Festival di Sanremo 2ª serata: difficile arrivare fino in fondo, Achille Lauro ancora al top, scarsa la Pausini

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Sanremo rispecchia da sempre il detto: “nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli”.
E dunque noi ne parliamo.

Per la seconda serata non ci sono molti plausi, considerato che è stato davvero difficile arrivare alla fine, per una serie di motivi. Uno su tutti, la minor presenza sul palco di Fiorello, considerato che è lui a tenere il ritmo della Kermesse canora. Anche la “valletta” non è stata all’altezza della prima serata. Al posto della De Angelis arriva una Elodie, che malgrado si atteggi a mannequin risulta impacciata anche nella semplice lettura dei nomi dei cantanti in gara. Per non parlare del medley, con scenografia e corpo di ballo stile Beyoncè senza essere Beyoncè.

Ma andiamo subito a dire cosa salvo di questa seconda serata di Sanremo ventiventuno. 

In generale nella serata salvo ancora Achille Lauro, che con una strepitosa “Bam Bam Twist” ridona guizzo e vitalità alla serata. Scenicamente impeccabile, lui vestito in doppiopetto, con una lunga treccia rossa (per omaggiare Mina) diventa protagonista come solo lui sa fare. Peccato che in quella performance ci fossero Francesca Barra e suo marito Claudio Santamaria, che non erano assolutamente intonati al contesto creato dall’artista, ma mostravano solo il loro egocentrismo (il bacio finale se lo potevano anche risparmiare).  Santamaria attore cinematograficamente sopravvalutato e la Barra che pensa per davvero di saper fare tutto (anche ballare un twist).

Orietta Berti nostra, dimostra – così come la Bertè nella prima puntata – quanto importante possa essere su quel palco l’intonazione, la presenza scenica e il controllo della voce. Bravissima, nel suo stile, inconfondibile il suo modo di cantare e senza una imperfezione, tanto da far sfigurare molti giovani sconosciuti ma pur sempre big, per la logica di Sanremo.

Nessun brano da segnalare tra le altre 4 nuove proposte in gara, ma a passare il turno sono stati Wrongonyou e Davide Shorty,  con un pezzo “Regina” che sembra clonato a “Un amore da favola” di Giorgia, stesso giro, stesso riff.
Ma credo ancora che Folcast venerdì vincerà a mani basse perché non c’è gara quando si è così bravi. 

Ermal Meta e la Ayane non deludono, lo Stato Sociale resta nel suo range di comodità, con un pezzo sulle contraddizioni dell’epoca moderna. Segnalo invece il pezzo di Fulminacci che avevo già apprezzato in altre situazioni extra Sanremo e che con quel testo mi ha ricordato che non sempre c’è un buon motivo per restare, ma che di restare, a volte, ne abbiamo bisogno. Il pezzo di intitola “Santa Marinella”.

Irama resta, ma gareggia con il video delle prove.
Il resto, nel cestino delle cose che non ricorderemo.

Ieri sera in platea c’erano i palloncini al posto delle poltrone vuote della prima serata e sui palloncini a forma fallica, Fiorello imbastisce un siparietto insieme ad Amadeus. Scelta non riuscita, a mio avviso, ma tanto a Sanremo tutto (o quasi) è possibile, come il valletto con i guanti che consegna i fiori alle signore.

La scelta degli ospiti è un po’ discutibile. 
La storia delle disavventure del maratoneta azzurro Alex Schwazer raccontate dal diretto interessato, circa le varie vicende sul doping, che però poco si intonano ad una kermesse che alla fine vince anche per quei momenti di leggerezza, come gli stacchetti ballati da Fiorello in pieno stile Varietà del sabato sera.

Ospiti anche Gigliola Cinquetti, con Fausto Leali e Marcella Bella e il salto nel passato è immediato ricordando a quelli come me che sono nati negli anni 70 quante edizioni del festival abbiamo visto e sentito e come le edizioni siano cambiate quasi radicalmente dai tempi di “Montagne Verdi”. Ma la vecchia guardia ancora regge.

Il trio “Il volo” è ospite con un omaggio a Morricone. Bene l’omaggio, loro non eccellenti.

Il momento che ho meno apprezzato è stato senza dubbio l’arrivo della Pausini, fresca fresca di Golden Globe, con indosso un mantello glitterato che è sembrato davvero troppo, la sua solita “zeppola” in bocca, l’emozione (secondo me finta) da ragazzina sprovveduta e con una voce che ormai non è più la stessa. Canta (non bene) la canzone che le l’ha condotta al prestigioso premio, ma che è di una noia mortale. Per me la Pausini inizia e finisce con “marco se n’è andato e non ritorna più”, malgrado il successo mondiale della cantante italiana, forse la più conosciuta al mondo e amata moltissimo nei paesi latini.

La giuria demoscopica premia Ermal Meta, poi Irama, Ayane e lo Stato Sociale, e va bene così, perché non c’era molto altro ieri sera. E comunque resto convinta del fatto che cantare senza pubblico sia come durante le prove, bene ma mai benissimo, anche se c’è chi è macchina da guerra e sa come si fa a gestire una performance nella maniera migliore possibile.

Vorrei concludere con le parole di Achille Lauro durante la sua performance: “Godere è un obbligo. Dio benedica chi gode”.

Beh noi non si è goduto molto ieri sera.
Grande fatica arrivare fino in fondo.
Ma resistiamo perché “Sanremo è Sanremo”.

A domani

La Stammelluti

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