Sanremo 2020: 10 motivi per i quali ricorderemo questa edizione numero 70

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Ce la ricorderemo sì questa 70esima edizione del Festival della Canzone Italiana; ce la ricorderemo per un bel numero di motivi, precisamente 10, a mio avviso.

  1. Una discreta dose di imprevisti: Il giornalista di Sky che si addormenta e così la notizia circa il vincitore di Sanremo è resa nota prima ancora della proclamazione. E così quasi un’ora prima del verdetto, tutti sapevamo già che aveva vinto Diodato. E che palle, vien da dire! Abbiamo resistito per 5 serate fino alle 2 e passa di notte, per poi veder svanito quel momento in cui tutti dicono la propria e quasi mai nessuno ha ragione.
    Bugo viene squalificato insieme a Morgan che cambia le parole della canzone in gara per vendicarsi di un arrangiamento non accettato, per punirlo e alla fine finiscono tutti e due fuori dalla gara. Morgan è il solito irrequieto, ma ha anche un pochetto rotto le scatole con questo atteggiamento da professore. Ma resto dell’idea che quello forse è stato l’unico modo che i due avevano per far parlare di sé, considerato che la canzone era davvero brutta. E poi ancora Junior Cally maschera sì, maschera no, e alla fine a volto scoperto ha mostrato molti più elementi iconici di quanto si immaginasse. E Tiziano Ferro che deve recuperare il rapporto con Fiorello dopo quella frase infelice sul tempo che lui ruba ed è costretto a lasciare biglietti di scuse in giro, fino al bacino in diretta per consacrare la pec fatta.
  2. Ci è voluta tanta resistenza per arrivare fino in fondo. 5 serate di cui le ultime 3 sono terminate a notte fonda, non sono una passeggiata di salute. Una lungaggine mai vista, fino allo sfinimento e lui, Amadeus, come un soldatino di piombo che non ha perso un colpo ma ha fatto anche altro; ha dimostrato che ci si può rialzare con classe e dignità dopo uno scivolone. E così dopo averci scherzato su, sdrammatizzando circa quella frase infelice della donna che sa fare un passo indietro, si è dimostrato un presentatore capace, un professionista che ha retto benissimo le redini della Kermesse, senza sentirsi mai divo, portando tra l’altro con disinvoltura quelle orrende giacche modello tappezzeria barocca che gli hanno dato da indossare sera dopo sera.
  3.  L’essere “figli di” aiuta, non prendiamoci in giro. Sarei curiosa di sapere se Leo Gassman avrebbe vinto uguale se non fosse stato il figlio di Alessandro e il nipote dell’immenso Vittorio Gassman. E allora a mio avviso se avesse voluto per davvero mettersi in gioco, avrebbe dovuto gareggiare ed entrare nel mondo della musica con uno pseudonimo. Allora sì che sarebbe stata una vera e bella sfida. Che poi il giovanotto, farà fatica a fare i conti con quel cognome ingombrante, tra un po’, anche se fino ad ora gli è stato così utile. Tutto questo talento non l’ho visto in lui né tantomeno tra gli altri giovani in gara.
  4.  A proposito di talento, questa edizione del Festival  ci ha ricordato che esistono diverse forme di talento, anche se inevitabilmente in una kermesse canora si ricerca il bel canto, il testo che possa far riflettere, il bell’arrangiamento. E non sempre tutto questo sta in un solo pezzo  … o forse sì. Tosca è stata quella che ha racchiuso tutto questo nella sua “ho amato tutto” e non è un caso che sia stata premiata dall’orchestra la sera dei duetti e poi ieri con il premio Giancarlo Bigazzi. Però è talento anche quello di chi si inventa un messaggio e poi usa la musica per veicolarlo. Il caso Achille Lauro ne è testimonianza. Sbaglia chi dice che non ha uno straccio di talento. Probabilmente non riconosceremo il pezzo, non ricorderemo le parole così come è accaduto invece lo scorso anno, ma sicuramente lo ricorderemo come colui che nel terzo millennio ha osato quello che fu dei grandi della musica in passato, da Bowie a Jagger fino a Renato Zero. Trasformismi non a caso, quelli del giovane cantante, che è stato tante cose ma alla fine sempre se stesso, dissacrante, convinto a voler scuotere dal significato troppo scontato di una performance sanremese e dalla distinzione tra generi. Ognuno di noi alla fine prima o poi si mette a nudo, dopo essere stato tante cose, dopo aver finto ruoli improbabili, o dopo aver scoperto che alla fine conta solo quello che si prova e non quello che gli altri vorrebbero da un noi e che spesso non esiste. Ha fatto e continuerà a far parlare di se Achille Lauro che con la sua “me ne frego” ha sancito un sodalizio anche con i malpensanti di turno.
  5. Abbiamo capito che la musica Indi che sta per Indipendente ha molto da dire e da dare. Si pensi ai Pinguini Tattini Nucleari, a Levante, a Sanremo, ma ancora Coez, Calcutta e tanti altri ancora. Un po’ meno da dire hanno forse i rapper italiani, che scandiscono male anche le parole e alla fine devi andare a capire cosa mai vorranno dire; o al contrario sono così maldestramente o convintamente espliciti.
  6. La bellezza da sola può davvero poco, come anche l’essere la moglie di, la fidanzata di. Perché ci vuole talento anche nell’essere belle e il look è solo l’ultimo tassello di una modalità estetica che deve contemplare raffinatezza, garbo e un pizzico di cultura. Le “vallette” o co-conduttrici che dir si voglia sono appartenute a due categorie difficili da mettere insieme; eppure Amadeus c’è riuscito a far convivere la bellezza delle giornaliste con quella delle modelle, mentre ognuno alla fine si è schierato con ciò che più ama di solito. Perché non è vero che la bellezza mette tutti d’accordo.
  7. Non è più il tempo dei super ospiti stranieri, i tempi della Whitney Huston e degli U2. Nell’edizione 2020 hanno fatto un figurone gli italiani. Zucchero, per esempio e poi Ghali e ancora Roberto Benigni che era in gran forma mentre raccontava “candidamente” il “cantico dei cantici”. E Fiorello, showman superlativo, che ha riempito molti spazi della kermesse con l’arte di chi sa fare tutti e tutto bene. Perché alla fine i nuovi divi, fuori dalle sale di incisioni, perdono ogni appeal, sono spesso fuori forma e privi di pathos.
  8. Chi mi ha seguito lo sa, per me questo festival sarà ricordato come quello con il maggior numero di stonature, di note fuori posto e fuori tempo. Dall’ospite fisso Tiziano Ferro a molto dei cantanti in gara, compreso gli ospiti della sera dei duetti. Non ci posso fare nulla, per me il canto deve passare dal controllo vocale che è imprescindibile e poi pian piano come in una soffice millefoglie tutti i particolari prendono posto; l’armonia, l’interpretazione, la capacità di modulare, i vibrati, i respiri e le piccole imperfezioni così care ai cantanti del passato che ne fecero il loro segno distintivo; ecco infatti, piccole imperfezioni, non eclatanti.
  9. Un po’ si è persa di vista la bellezza assoluta delle grandi orchestre, nel tempo dell’autotune e del fai da te, ma poi arriva Sanremo in tv in prima serata Rai e si deve necessariamente fare i conti con la bravura del lavoro di insieme, perché è proprio vero che alcune cose riescono meglio quando c’è sinergia e quest’anno gli eccellenti maestri dell’orchestra hanno salvato molte esibizioni.
  10. Il potere delle masse che inibisce il libero arbitrio. Nessuno ha più il coraggio di dire che vede Sanremo, tutti a denigrare la kermesse canora che esiste da 70 anni, tutti a mostrarsi sofisticati andando (fintamente) controcorrente, atteggiandosi a grande esperto di musica, di costume e di società e poi alla fine tutti lì incollati, mentre mai come quest’anno gli ascolti sono stati altissimi, per uno dei programmi più ricchi di musica, costume e società. Oltre 10 milioni di spettatori ogni sera. E quest’anno lo ricorderemo perché tra problemi politici, sanitari e mondiali, hanno tutti smesso di parlare di questo o quello per 5 lunghi giorni e dentro e fuori i social si è parlato solo di Sanremo.
    Perché Sanremo è Sanremo pararà

Simona Stammelluti 

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