

I Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Cammarata, in collaborazione con personale della Stazione di Santo Stefano Quisquina, hanno eseguito due ordinanze di carcerazione emesse dalla Procura della Repubblica di Sciacca. I provvedimenti riguardano due giovani: uno di 24 anni originario di Santo Stefano di Quisquina, e un altro di 21 anni, originario di Mussomeli, entrambi residenti a Cammarata. I due sono stati trasferiti nel carcere “Pasquale Di Lorenzo” di Agrigento, per scontare la condanna a 3 anni e 10 mesi di reclusione per furto e rapina commessi in concorso tra loro nel 2019.
Già nel recente passato il locale molto conosciuto della movida agrigentina, il Mojo, situato in piazza San Francesco, era stato oggetto da controlli per il rispetto delle normative anti covid ed era stato pizzicato.
Ieri sera di nuovo. Una nuova visita da parte dei Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Agrigento che hanno notificato il provvedimento di chiusura del locale dopo avere constatato numerosi assembramenti non controllati. Dopo l’accertamento è scattata la chiusura.
Il Tribunale di Agrigento ha condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione R M, sono le iniziali del nome, 42 anni, di Agrigento, per i reati di violazione di domicilio, minacce e lesioni. Il giudice ha disposto altresì il pagamento di una provvisionale di 1.000 euro nei confronti di due donne, madre e figlia, costituite in giudizio come parte civile. Il 19 novembre del 2018, lui avrebbe minacciato le due donne, tentando di introdursi nella loro abitazione, dopo essersi arrampicato su uno dei balconi, e infranto un vetro della finestra con una scopa. E poi avrebbe urlato: “Ti ammazzo e faccio abortire tua figlia”. Provvidenziale e tempestivo si è rivelato l’intervento dei poliziotti, allarmati subito dalle due. L’imputato è difeso dagli avvocati Daniele Re e Agnesa Neculai. Le donne dall’avvocato Fabio Inglima Modica.
A Canicattì, allo scalo ferroviario, un maxi furto di gasolio è stato perpetrato a danno di un locomotore, un Fiat 331, con le altre carrozze, parcheggiato e prossimo ad essere trasferito a Caltanissetta Xirbi. Ignoti hanno rubato ben 3mila litri di gasolio da due serbatoi. E’ stato un dipendente, incaricato dello spostamento da Canicattì a Caltanissetta, ad accorgersi del furto. E’ stata sporta denuncia alla Polizia Ferroviaria, adesso impegnata nelle indagini.
I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, hanno inflitto quattro condanne nell’ambito dell’inchiesta, cosiddetta “Semiramide”, su un presunto business legato allo sfruttamento della prostituzione di ragazze romene tra Reggio Calabria e Licata. Dunque, 4 anni di reclusione per Gicu Radu, 42 anni, 3 anni e 6 mesi ciascuno per Julian Bobeica, 33 anni, e Alessandru Hornet Razvan, 34 anni, e per Alessandro Polimeni, 42 anni, di Reggio Calabria. L’operazione, condotta dai carabinieri di Reggio Calabria, è scattata nel 2011, dopo due anni di indagini. Un filone dell’inchiesta è approdato al Tribunale di Agrigento.
Ancora dettagli sulle perquisizioni a tappeto tra le province di Agrigento, Trapani e Palermo alla ricerca di Matteo Messina Denaro. L’elenco dei perquisiti.
All’indomani della emissione in onda al Tg2 Rai delle immagini inedite ed esclusive che ritraggono Matteo Messina Denaro sul sedile passeggero di un fuoristrada “Mitsubishi Pajero”, guidato da un uomo stempiato e con gli occhiali, non riconosciuto, si è scatenata un’offensiva. Non è noto, e tuttavia sarà molto improbabile, che vi sia stato un nesso di causalità tra il servizio serale del Tg2 Rai e il blitz del mattino successivo, quando 150 poliziotti delle Squadre Mobili di Agrigento, Trapani e Palermo, supportati dallo Sco, il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, hanno imperversato setacciando il territorio delle tre province, ed eseguendo numerose perquisizioni disposte dalla Procura antimafia di Palermo per stanare, eventualmente, il ricercato Matteo Messina Denaro, immortalato nel video trasmesso dal Tg2 Rai nel dicembre del 2009, a poca distanza dalla casa – masseria di Pietro Campo, 68 anni, capo della famiglia di Cosa Nostra di Santa Margherita Belice, e che avrebbe protetto per un periodo di tempo la sua latitanza. L’elenco firmato dai magistrati palermitani – che forse sono stati destinatari di una “soffiata” oppure sono convinti di avere intrapreso una strada utile e preziosa – comprende venti persone da perquisire, tra noti, meno noti, e non noti, finora, alle forze dell’ordine. Tra i venti vi è, ad esempio, Calogero Giambalvo, 45 anni, ex consigliere comunale di Castelvetrano, città natale di Messina Denaro, appena assolto dall’imputazione di associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta antimafia cosiddetta “Eden”, e condannato per una tentata estorsione aggravata dall’avere agevolato Cosa Nostra. Nello scorso mese di marzo la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani gli ha sequestrato beni per un valore di un milione di euro. E poi Giovanni Campo, figlio del già citato Pietro Campo. I poliziotti sono stati a lavoro a Castelvetrano, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Partanna, e Mazara del Vallo in provincia di Trapani, Santa Margherita Belice, il paese di Campo, in provincia di Agrigento, e Roccamena, in provincia di
Ecco la lista completa delle persone sospettate di avere avuto, in passato o più di recente, contatti con Matteo Messina Denaro, presunti fiancheggiatori e favoreggiatori della latitanza del superlatitante, contigui ai clan, oppure anche solo custodi di documenti ritenuti altrettanto utili e preziosi. Sono: a Castelvetrano Calogero Giambalvo, 45 anni, Isidoro Cammarata, 61 anni, Filippo Messina, 70 anni, Giovanni Furnari, 75 anni, e Lorenzo Catalanotto, 41 anni. A Santa Margherita Belice perquisite le abitazioni di Giovanni Campo, 31 anni, e Piero Guzzardo, 43 anni. Perquisizioni a Partanna nei confronti di: Pasquale Zinnanti, 55 anni, Filippo Mangione, 57 anni, Nicola Pandolfo, 57 anni, Antonio Trinceri, 56 anni, Tommaso Tumbarello, 54 anni, e Rosario Scalia, 46 anni. E poi Pietro Giambalvo, 83 anni, di Santa Ninfa. Giuseppe Giambalvo, 76 anni, di Roccamena. E poi a Campobello di Mazara: Laura Bonafede, 54 anni, Cataldo La Rosa, 56 anni, Salvatore La Cascia, 42 anni, e Antimo Dell’Aquila, 62 anni. Poi Alessandro Messina, 39 anni, di Mazara del Vallo.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)
l’Art. 36 e la stabilizzazione dei lavoratori ASU ormai si stà trasformando nell’araba fenice di irraggiungibile e mitologica speranza.
Oggi l’Assessore al lavoro della Regione Siciliana Dr. Scavone ha convocato per l’ennesima volta il tavolo tecnico permanente composto dalle OO.SS. rappresentative dei lavoratori ASU.
Anche in questa occasione abbiamo ascoltato le diverse posizioni, espresse in ordine sparso, che rappresentano la variegata condizione di questi lavoratori, che non permetteranno certamente il raggiungimento dell’agognata stabilizzazione.
Per chi non è a conoscenza della tragedia Asu, ricordiamo che il Governo Musumeci, finalmente dopo tanti Governi che hanno di fatto letteralmente ignorato il “lavoratore ASU”, ha avuto il coraggio e la dignità morale di voler affrontare la loro stabilizzazione.
Questo coraggio è stato offeso e calpestato da una decisione vergognosa del Governo Nazionale che ha impugnato l’art. 36 della legge di stabilità Siciliana.
Questa impugnativa non è ancora stata risolta e da quanto appreso riteniamo che il Governo Nazionale continui a non volersi confrontare sulla soluzione degli ASU Siciliani e non comprendiamo il perchè di questa volontà distruttiva.
L’Assessore Scavone ha comunicato alle OO.SS. che la Sicilia sta ancora attendendo di potersi confrontare con il Ministro del Lavoro Orlando affinchè si possano esporre le buone ragioni in difesa del diritto alla stabilizzazione di questi lavoratori.
Il Segretario Sinalp Sicilia Dr. Andrea Monteleone con la Dirigente Sindacale Mirella Di Piazza hanno volutamente evidenziato questo atteggiamento negativo del Governo Nazionale, offensivo verso tutti i Siciliani.
Considerare l’intero popolo siciliano non meritevole di attenzione vanifica 150 anni di unità e certifica la pervicace volontà dell’Italia a voler considerare la Sicilia come una colonia non meritevole di alcuna attenzione.
Il Segretario Sinalp Monteleone invita l’Assessore ad avere il coraggio e la volontà di denunciare questo atteggiamento del Governo Nazionale ed in questo caso il Sinalp sarà al suo fianco.
Pur di richiamare il Governo Nazionale alle sue responsabilità il Sinalp è disponibile a sottoscrivere la nota di denuncia di questo atteggiamento, offensivo dell’intera Sicilia, che l’Assessore vorrà indirizzare al Governo Nazionale e siamo certi che anche le altre OO.SS. saranno altrettanto disponibili a sottoscriverla per il bene ed il rispetto di 4.571 lavoratori che da 24 anni subiscono una violenza sociale, giuridica e professionale inaudita.
Dalle parole dobbiamo passare ai fatti, se veramente siamo parte integrante di questa Italia non è ammissibile, non è accettabile essere offesi e vilipesi in questo modo dall’attuale Governo Nazionale.
In merito all’utilizzo dei fondi accantonati per il primo anno di stabilizzazione, si è discusso sull’opportunità di utilizzarli per pagare una integrazione oraria a tutti gli ASU; a tale proposito Monteleone con la Dirigente Sinalp Mirella Di Piazza hanno precisato che tale soluzione potrà essere accettata solo se il Governo Musumeci confermi che tale scelta non andrà ad inficiare successivamente la stabilizzazione ASU per mancanza di copertura economica.
Su questa opzione si ragionerà a breve con l’Assessore Scavone affinchè non si trasformi in un boomerang contro gli stessi lavoratori.
A termine dell’incontro il Segretario Andrea Monteleone e la Dirigente Regionale Mirella Di Piazza hanno invitato l’Assessore a produrre una nota, condivisa da tutte le OO.SS. presenti, per imporre al Governo Nazionale una risposta sulla stabilizzazione degli ASU e se necessario il Sinalp con i propri iscritti sarà in prima linea davanti al Ministero del Lavoro affinchè si chiuda definitivamente questa bruttissima pagina della nostra storia con l’ottenimento della ormai agognata stabilizzazione.
Legacoop Sicilia e Legacoop sociali Sicilia, apprendono con dolore dei tragici fatti di Castelvetrano, con l’incendio che ha distrutto il ghetto dell’ex “Calcestruzzi Selinunte”, provocando la morte di un giovane lavoratore “invisibile”, arso vivo all’interno dell’insediamento.
Ancora una volta una vittima dello sfruttamento e della mala accoglienza che nel nostro Paese lucra sulla vita di migliaia di persone in cerca di un futuro dignitoso.
Per questo motivo noi denunciamo le modalità disumane in cui vengono trattati i lavoratori stranieri, senza diritti e tutele, con alloggiamenti di fortuna ed estremamente pericolosi per la salute e per la vita stessa delle persone.
Invitiamo, pertanto, le Prefetture, i Comuni le Asp competenti e tutti gli organi di controllo a vigilare ed intervenire tempestivamente per prevenire queste disgrazie.
Già da subito Legacoop Sicilia si sta attivando per la raccolta di beni di prima necessità (anche in accordo con altre organizzazioni) per fronteggiare l’emergenza, a partire dalle cooperative del territorio
Filippo Parrino Presidente di Legacoop Sicilia
Pippo Fiolo Presidente di Legacoop sociali Sicilia
Alle prime luci dell’alba della giornata odierna, la Polizia penitenziaria del Nucleo Investigativo Regionale della Sicilia, unitamente ad alcune unità del Nucleo Traduzione e Piantonamenti e del P.R.A.P di Palermo, nonché del Reparto della Casa di Reclusione di San Cataldo, coordinati dal Nucleo Investigativo Centrale di Roma, ha dato esecuzione, su richiesta della Procura della Repubblica di Caltanissetta, all’ordinanza, emessa dal GIP, della misura cautelare in carcere nei confronti di Z.S. e degli arresti domiciliari per altre 4 persone, tra cui un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, ritenuti responsabili a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio e commercio di sostanze stupefacenti, corruzione e utilizzo illecito di telefoni cellulari all’interno del carcere.
Le complesse attività di indagini, che hanno avuto inizio dalla segnalazione del Comandante del Reparto di Polizia penitenziaria della Casa di Reclusione di San Cataldo, e condotte con la collaborazione dello stesso, hanno permesso di accertare che l’Assistente Capo S.C.M., in forza nella struttura penitenziaria, dietro compenso in denaro, provvedeva a introdurre illecitamente sostanze stupefacenti all’interno del Penitenziario e che il detenuto Z.S., a cui lo stupefacente veniva recapitato, si occupava della commercializzazione tra i detenuti e delle richieste dei successivi rifornimenti.
La sostanza stupefacente veniva consegnata dalla moglie e dai due figli del ristretto, tutti residenti nel comune del Palermitano, al poliziotto infedele che approfittando delle sue funzioni la consegnava al detenuto.
Le attività tecniche hanno consentito di acquisire ulteriori elementi di prova in ordine agli episodi corruttivi e di individuare tutti i soggetti che hanno preso parte all’attività illecita tra cui anche altri 4 soggetti: 3 detenuti, attualmente reclusi presso l’istituto di San Cataldo, (G.G.; V.R.; A.M.) e un palermitano (R.S.) tutti indagati a piede libero nell’ambito del procedimento penale.
Le indagini hanno dimostrato come la disponibilità di un telefono cellulare durante il periodo di detenzione oltre a permettere il perseguimento di obiettivi criminali consente di mantenere continui rapporti con l’esterno, consolidando posizioni di leadership all’interno del carcere.
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