Mina-Fossati, il nuovo album: E se invece Fossati avesse detto di “no”?

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Lo dico subito: A me, non è piaciuto.

Aveva ragione Fossati in quel 2 ottobre del 2011 quando da Fabio Fazio dichiarò che sarebbe uscito di scena, che non avrebbe più fatto dischi né concerti, che la sua carriera finiva lì, perché non aveva più nulla da dire. 

Non credo che potrei ancora fare qualcosa che aggiunga altro rispetto a quello che ho fatto fino ad ora” – disse.

Ed invece è tornato; sembrerebbe perché non capace di dire di no alla grande Mina, un po’ anche temendo un eventuale divorzio minacciato da sua moglie se non avesse accettato quell’allettante invito. E’ tornato Ivano Fossati, con un album senza titolo specifico. C’è solo un “Mina-Fossati“, due profili disegnati in copertina e 11 brani che sembrano troppo “scritti per l’occasione”. Sembrano scritti perché si doveva, senza particolare ispirazione, ma tant’è, considerato che era stato detto proprio dal cantautore diversi anni fa: “penso di non aver più altro da dire”. 

E allora cosa ha detto Fossati, in questo nuovo album?

Beh per chi conosce bene Ivano Fossati, per chi l’ha seguito in tutte e nelle tante fasi della sua carriera, e per chi come me l’ha amato e contemplato tra i migliori cantautori del secolo, si fa fatica a capire il senso di questo disco, del quale si poteva, forse, fare a meno.

Lui, che ci aveva abituati a brani come “L’orologio americano“, “Carte da decifrare“, “Questi posti davanti al mare“, “Notturno delle tre“, oggi ci costringe a godere(?) di pezzi nei cui titoli ricorrono parole come “luna, stelle, amore, noi due“. Insomma già nella scelta dei titoli non vi è la ricercatezza a cui Fossati in una vita di carriera ci ha abituati, così come ci ha abituati ad interrogarci circa quel che ci voleva dire, nel modo in cui ci consegnava un senso circa l’amore (cantato in maniera mai scontato)  o donandoci un affresco sul mondo, su come gestire un punto di vista, o sulle distanze. Ed invece in questo album le idee sono vaghe, con parole messe insieme spesso a forza e con rime improbabili come nel brano “Farfalle”: “il mio cuore intervistato adesso cosa ci dice, e risponde sono qui e per questo sono felice”.  E se “Nella barca di legno di rosa” passava una barca, qui passa un aereo. Ma è il significato racchiuso in quel “passare” che è completamente diverso, anzi dovrei dire distante.

In questo album non c’è nulla di veramente nuovo (inteso come sonorità) e ahimè neanche nulla di vecchio.
Non c’è la passionalità di Fossati, la melanconia struggente di amori che sembravano passati ma che ancora ardevano sotto le ceneri della distanza; in questo disco l’amore è cantato come se debba per forza assomigliare a qualcosa che fa fatica a compiersi … proprio come questo disco, che non convince fino in fondo.

Alcune dinamiche armoniche finiscono inevitabilmente lì dove ci furono capolavori del passato (la mano artistica quella è)  e la voce di Fossati si sposa bene con quella di Mina che resta una delle voci più belle di tutti i tempi per intensità, estensione, espressività. I gravi di Fossati sono affascinanti come sempre, e nel cantato si riconosce ancora una voluttuosità ed un piacere profondo. Buoni alcuni arrangiamenti, alcune sonorità  ricercate in strumenti solisti o in voci sintetizzate.  Fisarmonica, nuance di  R &B come nel pezzo “Ladro“, ma tendenziamente un album che si alza dentro una impalcatura sostanzialmente pop.

E a noi appassionati tornano in mente i ritmi reggae di “Panama“, gli arrangiamenti soul-jazz di “J’adore Venice“, e quel suo modo straordinario ed inconfondibile di saper andare sempre oltre e di poterci condurre ovunque. 

Se il senso di questo lavoro era dimostrare la grandezza dei due artisti, mi sembra un intento caduto un po’ nel nulla, se invece era l’unico espediente per risentire le voci dei due artisti, allora mi viene da dire che sarebbe bastato mettere su un vecchio disco, per goderne a pieno.

Si saranno sicuramente divertiti loro due, in questo disco, in fondo, che avevano da perdere? Due voci, che si incontrano, si incastrano spesso alla perfezione e poi il resto l’ha fatto l’orchestrazione di Celso Valli, che ebbi l’onore di conoscere a Sanremo nel lontano 1995.

Fossati è stato un gigante nella scrittura di testi, Fossati è stato quello che disse a De Andrè come rendere “Dolcenera” un capolavoro, ma che in questo album – sostanzialmente senza titolo – fa il compitino, ma senza particolare ispirazione. E forse, sarebbe stato meglio declinare l’invito, dire di “no”, e lasciare che ricordassimo quella carriera interrotta, come si confà con i grandi veri artisti, quando era giunto il tempo giusto.

 

 

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