Corte Costituzionale: “inammissibile il referendum sull’omicidio de consenziente” – APPROFONDIMENTO

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È una situazione sicuramente molto delicata.
È legittimo non essere d’accordo sull’eutanasia come sull’aborto.
Una legge in merito però è necessaria, perché non obbliga ma regola una libertà di scelta.
Ma la legge non arriva.
E la consulta boccia il quesito referendario, perché “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana“.
Ma la domanda che si frappone fra l’etica e il diritto è: è una questione personale dell’individuo, oppure è una questione sociale?
Sicuramente non avere una legge sull’eutanasia significa imporre, ossia non concedere libertà di scelta, e questo uno stato laico e democratico non può permetterselo.
Ma analizzando un po’ più da vicino la questione è più complessa.
Intanto la Corte Costituzionale è stata quasi costretta a rigettare il referendum perché, essendo abrogativo, avrebbe lasciato dei vuoti legislativi.
Pensiamo intanto che la libertà del singolo individuo finisce dove comincia il diritto alla salute della comunità. E l’eutanasia sicuramente è una scelta personale che non intacca la salute o il diritto di altri. Chi è sottoposto ogni giorno ad atroci sofferenze (perché a queste persone si pensa quando si parla di morte assistita) e quando la medicina non è in grado di dare una qualche speranza di guarigione, deve poter decidere di mette fine alla propria sofferenza. Fin qui non fa una piega.
Ma analizzando bene, il problema dell’eutanasia non è se un soggetto ha o meno il diritto di morire con dignità, ma se ha il diritto di essere ucciso, su richiesta, con il Servizio Sanitario Nazionale. È in questo passaggio, che la questione individuale diventa una questione sociale. Ed è per questo che serve una legge, che fa il parlamento e non si fa con un referendum. In teoria è questo alla base della risposta della consulta.
Perché allora non la si fa questa legge? Semplicemente per non inimicarsi il Vaticano? Non credo proprio.
Vorrei soffermarmi anche su un problema che sulla carta non esiste, ma che esiste nella realtà dell’applicazione.
La legge sull’aborto esiste, dal 1978, ma raccolgo testimonianze di donne che in Molise, non possono usufruirne, hanno difficoltà a praticarlo.
Anche l’aborto nasce a “tutela sociale della maternità“, come si legge sul portale del ministero della Salute. L’aspetto sociale è sempre contemplato, malgrado le difficoltà oggettive che investirebbero la pratica dell’eutanasia esattamente come accade con l’aborto (scelta personale).
Stessa cosa accadrà quando e se ci sarà una legge sull’eutanasia.
C’è anche molto da analizzare circa quel “diritto alla vita” previsto dallo stato laico e democratico, poiché dal punto di vista giuridico non esiste un “diritto alla morte“.

Però tocca fare un passo indietro, per chiarire la vicenda attuale.
Due anni fa circa, la Corte Costituzionale con la sentenza 242/19 aprì le porte al suicidio assistito. In quella occasione la consulta indicò alcuni criteri, rispettando i quali, il suicidio assistito non sarebbe stato punito. Questo vuol dire che il rispetto di quei criteri esprime certamente una”tutela minima costituzionale necessaria alla vita umana”. 
Il referendum, visto che era abrogativo, non poteva prevedere l’inserimento di alcuni criteri per accedere all’eutanasia tramite l’omicidio del consenziente e quindi la Corte, forse, ha ritenuto inammissibile il quesito proprio perché la mera abrogazione seppur parziale del reato dell’omicidio del consenziente avrebbe permesso di uccidere chiunque, stante solo la presenza di un solo criterio: il suo consenso. Troppo poco per permettere l’eutanasia.

Quali dunque i criteri per chiedere di essere uccisi con il nostro consenso?
Il referendum puntava a eliminare quelle parti dell’art. 579 Cp che prevedono una risposta sanzionatoria, ma senza aggiungere nulla in merito alle condizioni per richiedere legittimamente di essere uccisi. Pertanto si può concludere che, dal momento che l’uccisione del minore, dell’incapace o della persona a cui si è estorto il consenso, sarebbe rimasto reato anche dopo la vittoria dei Sì, sarebbe stato necessario un consenso giuridicamente valido per uccidere qualcuno. Ma null’altra condizione si sarebbe dovuta rispettare.

L’Associazione Luca Coscioni aveva previsto questo qui pro quo e aveva tentato di mettere una pezza dichiarando quanto segue: “Con questo intervento referendario l’eutanasia attiva sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul Caso Cappato”. In breve, i Radicali ci stavano dicendo che per non finire in galera per omicidio del consenziente sarebbe stato necessario rispettare i vincoli presenti nella legge 219 prima ricordati e quelli della sentenza 242/19 della Corte costituzionale confluiti nel Ddl Bazoli-Provenza. Ma i requisiti previsti dalla legge 219 riguardano solo alcune modalità di uccidere il consenziente, non le infinite modalità che sarebbero state legittimate con un’eventuale vittoria dei Sì.

Pertanto il punto fondamentale resta che i requisiti per accedere all’eutanasia, allo stato attuale, sono diversi e cambiano a seconda della disciplina normativa di riferimento. Abbiamo quindi alcuni requisiti presenti nella legge 219 e validi solo per alcune modalità per sopprimere il consenziente (o anche il minore e l’incapace tramite il consenso del rappresentante legale); molti altri requisiti che interessano il suicidio assistito disciplinato dal Ddl Bazoli-Provenza; ma quasi l’assenza di requisiti in quel che sarebbe rimasto dell’art. 579 Cp sull’omicidio del consenziente se il referendum fosse stato accettato dalla Consulta e se, poi, avessero vinto i Sì.

La domanda che nasce spontanea a questo punto è: cosa potrà accadere in futuro di fronte a questa disparità di regolamentazione?
L’ipotesi più probabile è che si renderanno omogenei i criteri di accesso all’eutanasia estendendo quelli su indicati.
Pertanto anche se il referendum è stato bocciato, il reato di omicidio del consenziente in futuro possa comunque essere depenalizzato, così come sta accadendo per il reato dell’aiuto al suicidio, prevedendo alcune “condizioni legittimanti”.

Quanta fatica però.
La scelta dell’eutanasia è dunque una questione sociale e pertanto va legittimata attraverso una legge, senza troppe storture che permettano di “adeguare” qualcosa che è si è già compiuto, in favore di una condizione in divenire.

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