“Pavarotti”: Il documentario di Ron Howard che arriva alle masse, così come il tenore faceva con l’opera

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Non è un elogio, né una celebrazione alla grandezza di colui che fu il “più tenore al mondo“, dopo Caruso. Anche perché non sarebbe stato necessario. La grandezza dell’artista parla ancora dalle opere che ha cantato, dai dischi che ha inciso, dalle immagini di repertorio.

Il documentario “Pavarotti” realizzato e diretto da Ron Howard è un racconto capace di arrivare alle masse, anche a chi conosce il personaggio e poco l’opera. Perché la cosa bella che vien fuori da questo lavoro – che è stato nelle sale dal 28 al 30 di ottobre – è la capacità del grande tenore di riuscire a divenire un ponte; quella capacità di unire, di spalancare le braccia verso il mondo, per poi richiuderle tenendo insieme l’arte e le emozioni che produce quando è eccelsa.

Un Pavarotti dal sorriso disarmante, il “Re del Do di petto“, il tenore acclamato in tutto il mondo, l’uomo pieno di fascino, di carisma, che su suggerimento della sua mamma che si emozionava sentendolo cantare, decide di intraprendere quella carriera, la stessa che non era riuscita a suo padre, grande tenore anch’egli ma che per il resto della vita restò un artigiano.

Un uomo il cui rapporto con le donne ha costituito il fulcro della sua spiccata personalità. La prima moglie, sposata giovanissima dalla quale ebbe 3 figlie femmine nate nel giro di 4 anni, la sua assistente con la quale ebbe un rapporto di amore/odio, le sue figlie, quel rapporto speciale con lady Diana e poi l’amore per Nicoletta Mantovani, 34 anni più giovane di lui e dalla quale ebbe Alice, sopravvissuta al suo gemello morto subito dopo il parto.

Tutte le sue donne, hanno accettato di raccontare Pavarotti, si sono lasciate intervistare e durante quella intervista si sono messe a nudo, si sono commosse e hanno regalato al pubblico aneddoti, ricordi, momenti di vita struggenti e passionali che hanno disegnato la tempra dell’uomo, e non solo dell’artista. il ricordo di una delle sue figlie che da piccina si era convinta che suo padre di mestiere facesse il ladro, perché lavorava di notte, era sempre via e si truccava il volto.

Ron Howard ha messo in evidenza la grandezza di un italiano di talento che conquista l’America, che va ospite nei talk-show, che in video cucina la pasta, che è sempre simpatico, ammiccante ma mai divo. L’italiano che ha scelto di cantare anche fuori dai teatri perché convinto che l’opera dovesse divenire popolare, che non dovesse essere una musica d’élite, che fosse fruibile alle masse. E poi la beneficenza, la sua capacità di emozionarsi, di commuoversi, di avere paura.

Un tenore è colui che si traveste, che si trucca, che diventa altro e che mente fin quando non sale in scena, dopo di che, diventa altro da sé e in quella dimensione Pavarotti spesso si divertiva.

Molto bello il lavoro fatto da Howard nell’accostare le giuste opere alle interviste, come se ci fosse un filo conduttore capace di portare lo spettatore, con empatia, direttamente dentro il senso di quel documentario, ossia dentro l’album dei ricordi, non nella vita di una superstar. Voleva essere ricordato come un bravo tenore e come colui che aveva fatto conoscere l’opera a molti e non solo agli appassionati e poi come un buon padre e un buon marito. La prima moglie, racconta con dedizione la vita trascorsa con il grande artista e poi consegna anche la forma del perdono verso ciò che fu. La sua seconda moglie, che l’ha amato e l’ha vissuto fino alla fine,  lo racconta come un uomo che ha vissuto ogni istante, fino alla fine, che era grato a Dio per il dono che aveva ricevuto con quella voce. Vi è nel documentario un climax fatto di emozioni, ricordi e risate.

Tutti coloro che lo conobbero – manager, collaboratori, artisti – lo raccontano come un uomo generoso e testardo; non mollava mai la presa, come quando costrinse Bono Vox degli U2  a scrivere “Miss Sarajevo” e a partecipare a “Pavarotti & friends” a Modena, insieme a Sting, Lucio Dalla. Aveva intuito che la lirica andava contaminata con il Pop e la beneficenza fu il motore trainante dell’iniziativa.

Nel documentario vi sono immagini inedite, video mai visti della carriera del grande tenore, ma anche i momenti più controversi, come le polemiche scaturite da quell’amore verso la sua giovanissima assistente, che poi fu sua moglie, ma che non lo scalfirono mai più di tanto.

Un grande artista, capace di influenzare positivamente tutti coloro che ebbero la fortuna di condividere con lui pezzi di vita e di carriera, oltre che l’essere il simbolo di una italianità di prestigio, che ancora oggi Pavarotti rappresenta a distanza di 12 anni dalla sua morte.

 

Simona Stammelluti

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