Il coraggio e le parole di Michela Murgia, un balsamo per il dolore (degli altri)

Condividi

Da ieri c’è un pensiero che mi tiene in pena.
Non so precisamente perché questa notizia mi abbia sconvolto così tanto. Non è la prima volta che faccio i conti da vicino con un male incurabile e non è solo dispiacere quello che provo; c’è anche una riflessione alla quale mi ha indotto la notizia della malattia terminale di Michela Murgia. O forse non la notizia, ma il modo in cui ha deciso di comunicarla.
Perché la famosa scrittrice ed attivista non ha solo raccontato di essere malata, ma ha anche calato il velo, ha avuto quel coraggio che manca quasi a tutti, ossia quello di fare i conti non solo con ciò che sarà ma con ciò che si è sempre stati, e che si sarà fino all’ultimo respiro.

Il coraggio non si compra da qualche parte “un tanto al chilo”, ti raggiunge quando diventa necessario averlo come compagno di viaggio, e riesce a rendere tutto così chiaro che quasi ci si sente avvolti da una sorta di serenità, perché alla fine come diceva Aristotele: “Se c’’è una soluzione perché ti preoccupi? Se non c’’è una soluzione perché ti preoccupi?” Facile a dirsi. La verità è che il sentimento umano è così profondo e complesso che il passaggio dalla paura alla consapevolezza non è affatto semplice.

Le sue parole, che vengono fuori dall’intervista rilasciata al Corriere della Sera circa la sua malattia dalla quale non può più scappare, arrivano come un balsamo, quasi a placare il dolore di chi deve accogliere quella notizia. Nessuna pietà, solo una gran voglia di abbracciarla e dirle “grazie” per averci fatto comprendere che conta più come si è vissuto che come si muore e che il dolore non redime, ma mette alla prova. E così mentre lei parla di sé stessa, ad interrogarci siamo stati tutti (io almeno l’ho fatto), su ciò che siamo, che siamo stati, sull’amore che proviamo, sulle maschere che siamo costretti a portare, sulla cultura che non sempre difende le donne e sul coraggio (che quasi mai abbiamo).

Racconta di non volersi difendere da quel male, di non voler attaccare la malattia, e di aver scelto di curarsi per guadagnare tempo. Ed io se potessi quel tempo glielo dilaterei, affinché fosse tanto, tantissimo. A 50 anni, dice di aver vissuto tante vite, di avere ancora dei desideri, e ricordi preziosi. E poi ancora l’amore provato e ricevuto, le sue passioni, la casa grande comprata per poter stare tutti insieme, i dieci posti letto, il mutuo negato perché malata e quel matrimonio che arriverà perché lo Stato vuole un nome legale che possa prendere delle decisioni.

Nella sua vita la Murgia non è stata mai simpatica a tutti; per le sue prese di posizione, le sue opinioni, le sue “critiche”. Ma in fondo così è, così si fa; si procede, si raccolgono i frutti ed anche le critiche, le battute d’arresto e le ripartite, e si convive con le opinioni contro, ed anche  con le paure.
Eppure lei sembra non averne.
O forse le ha già metabolizzate, mentre io mi vesto di inquietudine e di dispiacere. E continuo a domandarmi dove lei trovi tutta questa forza. Che domanda scontata, direte. Forse quella forza la trova nella consapevolezza che la vita ha un senso mentre scorre, a prescindere da come scorra e da dove e come vada a finire. E se il mare è calmo o in tempesta, la rotta resta sempre quella che punta al cuore. Di chi si ama.

Perché l’amore resta la risposta a tutto. Anche quando non vi è logica, quando regna il caos dentro, quando arriva la disfatta. L’amore rende supereroi. Fa miracoli. E questo si percepisce dalle parole di Michela Murgia. E allora diventano insegnamento.
Io la capisco quando dice che la cosa che più teme è il non essere più presente a sé stessa. È una cosa che spaventa anche me. Quel sentirsi scivolare fuori dai propri pensieri, dalla capacità di scegliere, di comprendere, di riconoscere. Quel sensazione in cui si smette di sentirsi parte di un contorno che ognuno vivendo disegna nei minimi particolari, per poi finire risucchiati chissà dove.

Non ci pensiamo mai alla morte; per esorcizzarla, per spirito di sopravvivenza. Eppure arriva e quando è “fuori tempo” costringe a fare i conti con ciò che è stato, ma anche con ciò che sarà.
Io penso spesso alla caducità della vita; invecchiando cerco di \m”stringere il cerchio”, di trattenere l’essenziale, di essere migliore. Ma credo anche alla fatalità, alla possibilità che alcune cose accadano proprio quando non si è pronti.
E allora grazie a Michela Murgia – con la quale spesso  e su molte questioni non sono stata d’accordo – per averci consegnato attraverso le sue parole, una chiave di lettura sulla vita e su cosa fare quando la morte ti guarda negli occhi e tu devi dire chi sei.

La serenità di Michela Murgia, forse tra qualche tempo mi raggiungerà, ma ad oggi provo una grande amarezza, perché la vita non sempre ti da un asso nella manica, e lei, ad oggi gioca a carte scoperte, con in mano la regina di cuori.

Notizie correlate

Leave a Comment