In ”Povere creature!” di Lanthimos, Bella Baxter è il simbolo del libero arbitrio

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“Povere Creature!” è un film molto ben fatto e meritava i 4 oscar; quello alla Stone poi, era praticamente già vinto ancor prima di incominciare a girare. Eppure quel ruolo, dove con il corpo ci devi giocare, non è affatto facile.
Bella Baxter è il simbolo del libero arbitrio, della volontà che ti rende consapevole di chi sei e cosa vuoi; Bella è un personaggio che riscatta un mondo in cui tutti vogliono dire ad una donna cosa fare e chi essere, e seppur in vita grazie ad uno scienziato (che lei chiama God) che la trova dopo che lei ha tentato il suicidio e le impianta il cervello del bimbo che portava in grembo, presto diventa una donna che si evolve, che scopre il sesso, lo usa sganciato da un qualsiasi sentimento e se ne serve anche per rimettere a posto problematiche estemporanee che – in condizioni particolari – potrebbero atterrire.
Il sesso (per alcuni è stato troppo) è praticamente grottesco, incastonato in ambientazioni e consumato tra personaggi che nulla hanno di erotico, ed è questa la genialità di Lanthimos che se ne serve per creare un filo conduttore che ha sempre un senso, perché mette a nudo le contraddizioni, le ipocrisie, le sovrastrutture sociali che ci condizionano e ci fanno provare vergogna … ma mai abbastanza; perché la vergogna del sesso sì, ma delle proprie azioni no.
Per questo il regista rende tutto esplicito: dal nudo, alla scelta di un bordello parigino. Ma fa anche altro: sottolinea le differenze sociali che poi sono anche economiche; i poveri ad Alessandria D’Egitto, l’opulenza sulle navi da crociera.
In un’atmosfera gotica ma mai pesante, questo è un film che sa un po’ di fiaba, ed anche le ambientazioni, la fotografia, i costumi, i luoghi raccontati per immagini, vanno in quella direzione.
Bella è esuberante, è come una bambina che chiede sempre il perché delle cose, che vuole esplorare per capire e per capirsi.
Le riprese incorniciano i personaggi negli sfondi, come un ritratto su uno sfondo nero. È tutto perfettamente bilanciato e i dettagli enfatizzano la mostruosità di alcuni volti e di alcuni animi, e la bellezza di una innocenza che è tale anche quando diventa adulta e disinibita.
Bella è ciò che non sappiamo più essere, è un istinto tenuto a bada troppo a lungo.
I personaggi maschili nel film sono odiosi, pittoreschi, anche un po’ stupidi, sovrastati ed impotenti davanti ad una volontà matura che non “lascia stare” che non conosce la pena.
Malgrado i limiti, riusciranno anche ad uscirne migliori, vittime dell’esuberanza cristallina e senza sovrastrutture di una donna che impara da sé che il vero potere è il libero arbitrio.
Bella però – e qui c’è tutta la bravura di Lanthimos – non è un mero simbolo femminista, né un oggetto di desiderio sessuale.
La “buona società”, le buone maniere, i ruoli da rispettare all’interno di micromondi dove ci sono figure impostate ed imposte non soffocano lo slancio di Bella, che riconquista una dimensione priva di pudore ma anche di costrizioni fisiche ed intellettive.
I luoghi nel film, le ambientazioni sono assolutamente suggestivi, e le immagini che ci restituisce Lanthimos in questo film sono psichedeliche, mostruose e un po’ kitsch, attraverso grandangoli a forma di occhio, un terzo occhio, uno sguardo attento su dettagli che non devono passare inosservati, un po’ come accadeva nel cinema muto.
Forma e contenuto sono parti di un compromesso con cui l’autore regista incontra e sfida il grande pubblico a comprendere, senza doversi preoccupare di scavalcare tutto il mainstream che ha come scopo spesso, il compiacere. Qui c’è invece la presunzione di piacere; di piacere attraverso una provocazione che, alla fine è piacevole e ricca di spunti di riflessione.
Chi non vorrebbe poter essere per un giorno Bella Baxter, disinibita e sorridente, potente nelle sue scelte, completamente prive di compromessi.


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