Un’accesa lite è avvenuta nel pieno centro di Favara. Non sono ancora chiari i motivi di tale discussione finita a calci e pugni.
Il tutto è accaduto in Via Ugo Foscolo.
I residenti della zona e molti passanti hanno allertato le forze dell’ordine segnalando quanto avveniva.
Sul posto sono accorsi i militari della Tenenza di Favara, capitanati dal Tenente Fabio Armetta e i loro colleghi del Cio (Compagnia Intervento Operativo), che hanno riportato la calma per poi mettere le manette ai polsi ai responsabili della lite.
I coinvolti sono due fratelli M.R., e F.R., rispettivamente di 35 e 30 anni, G.C. di 48 anni, e G. P. di 60 anni che adesso devono rispondere, in concorso, dell’ipotesi di reato di rissa aggravata, e resistenza a Pubblico ufficiale, poiché si sono scagliati anche contro i carabinieri.
“Non è un cosa seria” direbbe il nostro conterraneo Luigi Pirandello, che saprebbe raccontare meglio di chiunque la farsa e il dramma che si cela dietro alla celebrazione dei congressi di circolo del PD Agrigentino. I numeri non mentono e dicono con chiarezza, senza bisogno di commissioni di garanzia o di organismi, che la partecipazione nei Comuni è stata scarsissima: poco più di 220 tesserati hanno preso parte ai congressi locali, a fronte dei 1725 complessivi.
Si pensi al caso di Agrigento città, in cui ha partecipato meno del 10% della platea degli iscritti. Congresso organizzato da un ex consigliere comunale ed ex assessore per cinque anni alle politiche sociali, bocciato dagli elettori alle ultime amministrative, e da lui gestito quasi come vicenda personale, al punto da pensare di poter dare in concessione a militanti e dirigenti posti in direttivo, e di inserire anche iscritti inconsapevoli e assenti al congresso.
Si pensi al fatto che i congressi, laddove svolti, lo sono stati con 3, 4, 5, 6 iscritti, come a Favara, Sambuca, Casteltermini e Ribera, con 14 iscritti in centri come Licata e Palma di Montechiaro, con punte massime di partecipazione di 20 iscritti in una città come Canicattì, o di 45, ospiti compresi, nella città di Sciacca. Si pensi al fatto che molti congressi, quelli dei circoli di Santa Elisabetta, Bivona, Campobello di Licata, Santo Stefano di Quisquina, Siculiana, Camastra, Calamonaci e Lampedusa e Linosa sono andati deserti.
Questo dato soltanto dovrebbe far riflettere, e indurre gli artefici di questo grave delitto di democrazia, a fermare un congresso segnato dalle scelte di un commissario il cui unico compito è stato quello di assicurare a tutti i costi i numeri, con regole ad uso e consumo di una parte che la spartizione a tavolino delle segreterie provinciali si consumasse anche nella nostra provincia.
Con una Commissione Provinciale per il Congresso, che ha indetto e programmato i congressi dei circoli, senza coinvolgere i segretari uscenti, che non hanno avuto nemmeno contezza dell’anagrafe degli iscritti, violando dozzinalmente le regole per lo svolgimento della vita democratica nel nostro partito, a dimostrazione che è in atto un tentativo di appropriarsi del simbolo PD nel disprezzo più assoluto della pluralità con metodi familistici.
In piena pandemia, con una anagrafe secretata, conosciuta soltanto a una parte e che nessuno ha verificato per conoscere se siano stati rispettati i principi stabiliti dal nostro codice etico, si porta a conclusione un congresso per consegnare, sull’altare degli equilibri siciliani, Agrigento alla componente rappresentata dal deputato nazionale Carmelo Miceli e dal deputato regionale Michele Catanzaro. Chi aveva il potere e il dovere di intervenire, il segretario regionale Anthony Barbagallo, si è girato dall’altra parte, diventando l’esecutore dell’operazione, forse perché anch’egli figlio dello stesso tavolo di spartizione.
Una beffa, soprattutto perché mira a rendere marginale quella componente, che con una percentuale superiore al 72% in provincia di Agrigento, ha sostenuto con convinzione Zingaretti nella sua corsa alla segreteria nazionale. Un sostegno convinto di militanti stanchi di anni di renzismo che avevano mortificato il ruolo dei circoli e del territorio. Un sostegno carico di entusiasmo, nella convinzione che finalmente questo nostro partito potesse tornare ad essere punto di riferimento di quei valori e contenuti in cui crediamo.
Purtroppo ci siamo svegliati in un partito la cui realtà è ben diversa! In cui le componenti, o correnti che dir si voglia, non rappresentano contributi e punti di vista diversi, ma quote di un “partito per azioni”. Dove la ricerca di equilibri è più importante delle idee e dei valori. Dinanzi alle tante nostre denunce, nessuno (commissario, segretario regionale, deputati ecc.) si è mai preoccupato di comprenderne le ragioni, limitandosi a proporre poltrone e spazi di compensazione. Proposte irricevibili, utili soltanto a far tacere e a legittimare il percorso di un congresso snaturato.
Ha ragione Zingaretti quando parla di stillicidio. Ad Agrigento un pezzo del partito già da un anno ha sperimentato quel sistema di occupazione, quel tentativo di scalare il partito, che il segretario nazionale ha in questi giorni denunciato. Il correntismo, utile solo a consolidare la rendita di posizione del deputato di turno e dei suoi sodali, è quanto di più lontano ci possa essere dalla cultura plurale su cui si è costituito il PD.
Dentro quel 72% (o forse più) ci sono dirigenti, sindaci, assessori, consiglieri comunali, componenti dell’assemblea nazionale e regionale e, soprattutto, uomini e donne che credono nel Partito Democratico e che in questi anni, in una provincia difficile, si sono preoccupati di mantenere i circoli aperti, luoghi di incontro e confronto, presidi importanti di partecipazione democratica.
Non abbiamo partecipato a questo congresso farsa e non parteciperemo alle riunioni degli organismi e alle iniziative del partito democratico. Ma non ci sospenderemo certo dalla politica! In attesa che si riapra un momento di confronto vero, dove i contenuti abbiano cittadinanza, non staremo né muti, né fermi. Il nostro impegno, per l’affermazione dei valori e delle idee in cui crediamo e che ci hanno convinti ad aderire al PD, continuerà con forza.
Non siamo disponibili a rinunciare alla politica, alla bellezza della partecipazione civile e sociale. Saremo osservatori attenti delle proposte politiche di questa parte minoritaria del PD e ci costituiremo in un grande coordinamento per partecipare ai prossimi appuntamenti elettorali, a livello locale e regionale, e per rappresentare le istanze dei territori, delle donne e degli uomini della nostra provincia, troppo spesso ai margini.
In netta crescita il nuovo contratto sottoscritto il 15 ottobre 2020 da USPI-CISAL diretto alla regolamentazione dei rapporti di lavoro di natura redazionale nei settori della comunicazione e dell’informazione periodica locale e on line, nazionale no profit, nel rispetto dell’art. 21 della Costituzione, dell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e della Legge 3 febbraio 1963, n. 69 (“Ordinamento della professione di giornalista”).
Si tratta di un contratto che di giorno in giorno segue un andamento in progress, superando le attese più ottimistiche dei due organismi promotori. Sempre più numerosi gli editori ricorrenti a questo nuovo sistema contrattuale, dalla formulazione ponderatamente allineata alle incertezze attuali economico-sociali del Paese. Un accordo, dal quale inequivocabilmente emergono competenza e serietà nell’approccio ad una materia delicata e complessa, che sta rivelandosi vantaggioso, da una parte per le aziende nel ritrovare le condizioni migliori per la regolarizzazione di posizioni lavorative in empasse e dall’altra perché sostiene sensibilmente le esigenze dei giornalisti, ormai sempre più spesso senza reddito.
Assicurare con la massima urgenza e responsabilità, presente e futuro di un settore piegato da oltre un decennio dalla recessione e nell’ultimo anno dall’emergenza sanitaria da Covid-19 ha caratterizzato con priorità assoluta l’azione di UspiUnione Stampa Periodica Italiana che, si è posta dunque un obiettivo primario, riservato allo sviluppo sostenibile del comparto editoriale che possa garantire contrattualmente e professionalmente gli operatori della comunicazione e della informazione. Da qui, l’accordo stipulato da USPI, Unione Stampa Periodica Italiana, fondata nel 1953 accoglie al suo interno mille editori associati di 3mila testate periodiche e on line, e CISAL, Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori, la più importante organizzazione sindacale autonoma d’Italia costituita nel 1957, con 1 milione 700mila iscritti.
Alla sigla del contratto il 17 ottobre 2020, a rappresentare l’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana: il Segretario Generale Francesco Saverio Vetere, il vice Segretario Sara Cipriani e il vice Presidente Luca Lani.
Sottoscrittori per la CISAL, Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori: Segretario Generale Francesco Cavallaro, il Segretario Confederale Fulvio De Gregorio e il Segretario Generale di CISAL Terziario Vincenzo Caratelli.
Le vicende che hanno preceduto il protocollo d’intesa USPI-CISAL
L’accordo arriva, dopo l’inspiegabile blocco alla proroga di un precedente contratto siglato dall’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI) nel maggio del 2018 con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana Fnsi.
Un’iniziativa mirata a disciplinare il lavoro giornalistico con l’introduzione di interessanti elementi di novità in favore delle testate on-line, energicamente voluta dal Segretario generale dell’USPI, avvocato Francesco Saverio Vetere, da oltre vent’anni strategicamente impegnato nell’attuazione delle politiche fondanti l’organismo nazionale in favore e a garanzia dell’Editoria, un settore dal 2007 al centro della profonda crisi finanziaria che ha colpito l’Italia. Il contratto giornalistico firmato il 24 maggio 2018 nella sede romana di Fnsi era stato frutto di ‘’indicazioni e suggerimenti maturati nel corso di un articolato e partecipato dibattito che ha impegnato segreteria, giunta esecutiva e Associazione regionali di Stampa’’ scriveva al tempo in una nota a margine dell’incontro, la Federazione Nazionale della Stampa firmataria della sottoscrizione – aggiungendo quanto la stessa ‘’introduceva regole, diritti e tutele per i giornalisti che fino a quel momento non avevano potuto godere di alcuna forma di garanzia’’. Il contratto di disciplina del lavoro giornalistico si sarebbe contrapposto nei limiti contrattuali a quello Fieg, unico in vigore dal lontano 1911, storicamente noto come Contratto Nazionale di Lavoro, posto in essere per la prima volta dalla Federazione della Stampa con L’Unione degli Editori.
E’ dunque di semplice comprensione quanto necessario ed urgente fosse affrancarsi da un contratto obsoleto, schematicamente ottocentesco e soprattutto economicamente insostenibile in questo periodo così spinoso, per il mercato dell’editoria e di mantenimento dei livelli occupazionali giornalistici, concetti certo condivisi dal Sindacato Nazionale della Stampa in sede di stipula nel 2018.
Ad eccezione delle fasce particolarmente privilegiate legate a sistemi che definiremmo ‘fortemente protetti’, buona parte dei giornalisti rappresentano oggi una categoria cha a fronte di una professione indiscutibilmente intellettuale, non riceve garanzie di stabilità lavorativa ed ancor peggio si trova largamente sottoposta a condizioni retributive al di sotto della soglia del minimo salariale, quando la vicenda non esonda nel becero sfruttamento.
La continuità del contratto USPI – FNSI, sarebbe stata una soluzione lungimirante e di largo respiro per editori e giornalisti se non fosse scientemente fatta naufragare . Una mossa dissennata, cui l’Unione Stampa Periodica Italiana ha tentato fortemente di evitare, malgrado i numerosi appelli del Segretario generale Vetere, affinchè l’accordo venisse prorogato. Dal Sindacato Nazionale della Stampa, fatti salvi alcuni colloqui informali con il segretario Raffaele Lorusso, intercorsi all’inizio del 2020 nei mesi precedenti la crisi emergenziale pandemica devastante per la salute pubblica e l’economia italiana e collassante per il comparto già fortemente compromesso, nessuna risposta coerente e concreta è mai giunta.
Dialogo interrotto proprio nell’anno del Covid-19, sullo sfondo una impietosa dinamica inopportuna e bieca, alle spalle di editori in pieno fallimento e giornalisti affamati. Quello Uspi- Fnsi, sarebbe stato un contratto stabile giuridicamente rilevante, all’interno degli argini stabiliti. Dunque per nulla insidioso nei confronti del contratto Fieg-Fnsi, perché non allargato e non applicabile ai grandi editori, come è stato invece insinuato.
Un contratto lasciato morire, secondo i più attenti osservatori, nell’ipotesi di poter così destabilizzare l’Uspi che, invece da quel passaggio confuso ne esce estremamente rafforzata e soprattutto in 68 anni di autorevole professionalità a servizio delle istanze della piccola e media editoria in sede politica e sindacale,ha dimostrato di non barattare mai impegno e serietà con posizioni enigmatiche e avventuristiche.
Lasciandosi alle spalle questa vicenda dai grigi contorni, l’Unione Stampa Periodica Italiana nel rimboccarsi le maniche, in continuità con la l’impegno di sempre è speditamente andata avanti riprendendo le fila del discorso con idee lucide. Al centro unica costante, le sorti del comparto dove strettamente collegati a filo doppio sono editori, giornalisti e operatori della comunicazioni categorie infragilite che invocano aiuto e solidarietà. Nasce così USPI-CISAL, ”un contratto di lavoro moderno – spiegano i Segretari generali dei due organismi Francesco Saverio Vetere e Francesco Cavallaro – applicabile sia ai giornalisti che a tutte le figure professionali che, non iscritte all’Ordine dei giornalisti, svolgono attività nei settori della comunicazione e dell’informazione”.
In un fil-rouge di impegno e responsabilità, il modello contrattuale USPI-CISAL incarna una forte sensibilità sul piano dell’approccio valoriale alle sofferenze sociali diffusamente vissute dal mondo editoriale. ‘’Un fondamentale passo in avanti a sostegno di un settore che merita di essere non solo salvaguardato, ma incoraggiato e valorizzato da norme e tutele finalizzate a garantire sostenibilità alle aziende e dignità ai lavoratori’’.
‘‘Diverrà un punto di riferimento importante in difesa e per la creazione di posti di lavoro, proponiamo uno strumento stabile che fornisce soluzioni secondo le esigenze ”– sostiene l’avvocato Francesco Saverio Vetere – secondo cui il contratto estende diritti e tutele con l’introduzione di importanti elementi inediti finora mai individuati da alcun contratto nazionale di lavoro giornalistico’’.
Contesto
Il testo del contratto aggiornato eleva, a 1310 euro al mese il minimo retributivo del collaboratore redazionale e introduce la figura del collaboratore fisso che assorbe, così, i minimali precedentemente previsti per i dipendenti chiamati a garantire un minimo di 2, 4 e 8 prestazioni mensili.
«Una scelta rafforzativa – spiegano CISAL e USPI – che, comunque, non deve far dimenticare l’assunto che i contratti fissano retribuzioni “minime” e non “fisse”, per cui i minimali possono essere ovviamente migliorati attraverso la contrattazione aziendale o individuale».
Nel ricordare che ai giornalisti contrattualizzati USPI-CISAL i contributi previdenziali vengono versati alla Gestione Principale dell’Inpgi e che agli stessi è, inoltre, garantito un ulteriore contributo dell’1% della retribuzione mensile da destinare alla previdenza complementare, Cavallaro e Vetere rendono noto che «è in corso di definizione la convenzione per garantire a tutti i dipendenti la migliore copertura sanitaria integrativa delle prestazioni sanitarie integrative del Servizio Sanitario Nazionale. Una copertura – e questo è un ulteriore elemento di novità – che, contrariamente a tutti gli altri contratti di lavoro giornalistico, sarà garantita a tutti i dipendenti senza eccezione alcuna».
Un contratto, ricordiamo, nato dall’esigenza di garantire sostenibilità e sviluppo ad un settore messo a dura prova dalla crisi economica e sanitaria, che disciplina i rapporti di lavoro subordinato instaurati nei settori dell’informazione e della comunicazione nel rispetto dell’art. 21 della Costituzione, dell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e della Legge 3 febbraio 1963, n. 69 (“Ordinamento della professione di giornalista”).
Un contratto di lavoro che si applica sia ai giornalisti che a tutte quelle figure professionali che, non ammesse all’Albo professionale, svolgono attività nei settori della comunicazione e dell’informazione.
Il sottoscritto Giuseppe DI ROSA, Vice Presidente provinciale dell’associazione di volontariato CODACONS, associazione riconosciuta a livello nazionale quale portatrice di interessi collettivi primari, tra i quali il diritto alla salute, avendo avuto notizia di evidenti disfunzioni e ritardi nella campagna di vaccinazione, che rischiano di mettere in grave pericolo la salute dei cittadini, con particolare riguardo alle fasce più deboli, rappresentate da anziani, disabili, immunodepressi e loro conviventi, con la presente, con urgenza, chiede di conoscere:
L’attuale situazione relativa al numero di vaccini presenti e pronti per la somministrazione, con particolare riferimento a quelli idonei alla inoculazione alle predette categorie interessate;
I criteri per la scelta dei soggetti da vaccinare
L’esistenza di liste d’attesa
Il soggetto o i soggetti responsabili della compilazione delle liste di che trattasi
L’esistenza di eventuali commissioni istituite per l’incombente
Nell’eventualità di positiva risposta al quesito di cui al n.5 il calendario delle riunioni della commissione istituita
L’esistenza di verbali delle eventuali riunioni
Si rappresenta che la superiore richiesta viene avanzata ai sensi e per gli effetti di cui alla L.241/90.
Fin d’ora si formula istanza di accesso agli atti al fine di verificare il rispetto dei criteri di legge
Ieri, il Questore della provincia di Agrigento Dr.ssa Maria Iraci, al fine di scongiurare episodi di violenza e la commissione di reati in occasione di manifestazioni calcistiche e sportive in genere, ha disposto l’irrogazione di DASpo (divieto di partecipazione a manifestazioni sportive) a quattro soggetti arrestati nelle giornate scorse, con interdizioni dai 3 ai 4 anni, vietando loro l’ingresso e la sosta nei pressi degli impianti sportivi durante gli incontri ed il transito nelle strade interessate dal passaggio delle squadre e dei supporters.
Tali provvedimenti sono scaturiti da un evento verificatosi lo scorso 1 marzo, in Porto Empedocle quando i quattro giovani erano rimasti coinvolti in una violenta rissa per futili motivi. Alla vista della Polizia i rissanti cercavano di dileguarsi.
Gli uomini del Commissariato riuscivano ad identificare i quattro che, nel tentativo di divincolarsi per sfuggire al controllo, percuotevano gli agenti con calci e pugni e li costringevano alle cure del caso presso il locale nosocomio.
Negli ultimi 12 mesi, conseguentemente ad eventi simili, la questura di Agrigento ha irrogato in provincia oltre 100 DASpo e più di 30 DACur, e cioè il divieto di frequentare determinati esercizi pubblici dove i sanzionati si sono resi responsabili di condotte violente.
Le dimissioni del sindaco di Corleone, Nicolò Nicolosi, accusato di essere uno dei “furbetti” del vaccino, stanno provocando parecchie polemiche in tutta Italia. Sull’argomento è intervenuto il sindaco di Raffadali, Silvio Cuffaro che ha voluto manifestare pubblicamente la sua solidarietà al primo cittadino di Corleone e suo omologo.
“Ho chiamato personalmente l’onorevole Nicolosi – ha spiegato Silvio Cuffaro – per manifestare tutta la mia solidarietà e la mia stima nei suoi confronti e l’ho invitato a ritornare sulla sua decisione. Trovo assurdo che a pagare sia uno dei sindaci più corretti e anche più anziani d’Italia. Al di là se il sindaco di Corleone avesse più o meno diritto degli altri, visto che compirà a breve 79 anni, condivido però la sua scelta di porre provocatoriamente l’accento su un problema, quello della vaccinazione dei sindaci, che è sotto gli occhi di tutti. Per mesi – continua Cuffaro – siamo stati in prima linea su tutti i fronti e abbiamo affrontato la crisi sanitaria, quella economica e quella sociale, senza armi e senza alcun sostegno. Un sindaco, tengo a precisare, è il capo della Polizia Locale, autorità comunale di Protezione Civile e autorità sanitaria locale, oltre a tutti gli altri compiti di responsabilità che ogni giorno è chiamato ad assolvere. Ebbene, i componenti della Polizia Locale, della Protezione Civile e tutti gli operatori sanitari hanno il diritto di vaccinarsi e molti lo hanno già fatto, il sindaco, invece, che sovrintende a tutti questi servizi, non ne ha invece diritto: mi sembra un’incongruenza più che palese.
Di fronte a tutto ciò, nessuno di quelli che doveva decidere ha avuto l’intelligenza e la sensibilità di capire che i circa ottomila sindaci d’Italia rappresentano l’ultimo baluardo a presidio dei territori decentrati e per questo motivo devono essere salvaguardati, non per un trattamento di favore, ma perché la loro presenza, specie in questo ultimo anno, ha rappresentato per tutti i cittadini una figura che ha dato loro conforto, aiuto, solidarietà e molto spesso anche sollievo e incoraggiamento a resistere. Credo – ha concluso Cuffaro – che continuare a tenere in prima linea i sindaci d’Italia sia una necessità per tutti e non un privilegio. Bene dunque ha fatto Nicolosi a sollevare il problema, seppur in maniera trasgressiva, e richiamare l’attenzione di chi deve prendere le decisioni e, forse troppo alla leggera, ha condannato, a priori, l’azione del sindaco di Corleone”.
La Procura di Palermo e la Procura di Termini Imerese indagano, dopo la segnalazione dei carabinieri del Nas, su decine di presunti ‘furbetti’ del vaccino anti Covid. Sotto la lente di ingrandimento dei militari vi sono i centri di vaccinazione di Corleone, Petralia Sottana, il Giglio di Cefalù, Villa delle Ginestre, Policlinico, Fiera del Mediterraneo e Civico di Palermo. Tra i casi sospetti segnalati, oltre a quello del sindaco di Corleone Nicolò Nicolosi (che si è dimesso) e della giunta, vi sono diversi amministratori locali, un ex magistrato, un alto prelato ed esponenti delle forze dell’ordine a cui il vaccino sarebbe stato somministrato prima che rientrassero tra le categorie autorizzate. I carabinieri, che hanno presentato già informative alle due Procure, proseguono i controlli e le analisi degli elenchi dei vaccinati.
Le segnalazioni dei cittadini. Ad Agrigento sarebbe opportuno che la Polizia Municipale intensificasse i controlli nei pressi del PalaCongressi del Villaggio Mosè, dove è stato trasferito il mercato rionale. Infatti, i residenti in Via dei venti, al Villaggio Mosè, si lamentano perché coloro che sono diretti al mercato parcheggiano selvaggiamente tanto che il transito non è possibile nemmeno alle autoambulanze in emergenza.
A Canicattì, nel centro storico, un’ignota mano, al momento, si è accanita contro l’automobile di un assicuratore, una Maserati. Sono state danneggiate entrambe le fiancate, la parte posteriore e anteriore, spaccato un vetro anteriore e danneggiato anche il navigatore interno all’abitacolo. Il proprietario ha sporto denuncia ai Carabinieri. Indagini sono in corso. L’ammontare del danno, coperto da assicurazione, è da quantificare.
A Palermo la mafia pratica il business degli orologi di lusso, destinati a facoltosi clienti, concludendo operazioni finanziarie anche con l’estero. La Guardia di Finanza ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 15 persone, ed un sequestro preventivo, disposti dal Tribunale su richiesta della Procura antimafia. Uno degli indagati è in carcere, 11 agli arresti domiciliari e a tre è stato notificato il divieto di espatrio e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Nell’inchiesta è stato determinante il nuovo collaboratore di giustizia, Gaetano Fontana, affiliato all’omonimo clan mafioso, storicamente egemone nei quartieri palermitani dell’Acquasanta e dell’Arenella del mandamento mafioso di Resuttana. Agli indagati sono contestati, a vario titolo, i reati di favoreggiamento personale, riciclaggio, auto-riciclaggio con l’aggravante del reato transnazionale e di avere favorito Cosa Nostra. Secondo gli investigatori, gli indagati, a vario titolo, avrebbero reinvestito ingenti risorse finanziarie (provenienti dai reati commessi nel territorio palermitano) nel business del commercio “in nero” degli orologi di lusso, concludendo affari anche con l’estero grazie a una fitta rete di relazioni con operatori del settore compiacenti, tra esercizi di “compro-oro” a Londra, Milano, Roma e Palermo.