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Come diceva Antonio Neiwiller, grande artista di teatro, l’arte è arte quando è dialogo tra diverse discipline; E allora si fa presto a pensare all’arte quando si assiste ad una performance come quella che ieri sera Max Mazzotta ha regalato al suo pubblico nella suggestiva cornice del Teatro Svevo di Cosenza.

Noto al grande pubblico come attore di cinema e teatro, ieri sera ha raccontato il suo modo di fare musica, con un concerto dal titolo “Spiriti e maligni“. 10 canzoni, scritte e poi arrangiate insieme ad uno dei più bravi musicisti italiani, il chitarrista Massimo Garritano che insieme a Carlo Cimino al basso e al giovane batterista Antonio Belmonte hanno raccontato un modo di fare musica eclettico e originale.
L’originalità è propria dell’artista che coniuga con leggiadria l’arte del teatro con la musica e con l’uso minuzioso e intrigante della sua presenza scenica, oltre alla caratteristica voce ricca di sfumature che durante il concerto ha usato per creare suoni, controcanti, scat e innumerevoli sonorità molto ben accordate a quei testi capaci non solo di incontrare la sfera emotiva dell’ascoltatore, ma anche di divertire.

Sul palco anche due talentuose coriste, Noemi Guido e Claudia Rizzuti, dotate di voci capaci di essere supplementari a quella del cantautore ma anche di esprimere una bravura tecnica, interpretativa ed emozionale. Il gioco – mai facile – tra strumenti e voce, è efficace quando l’interplay è ben collaudato così come su quel palco ieri sera.

La musica di Mazzotta ricorda a tratti De André a tratti Rino Gaetano, eppure è “tutto suo”.
Quel suo cantare che sembra contaminato da tutti i generi musicali. Il cantautorato che incontra il funky,il pop, il folclore. La musica come cornice di quei testi che parlano di quotidiano, di vita di coppia che cambia con le stagioni, e di sogni che possono essere sia spiriti (inteso come lontani dalla realtà) che maligni ossia che provocano e a tratti conducono alla nostalgia.

Il tutto condito dalla fisicità espressiva riconoscibile ed inimitabile di un artista che sul palco non si risparmia mai e che mostra una notevole dote nel tessuto musicale del cantautorato. La metrica, gli accenti, la prosodia e la ricerca del dettaglio, sono senza dubbio le caratteristiche di questo lavoro musicale che merita di essere ascoltato e perché no anche riascoltato.

Ho trovato il concerto molto bello.
E considerato che utilizzo questo aggettivo sempre con parsimonia, è significativo del fatto che questo lavoro ha incontrato il mio interesse e mi ha piacevolmente sorpreso.
Ho apprezzato molto le scelte di ingresso e uscita degli strumenti, voci comprese, e la coralità di un lavoro fatto anche di tutta l’organizzazione che gira intorno ad un evento così ben realizzato.

Sono stati due maestri del Conservatorio di Cosenza, Carlo Cimino contrabbassista e Nicola Pisani sassofonista, a salutare il folto pubblico intervenuto all’Università della Calabria e con “Silence”, di Charlie Haden hanno dato via al seminario dedicato al marionettista C. J. Abbey con il quale Steven Feld ha realizzato un film “Ghana’s Puppeteer” che documenta la capacità dello stesso Abbey di utilizzare le marionette per raccontare la musica in molte sfumature, dalle strade del Ghana, alle Tv internazionali; Abbey che parlava diverse lingue, che aveva una vera e propria passione per Coltrane, che utilizzava le marionette per rappresentare le situazioni locali, per comprendere il senso del suono. Marionette che dalle sue sapienti mani cantavano ed eseguivano musiche delle varie culture, e quella capacità di Abbey di mettere insieme l’antropologia del suono con il cosmopolitismo.

15 anni di collaborazioni, tra i due, diversi dischi, un film e un libro che è semplicemente una nota a piè di pagina di questa complessa ed entusiasmante storia.

L’invito è giunto a Steven Feld dal Professor Carlo Serra – docente di Teoria dell’immagine del suono – che fortemente ha voluto la sua presenza all’Università della Calabria e che ha organizzato il convegno, invitando un gruppo di esperti del settore, che hanno relazionato circa i loro lavori nell’ambito del suono e della musica. Steven Feld noto nel nostro paese anche per le frequenti incursioni che lo hanno portato a studiare le nostre tradizioni e il nostro paesaggio sonoro.

Presenti al convegno insieme a Steven Feld e al Prof. Carlo Serra, il Prof. Fulvio Librandi, dell’Università della Calabria, il Prof. Antonello Ricci dell’Università della Sapienza di Roma, il Prof. Sergio Bonanzinga dell’Università di Palermo e il Prof. Nicola Scaldaferri dell’Università degli studi di Milano. Da tutti loro è arrivato un contributo fattivo ed interessante sul senso antropologico della musica e dell’ascolto, sull’accostamento tra suono e musica, sull’importanza della tradizione musicale e sul suono come forma di conoscenza del mondo contemporaneo.

Tanti i concetti che hanno catturato il pubblico intervenuto numeroso, composto non solo da studenti della prestigiosa Università calabrese, ma anche musicisti, docenti, giornalisti di settore e appassionati.

Siamo un equilibrio precario da mantenere secondo natura; i sensi mediano il nostro rapporto con il mondo e i saperi che apprendiamo attraverso i sensi, sono veri e propri manufatti culturali. Il suono ci ingloba e il punto di vista come il punto di ascolto sono parimenti utili nella concezione del mondo, un mondo dove il suono ci comprende e ci specifica” – ha spiegato Fulvio Librandi.

Molto interessante il lavoro documentario di Antonello Ricci, antropologo e etnomusicologo nel quale attraverso un’etnosceneggiatura, Luigi Nigro, campanaro, racconta se stesso, la musica delle sue campane, il rapporto tra suono e sentimento,  tra suono e pianto, che si traduce in quel legame che tutti noi abbiamo tra l’udito e il nostro modo di stare al mondo. L’ascolto è il senso dell’antropologia, e la compassione diventa una dimensione importante, nella misura in cui la “passione comune” si evolve anche attraverso gli scambi sonori, attraverso un codice acustico che diventa un codice culturale. Luigi Nigro, che tutto quel che sa gli è giunto da suo nonno, attraverso la comunicazione da bocca ad orecchio, sia per quanto riguarda la storia e la realizzazione delle campane che l’arte della costruzione ed intonazione della zampogna. “L’accordo mi è entrato nella testa” – dice Nigro nel documentario, parlando emozionato di quel momento in cui suo nonno gli insegnava il mondo della musica.

Un momento intenso e significativo quello nel quale Steven Feld ha parlato dell’acustemologia, che unisce il concetto di acustica e di epistemologia, per affermare il suono come metodo di conoscenza. “Il mondo e dentro la bocca e la bocca è nel mondo” – ha detto Feld, spiegando come vi sia un passaggio dall’antropologia del suono all’antropologia nel suono, come le strutture relazionali possono passare dall’interno all’esterno e viceversa, e come nulla ha a che fare con il rituale, ma con la vita di tutti i giorni. La concezione della conoscenza come piacere; il piacere della conoscenza del mondo, che si fonde alla gioia di “essere al mondo”.

Durante il lungo seminario, è stato Sergio Bonanzinga a raccontare attraverso il suo lavoro documentario realizzato tra il 1987 e il 2017, le concezioni di tradizione orale in Sicilia, ossia la ridefinizione del concetto  di musica in relazione all’aspetto interculturale. E mentre nella nostra comune concezione, per conoscere abbiamo bisogno di distinguere, altrove la cultura si forma sulla agglomerazione, sulla relazione, sul “tenere insieme”. Così diventa fare musica e non solo suono, il battere del martello del fabbro sull’incudine, il suono delle ruote del carretto che diventano accompagnamento al canto, l’utilizzo di coltelli come se fossero strumenti a percussione, o il canto del telaio che “se non accordato, stona”.

A chiudere i lavori del convegno, prima di una collettiva e aperta discussione, Nicola Scaldaferri, che ha mostrato un servizio realizzato proprio insieme a Steven Feld, durante le tappe lucane, e i racconti del Maggio di Accettura, nel quale il rituale della musica non lascia mai spazio al silenzio.

Un vero e proprio excursus nel mondo sulla dinamica del suono, sul potere della conoscenza attiva, sull’importanza dell’ascolto e dello scambio quasi simbiotico tra la nostra percezione e le risposte dell’ambiente che in un continuo feedback reagisce con suoni, che sanno essere musica e che nutrono il rapporto sottile e meraviglioso tra le differenti sensibilità ed i contesti socioculturali.

Simona Stammelluti