensiva.
La realtà è più cruda della speranza. 

La sveglia all’alba, e quel fare “a casa” tutto quello che non si può fare più.  

La tinta a casa. 

La ceretta a casa. 

A casa. 

Tutto a casa. 

Il gesto di mettere su il rossetto per ritrovare il contatto con quel che è stato.  

I nuovi nati.

Le vite affacciate al tempo di pandemia. 

Bello il momento in cui le bambine fanno abbracciare i loro pupazzi: “voi potete, non avete il coronavirus“.

Il lavoro precario di chi lavora nel mondo dello spettacolo.
Le scuole chiuse e quel tempo rubato ai bambini e ai ragazzi: chi glielo restituirà? 

Parole accorate, pronunciate da donne che si mettono a nudo, che condividono il loro mondo e le loro angosce.

E poi gli stati d’animo, tutti. 

Rispondere male, arrabbiarsi, sfogarsi e poi avere sensi di colpa.  

I nonni dalla finestra. 

I pensieri lasciati nell‘ascensore e le lacrime di dispiacere. 

Le file ai supermercati. 

Le cassiere e il loro stress giorno dopo giorno in tempo di pandemia. 

Il volontariato e le buste su per i balconi. 

Il racconto crudo di una ragazza che ha perso il papà che è andato via il giorno del suo compleanno e non è più tornato. 

La natura che si riprende i suoi spazi. 

I gavettoni sui terrazzi. 

Bravissime le donne del documentario a raccontare il concetto di libertà e resistenza. 

E poi il ritorno alla normalità piano piano. Il caffè di nuovo al bar ma nel bicchiere di plastica, le amiche ritrovate ma ad un metro di distanza, le lezioni a scuola, il sorriso che torna dopo 50 giorni di chiusura, ma che questo bel prodotto filmico ha raccontato a braccia e cuore spalancato. 

Donne del mondo dello spettacolo, chiuse come tutte le altre, hanno accettato di raccontare, di raccontarsi.
Tutto poi lavorato da montatrici, autrici, registe, uffici stampa, producer, che hanno messo a punto un lavoro che diventa simbolo del mondo femminile che non molla e sa sempre come farcela.

Emozionante, forte, capace di tirar fuori da ognuno il ricordo di ciò che per sopravvivenza avevamo solo archiviato. 

Plauso alla ideatrice, regista e montatrice del documentario, Cristina D’Eredità, coadiuvata da Nina Baratta e Eleonora Marino.
Un lavoro collettivo, firmato da donne che hanno pagato il prezzo più alto della pandemia: le donne dello spettacolo e della cultura.

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