“The red Lion”: al Napoli Teatro Festival una storia che finisce nello stomaco tra emozioni crude come la realtà

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Quanto si è disposti a pagare per sbarcare il lunario, per un riscatto sociale?

Quanto vali, cosa conti?

Sotterfugi, tradimenti, intrallazzi in “The Red Lion” in  prima nazionale ieri nella splendida cornice di Palazzo Reale nell’ambito della rassegna Napoli Teatro Festival, che quest’anno arriva nel post lockdown incontrando l’entusiasmo del pubblico che ha risposto con estremo interesse facendo registrare un tutto esaurito sera dopo sera, nel pieno rispetto delle norme igienico sanitarie e del distanziamento sociale previsto in questo periodo post pandemico.

Il testo anglosassone di Patrick Marber, riadattato alla vita difficile di provincia, con la regia di Marcello Cotugno, vede in scena Nello Mascia, Andrea Renzi e Lorenzo Scalzo, che vivono il palco che riproduce lo spogliatoio dentro il quale si discutono le sorti di una giovane promessa del calcio, con un passato difficile, che farebbe di tutto semplicemente per poter giocare e che resta inevitabilmente incastrato in un “gioco” più grande di lui, le cui regole le faranno un allenatore egoista, bugiardo, senza passione e senza scrupoli e un massaggiatore, ormai anziano, con un passato da calciatore, scivolato poi in un degrado sociale che lo ha portato a vivere quasi di stenti. Don Gaetano per il giovane calciatore sarà come un padre, ma non riuscirà a proteggerlo dal girone dell’inferno nel quale Rosario proverà a trascinarlo semplicemente per difendere i suoi interesse, l’unica cosa che per lui conta a discapito del bene di una squadra, dei suoi giocatori e della stessa società calcistica che è solo un paravento dietro il quale si consumano  accordi loschi e sciatti.

Uno spettacolo che solo apparentemente parla del mondo del calcio ma che mostra sin da subito la sua vera natura, che si snoda su più livelli e che scivola piano dentro le scelte quasi tutte subdole, rimaste incastrate nella volontà di inseguire una gloria che però non saprà spogliarsi fino in fondo di quella realtà tutta sbagliata e troppo angusta, per far decollare un sogno.

Tre generazioni, tre storie diverse, tre passati difficili, tre aspirazioni morte troppo in fretta, le origini di ognuno dei personaggi, la voglia di cambiare in qualche modo e la convinzione che le scorciatoie siano l’unica strada percorribile, anche a costo del disprezzo.

Tre uomini con ruoli ben distinti, tre caratteri e personalità difficili da tenere insieme, e un solo finale che si divincola da ogni cliché e mostra la forma del disagio sociale e  dello svilimento di ogni possibile capacità.

Meccanismi da ingrassare, affari sporchi e interessi personali da difendere mentre è la fame che fa da collante tra l’illegalità e il gioco sporco.

In scena uno spaccato di quella realtà fin troppo vera e cruda, nella quale “si passa la vita a firmare e rompere contratti”, dove tutto spesso è finto, deciso a tavolino a discapito di un talento che potrebbe brillare se solo avesse il terreno giusto dove diventare forte, prorompente, assoluto, ed invece è solo una sconfitta sul nascere.

Dinamica e convincente la pièce per merito della regia e dei bravi attori che sul palco si scambiano spesso di posto e di intenzioni, mettendo a fuoco quel ruolo difficile di chi per convincere gli altri, alla fine deve prima di tutto tradire se stesso.

Uno spettacolo di 1 ora e 40 minuti in cui lo spettatore senza quasi volerlo, si trova catapultato nelle difficoltà del vivere, nell’ingerenza di molti e nella forza di alcune passioni che si spengono una volta investite dai fallimenti in cui ti trascina chi è disposto a tutto pur di sbarcare il lunario, mentre resta a mani vuote e cuore in sordina.

E adesso, aspettiamo la tournée.

 

Simona Stammelluti

Il servizio

 

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