Home / Articoli pubblicati daAngelo Ruoppolo

In Sicilia i bacini contengono 200 milioni di metri cubi d’acqua in meno rispetto al 2022. Si profila il razionamento idrico già a maggio. La Regione corre ai ripari.

La quantità d’acqua contenuta negli invasi in Sicilia solleva preoccupazioni, al pari di quanto accade in altre parti d’Italia, in particolare al nord, flagellate dalla siccità. L’isola è quasi a secco, e la necessità dell’acqua razionata nei Comuni potrebbe insorgere già a maggio, perché alle condizioni attuali le risorse idriche non sono sufficienti per affrontare l’estate a pieno regime. I bacini contengono 200 milioni di metri cubi d’acqua in meno rispetto al 2022, e sono vuoti per oltre il 60 per cento, secondo gli ultimi dati forniti dall’Autorità di bacino della Regione. Ecco perché il presidente della Regione, Renato Schifani, ha istituito un tavolo tecnico permanente per predisporre misure contro la crisi idrica in Sicilia. A Palazzo d’Orleans è già pronto un calendario di riunioni con gli assessori interessati, ovvero all’Agricoltura, Luca Sammartino, e all’Energia, Roberto Di Mauro, insieme ai dirigenti generali dei dipartimenti regionali competenti e ai responsabili dei Consorzi di bonifica, Siciliacque, Enel Produzione, Enel Green, Eni e dei nove Ato idrici dell’Isola. Attualmente, così come attestato dall’Osservatorio sugli utilizzi idrici nel distretto idrografico della Sicilia, ricorre, tecnicamente, uno stato di “severità idrica bassa” in tutta la regione, ad esclusione del comparto delle zone irrigue servite dagli invasi “Pozzillo”, “Nicoletti” e “Don Sturzo” (nelle province di Catania, Enna e Siracusa), che sono in sofferenza, e a cui è stata attribuita, invece, una “severità idrica media”. Inoltre, dal permanere di condizioni meteo climatiche non favorevoli e ormai tendenti alla stabilizzazione verso l’assenza di precipitazioni, si profila un trend negativo. Il presidente Schifani afferma: “Da oltre due mesi la Regione ha messo in campo una serie di misure per mitigare la siccità. Sono stati attivati dei tavoli con soggetti ed enti interessati per migliorare la capacità di accumulo delle dighe attraverso l’eliminazione dei detriti depositati sul fondo degli invasi. Un’ulteriore spinta in tal senso è arrivata dall’approvazione dei Piani di gestione proposti dai gestori delle dighe e autorizzati dall’Autorità di bacino della presidenza della Regione. Adesso – dopo diverse riunioni, con il coinvolgimento dei Consorzi di bonifica e degli enti erogatori dell’acqua, per rendere più celeri i lavori per il recupero delle condotte idriche – si rende necessario un tavolo permanente con gli enti interessati dove si esamineranno tutte le proposte possibili per affrontare l’eventuale crisi idrica che potrebbe verificarsi nel prossimo periodo estivo” – conclude. In Sicilia sono 46 gli invasi, ma solo 21 funzionano normalmente, e 11 sono da anni in esercizio sperimentale. Atri 7 subiscono limitazioni, tra cui quello di Piano egli Albanesi, e 4 sono fuori sevizio temporaneo. Le dighe siciliane hanno una media di vita di 50 anni, ma la manutenzione non è eseguita da tempo, e così si accumulano fango e sedimento limitando la capacità di utilizzo. Nei giorni scorsi l’assessore Di Mauro è andato a Roma per sbloccare cantieri per 50 milioni di euro di lavori. In Sicilia si disperde il 52 per cento dell’acqua delle reti idriche interne.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

Tre magistrati della Procura ordinaria trasferiti alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo con competenza sulle province di Palermo, Trapani e Agrigento. I dettagli.

A Palermo tre pubblici ministeri sono stati trasferiti dalla Procura ordinaria alla Procura antimafia, ovvero la Dda, la Direzione distrettuale antimafia, con competenze sulle province di Palermo, Trapani e Agrigento. Si tratta di Giacomo Brandini, Federica La Chioma e Giorgia Righi, tutti e tre scelti, tra otto candidati, dal procuratore della Repubblica Maurizio De Lucia. L’allarme per la mancanza di organico è stato già lanciato dal procuratore De Lucia nel gennaio scorso. Il suo appello, rivolto al Csm, il Consiglio superiore della magistratura, è stato: “La Procura di Palermo soffre di una grave carenza complessiva dell’organico dell’ufficio, che pesa sia sulla cosiddetta Procura ordinaria che sulla Direzione distrettuale antimafia.

Nello specifico l’organico della Direzione distrettuale antimafia di Palermo è attualmente di 25 sostituti procuratori, a fronte di una pianta organica che prevede un numero complessivo di 61 unità. E’ del tutto evidente la situazione di criticità in cui l’ufficio complessivamente versa. In particolare, l’attuale dimensione della Dda è palesemente insufficiente, non solo rispetto all’organico previsto, quanto e soprattutto in relazione alla reale quantità di lavoro che la Direzione distrettuale antimafia di Palermo deve svolgere. E’ perfino superfluo rammentare quale sia e quanto sia radicata la presenza delle organizzazioni mafiose (in particolare Cosa nostra, ma non solo) nei territori di competenza, cioè le province di Palermo, Trapani e Agrigento.

L’attuale numero dei magistrati componenti della Dda di fatto non consente di assumere iniziative strategiche nella gestione dei delitti commessi dalle organizzazioni mafiose, rischiando concretamente di ridimensionare il ruolo della Dda a semplice recettore di iniziative operate in via primaria dalla polizia giudiziaria. E ciò è in contrasto con lo spirito e la lettera della legge istitutiva delle Dda e della Dna, la Direzione nazionale antimafia. La grave carenza di organico impone di individuare un punto di equilibrio fra Procura ordinaria e Procura antimafia. Occorre bilanciare le necessità”.

E adesso Maurizio De Lucia sottolinea: “Con l’aggiunta dei tre magistrati intendiamo rafforzare le inchieste contro la criminalità organizzata e gli insospettabili complici che provano a riorganizzare Cosa nostra, nonostante i colpi inferti in questi ultimi mesi”. Giacomo Brandini, Federica La Chioma e Giorgia Righi sono stati finora impegnati su vari fronti d’indagine, tra i reati contro la pubblica amministrazione e la violenza sulle donne. Adesso si occuperanno di mafia nell’ambito del pool diretto dal procuratore aggiunto Paolo Guido, il magistrato a cui l’ex procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, ha affidato l’incarico di coordinare tutti e tre gli ambiti della Dda, ossia Palermo, Agrigento e Trapani.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

Reso noto l’esito della perizia psichiatrica effettuata su Salvatore Sedita, reo confesso di avere ucciso a colpi di mannaia i genitori a Racalmuto lo scorso 13 dicembre. I dettagli.

“Ha ucciso i genitori fomentato dalla cocaina”

Reso noto l’esito della perizia psichiatrica effettuata su Salvatore Sedita, reo confesso di avere ucciso a colpi di mannaia i genitori a Racalmuto lo scorso 13 dicembre. I dettagli.

Lo scorso 11 gennaio, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, Francesco Provenzano, accogliendo quanto sollecitato dal procuratore reggente, Salvatore Vella, e dal pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Gloria Andreoli, ha disposto la perizia psichiatrica su Salvatore Sedita, il 34enne di Racalmuto che ha confessato di avere ucciso, lo scorso 13 dicembre, nella loro abitazione in via Rosario Livatino, i genitori Giuseppe Sedita e Rosa Sardo di 66 e 62 anni, con 47 colpi di mannaia.

L’esame avrebbe inteso riscontrare la capacità di intendere e volere dell’indagato al momento del duplice omicidio. Il 18 gennaio è stato conferito l’incarico allo psichiatra Lorenzo Messina. Salvatore Sedita, dopo essere stato sottoposto a delle terapie nel reparto di Psichiatria dell’ospedale di Agrigento, è attualmente ricoverato nella Sezione psichiatrica del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Ebbene adesso, in occasione di un incidente probatorio, ovvero un’udienza in contraddittorio tra tutte le parti in causa per cristallizzare delle prove acquisite in modo irripetibile, è stato reso noto l’esito dell’esame, firmato da Lorenzo Messina: “Salvatore Sedita è stato capace di intendere e di volere quando ha ucciso, ma ha agito sotto la spinta disinibente e aggressiva della cocaina. Il reato non è diretta espressione di una infermità mentale ma è avvenuto sotto l’effetto della cocaina per cui Sedita va considerato capace di intendere e volere. Potrà essere processato”.

Salvatore Sedita ha già raccontato ai magistrati: “Non sono stato accettato. Dopo la separazione da mia moglie, sono tornato a vivere a casa. Ma loro mi volevano mandare via. Mio padre non mi ha più accompagnato a Canicattì per sottopormi alla somministrazione di un importante farmaco. Ho colpito prima mia madre con la mannaia conservata in una borsa frigo in camera da letto. Gliel’ho conficcata nel collo ma è rimasta viva. Ho continuato anche quando ho capito che erano morti dando dei colpi secchi alle mani”. Prima della confessione invece ha delirato: “Ho visto i demoni. L’autore dell’omicidio era un uomo con la maschera e i tatuaggi che ha bussato a casa”. All’incidente probatorio hanno partecipato il difensore dell’indagato, l’avvocato Ninni Giardina, e i legali dei familiari parti offese, gli avvocati Giuseppe Contato e Giuseppe Zucchetto. Prima del 13 dicembre Salvatore Sedita si è scatenato in altre escandescenze contro i genitori: nel 2019 ha colpito la madre con un barattolo alle spalle ed è stato sottoposto ad un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio. Poi nel 2020 ha aggredito il padre, che è caduto a terra e ha sbattuto la testa. E – così come scrive il giudice Provenzano nell’ordinanza cautelare di convalida dell’arresto – alla sorella, Letizia Sedita, lo scorso 2 novembre ha telefonato il maresciallo della stazione dei Carabinieri di Racalmuto: “Abbiamo visto suo fratello in condizioni di alterazione psicofisica. Avvisi i genitori. Prendete provvedimenti per risolvere la situazione”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

La Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Fabio Marino, dopo due anni non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza al processo “Chiara La Mendola”. Lo sfogo dei familiari amplificato dal Tg5.

Il 19 aprile del 2021 i giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Fabio Marino, hanno confermato la sentenza emessa il 12 luglio del 2018, quando il giudice monocratico del Tribunale di Agrigento, Giuseppe Miceli, ha condannato ad 1 anno di reclusione ciascuno il dirigente dell’Ufficio tecnico comunale di Agrigento, Giuseppe Principato, 64 anni, ed il funzionario, Gaspare Triassi, 55 anni, responsabile del servizio strade comunali, imputati di omicidio colposo a seguito della mancata riparazione, o di un’adeguata segnalazione, di una profonda buca stradale in via Cavaleri Magazzeni, ad Agrigento, tra San Leone e Cannatello, che intorno alle ore 18 del 30 dicembre 2013 ha provocato un incidente stradale e la morte di Chiara La Mendola, 24 anni di età. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, il giudice Miceli tra l’altro scrisse: “Al di là della fin troppo dichiarata mancanza di fondi, il Comune di Agrigento disponeva comunque di quelli necessari, oltre che del personale, della struttura e dei mezzi, per compiere quanto meno i piccoli lavori di manutenzione ordinaria, quali la copertura di una buca sull’asfalto o quanto meno anche solo, appunto, per segnalare l’insidia agli utenti della strada”. Ebbene, dal 21 aprile del 2021 sono trascorsi quasi due anni, e i giudici della Corte d’Appello presieduta da Fabio Marino non hanno ancora emesso le motivazioni della loro sentenza quando invece il termine di legge indichi “entro 90 giorni”. Tale condotta determinerà a breve la prescrizione delle ipotesi di reato contestate, e al momento congela la causa civile per il risarcimento del danno.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

Confermati in Corte d’Assise d’Appello gli ergastoli inflitti a Giuseppe Graviano e a Rocco Santo Filippone per gli attentati mortali ai Carabinieri all’epoca delle stragi fuori Sicilia.

La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, presieduta da Bruno Muscolo Campagna, ha confermato la sentenza di condanna all’ergastolo emessa in primo grado a carico del boss di Brancaccio a Palermo, Giuseppe Graviano, e di Rocco Santo Filippone, della cosca della ‘Ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro. I due sono i presunti mandanti degli attentati contro i Carabinieri compiuti nel 1994 a Reggio Calabria.

Giuseppe Graviano

Giuseppe Graviano, 60 anni, coordinatore delle cosiddette “stragi continentali” eseguite da Cosa Nostra, è attualmente detenuto al 41 bis. Rocco Santo Filippone, 83 anni, di Melicucco, sarebbe stato a capo del mandamento tirrenico della ‘Ndrangheta all’epoca dei tre attentati. Nel primo, il 18 gennaio 1994, morirono gli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofano, assassinati da un commando della ‘Ndrangheta sulla corsia sud dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, nei pressi dello svincolo di Scilla, dove furono impegnati in un’operazione di controllo del territorio. Nel secondo, l’1 febbraio del 1994, furono feriti l’appuntato Bartolomeo Musicò ed il brigadiere Salvatore Serra. E poi l’1 dicembre 1994 sopravvissero il carabiniere Vincenzo Pasqua e l’appuntato Silvio Ricciardo.

Rocco Santo Filippone

E tra l’altro i giudici della Corte d’Assise, nel motivare la sentenza di condanna in primo grado, hanno scritto: “Nel 1994 l’attentato ai Carabinieri in Calabria e la tentata strage allo stadio Olimpico a Roma sarebbero avvenuti in un momento in cui le organizzazioni erano alla ricerca di nuovi e più affidabili referenti politici, disposti a scendere a patti con la mafia, che furono individuati nel neopartito Forza Italia di Silvio Berlusconi in cui erano confluiti i movimenti separatisti nati in quegli anni come risposta alle spinte autonomistiche in Sicilia e Calabria”.

Antonio Ingroia

Nel corso del giudizio di secondo grado, concluso adesso con la conferma del carcere a vita, in rappresentanza dei familiari dei due carabinieri uccisi, parte civile, è intervento l’avvocato, ex pubblico ministero, Antonio Ingroia, che tra l’altro ha affermato: “Questo è un processo storico perché ha messo a punto una narrazione giudiziaria, fondata su granitici elementi, che va avanti da 20 anni circa. E’ emerso un quadro che ha tutti i tasselli a loro posto. Sono tasselli di un mosaico indiziario che ci dice che l’omicidio dei Carabinieri entrava a pieno in quella strategia che mirava a minare la stabilità del Paese. Andava azzerato tutto. Fu un progetto di ristrutturazione, come detto da Riina: ‘Dobbiamo fare la guerra per poi fare la pace’. Bisognava creare quel clima di terrore”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

Incidente stradale nei pressi di Custonaci. Sei morti vittime di uno scontro frontale tra due automobili. Cinque sono palermitani. Un motociclista di 23 anni deceduto nel Messinese.

E’ stato uno scontro frontale, tra due automobili, domenica sera. Da una parte un Fiat Doblò, e dall’altra un’Alfa Romeo 159 Station Wagon. Non in una curva o a ridosso di un incrocio, ma lungo il rettilineo cosiddetto di “Lentina”, che è una frazione sulla strada provinciale 16, che dalla statale 187, da Trapani a Trappeto nel Palermitano, collega due località turistiche trapanesi rinomate: San Vito lo Capo e Custonaci. Sono morte sei persone. Cinque delle vittime sono state a bordo del Fiat Doblò: i palermitani Matteo Cataldo, 70 anni, la moglie Maria Grazia Ficarra, 67 anni, il figlio Danilo Cataldo, 44 anni, poi Matteo Schiera, 72 anni, e la moglie Anna Rosa Romancino, 69 anni. Il sesto deceduto è stato al volante dell’Alfa Romeo, Vincenzo Cipponeri, 45 anni, di Custonaci. Al suo fianco si è seduta Maria Pia Giambona, 34 anni, di Erice, ricoverata in gravissime condizioni all’ospedale “Sant’Antonio Abate” di Trapani, in prognosi riservata. Soprattutto durante il fine settimana la strada provinciale 16 è molto trafficata. L’impatto è stato violentissimo, come testimoniano le carcasse dei due mezzi. Alcuni hanno udito finanche un boato, provocato dalla collisione. Lo strazio di familiari e amici si è riversato al pronto soccorso dell’ospedale a Trapani. Sul posto si sono precipitati i Vigili del fuoco provenienti da Trapani e Alcamo. Hanno estratto i sei corpi dagli abitacoli, poi sulle ambulanze del 118. I Carabinieri di Custonaci e del Nucleo radiomobile di Alcamo, e gli agenti della Polizia Stradale, sono stati a lavoro per i rilievi, al fine di risalire alle cause dell’incidente e accertare eventuali responsabilità legate, si ipotizza, all’elevata velocità, in un tratto in cui si tende a pressare sul piede dell’acceleratore. Il Fiat Doblò è stato catapultato a ridosso del guardrail.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

Prosegue la requisitoria della Procura di Agrigento all’udienza preliminare nell’ambito dell’inchiesta “Waterloo” ruotante intorno alla società Girgenti Acque. Invocati altri 12 rinvii a giudizio, e 4 non luogo a procedere.

Il procuratore reggente di Agrigento, Salvatore Vella, e il sostituto Sara Varazi, hanno proseguito la requisitoria all’udienza preliminare, innanzi al giudice per le udienze preliminari, Micaela Raimondo, a carico di 47 imputati nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta “Waterloo”, che ruota intorno alla società per azioni Girgenti Acque, gestore unico del servizio idrico nella provincia di Agrigento, già destinataria di una interdittiva antimafia nel novembre del 2018, poi dichiarata fallita. Lo scorso 10 marzo Vella ha invocato otto rinvii a giudizio, e un non luogo a procedere. Adesso l’arringa della Procura è stata imperniata intorno alla contestazione delle ipotesi di reato ambientale, tra la gestione dei depuratori nella provincia di Agrigento, e la presunta omissione della depurazione con, tuttavia, l’addebito del costo della depurazione nelle bollette degli utenti. Poi i presunti sversamenti fognari in mare, le omesse manutenzioni degli impianti, i censimenti mai effettuati di scarichi e allacci, e altro ancora come, ad esempio, un’attività di lobbyng, ovvero la pressione di gruppo in diversi ambiti per alimentare un ampio sistema di corruttele al fine di eludere i controlli degli Enti preposti. Girgenti Acque avrebbe così mantenuto un regime di monopolio della gestione idrica con relativi guadagni. Una trentina di tali imputazioni sono già prescritte o lo saranno tra luglio e novembre prossimi. Per le restanti imputazioni ancora imputabili nel merito, Sara Varazi ha proposto al giudice il rinvio a giudizio di Marco Campione, 62 anni (ex presidente di Girgenti Acque),
Francesco Barrovecchio, 63 anni (responsabile tecnico Hydortechne),
Bernardo Barone, 70 anni (direttore generale Ato Ag9),
Luigi Giambra, 48 anni (operatore Girgenti Acque), Giuseppe Giuffrida, 75 anni (ex amministratore delegato Girgenti Acque),
Giuseppe Milano, 75 anni (dirigente tecnico Ato Ag9),
Calogero Patti, 55 anni (dirigente Girgenti Acque), Gerlando Piparo, 65 anni,
Gian Domenico Ponzo, 56 anni (Direttore generale Girgenti Acque),
Calogero Sala (direttore tecnico di progettazione Girgenti Acque),
Salvatore Vita, 46 anni (responsabile di area di Girgenti Acque),
e Giorgio Vetro, 36 anni (coordinatore degli impianti di depurazione). Il pubblico ministero ritiene poi che non si debba procedere, in ragione del “non avere commesso il fatto”, a carico di:
Salvatore Montana Lampo, 73 anni (ex direttore Arpa Agrigento),
Giovanni Pio Avanzato, 53 anni (funzionario Arpa), Giuseppe Maragliano, 69 anni (dirigente Arpa),
e Patrizia Scimecca, 63 anni (dirigente Arpa).
La requisitoria proseguirà ancora il prossimo 14 aprile.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

Sono 745 i migranti soccorsi in meno di 24 ore. E oltre 2500 sono in viaggio nel Mediterraneo. Dalla Tunisia uno esodo di 900.000 profughi se la condizione politica ed economica precipita.

Travolgente recrudescenza dei flussi di migranti clandestini. Le condizioni meteo favorevoli hanno incoraggiato le partenze in massa dopo una tregua di poco meno di una settimana a causa del mare mosso. In meno di 24 ore sono approdate 800 persone. La Guardia Costiera è intervenuta in due salvataggi in area Sar Italiana, a circa 90 miglia dalla costa jonica calabrese, lungo la stessa rotta battuta dal barcone naufragato a Cutro. Nel corso della prima operazione sono stati soccorsi 745 migranti. Prima un peschereccio con 295 migranti a bordo, di cui 85 sono poi sbarcati a Crotone: 46 egiziani, 37 pakistani e 2 siriani, tutti uomini tra i quali 9 minori, partiti dalla Libia. Gli altri, tutti pakistani, tra cui una donna e alcuni minori non accompagnati, è sbarcato a Roccella Jonica. Poi, nella seconda operazione di soccorso è stato raggiunto un altro peschereccio a circa 100 miglia a est di Siracusa, con a bordo circa 450 migranti. E sono sbarcati a Catania. Nel frattempo a Lampedusa, dopo lo stop maltempo sono giunti i primi 42 a bordo di un barchino di 6 metri, partiti dalla Tunisia e provenienti da Costa d’Avorio, Guinea, Yemen, Burkina Faso e Camerun. I flussi sono destinati ad aumentare: la Guardia costiera tunisina ha intercettato 30 imbarcazioni e 2.034 migranti in viaggio nel Mediterraneo. Ed in riferimento alla pericolosamente barcollante condizione di salute politica ed economica della Tunisia, che rischia di subire la sorte della Libia dopo la “primavera araba” conclusa con la morte di Gheddafi, la presidente del Consiglio comunale, Giorgia Meloni, al Consiglio europeo ha avvertito i colleghi che se anche la Tunisia dovesse precipitare ne seguirà un esodo di almeno 900 mila profughi verso l’Italia, che non è in grado di accoglierli. La Meloni ha dunque sollecitato l’approvazione del prestito da parte del Fondo monetario internazionale per Tunisi.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

Altri dettagli emersi dalle indagini confermerebbero lo stretto rapporto affettivo tra Matteo Messina Denaro, Lorena Lanceri e anche con il figlio di lei.

A testimonianza di quanto fossero intensi e quasi quotidiani i rapporti tra Matteo Messina Denaro e la coppia Emanuele Bonafede e Lorena Lanceri vi sono i video delle telecamere di sorveglianza innanzi la casa dei due, in via Mare 89 a Campobello, che ritraggono Messina Denaro entrare o uscire dall’abitazione, così come marito e moglie. Poi vi è la circostanza che Matteo Messina Denaro sia stato scelto nel 2017 come padrino di cresima del figlio della coppia, suo “figlioccio”, e che a lui si sarebbe rivolto chiamandolo “parrino”. E il boss avrebbe regalato a Bonafede e Lanceri 6.300 euro per comprare un lussuoso orologio Rolex al figlio, che oggi ha 20 anni, come regalo per la cresima. E da ultimo tale rapporto è emerso anche da alcune chat audio che Matteo Messina il 5 gennaio scorso ha inviato a Sonia, una delle pazienti come lui in chemioterapia alla clinica “La Maddalena” a Palermo e con cui ha stretto amicizia. Messina Denaro le chiede consigli su quali farmaci siano utili contro la febbre provocata dal covid. E poi, il boss, che sarebbe in compagnia di “Diletta”, ovvero Lorena Lanceri, così prosegue con Sonia nel messaggio vocale: “L’ho passato (si riferirebbe al covid) anche a ‘Diletta’. Ora è qui con me, passiamo il tempo bevendo tè caldo e mangiando biscottini al burro. Ha detto che dopo vuole mandarti un saluto”. E poi, in un altro messaggio audio diretto a Sonia, Messina Denaro racconta che in casa con loro vi era anche il figlio di Lorena Lanceri. E così lui si esprime: “Non è come la madre, lei è molto intelligente. Lui invece è un po’ andato. Lui mi guarda e mi ascolta in maniera stranita, dice ‘cos’ha questo contro di me’. Io non ho niente contro di lui. Però lo devo dire: è iscritto all’università, è al primo anno, lo bocciano sempre a tutti gli esami e nonostante questo mi dice sempre che vuole vendersi l’appartamento che gli ha comprato la madre a Palermo. Mi dice ‘una volta o l’altra io le case me le vendo’. Ti rendi conto la pazzia dei giovani d’oggi?”. Poi è la stessa “Diletta”, Lorena Lanceri, che dal telefono di Messina Denaro invia un messaggio a Sonia, ridendo: “Questo mi sta facendo giocare un sacco di soldi con ste scommesse e mio figlio vuole vendersi la casa a Palermo. Ci pensi?”. Altri pizzini e messaggi vocali sequestrati dai Carabinieri confermerebbero la relazione affettiva tra Messina Denaro, Lorena Lanceri e il figlio di lei. Il figlio si sarebbe preoccupato a che Messina Denaro non incontrasse estranei. Il 17 aprile del 2021 avrebbe scritto a sua madre: “Vorrei invitare a casa i ragazzi. Siamo in 4. Fammi sapere”. La donna ha risposto in una chat Wathsapp: “Assolutamente no”. In un’altra chat, ancora il figlio si sarebbe preoccupato per la consegna di alcuni libri per i suoi studi di ingegneria. Le sue parole: “Domani arrivano i libri, ma io vado a fare colazione alle 10.30. Se viene il ‘parrino’ come facciamo?”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

La Procura di Agrigento, tramite il procuratore reggente, Salvatore Vella, e il sostituto Giulia Sbocchia, ha avviato un’inchiesta a seguito della morte improvvisa, a causa di un malore, di Davide Licata, 12 anni, deceduto ieri sera a Favara mentre giocava a basket nella palestra della scuola “Guarino” in via Capitano Basile. La salma è custodita nell’ospedale “San Giovanni di Dio” ad Agrigento. E’ stato disposto l’esame autoptico. I carabinieri della Tenenza di Favara sono impegnati ad acquisire i certificati di sana costituzione e idoneità all’attività agonistica del bambino.