Omicidio Villaggio Mosè: “Ho imparato la mossa da militare”

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Eseguita l’autopsia sulla salma di Roberto Di Falco, morto venerdì al Villaggio Mosè ad Agrigento. Zambuto: “Ho deviato la pistola. L’ho imparato quando ho fatto il servizio militare”.

Determinanti ai fini delle indagini a seguito della sparatoria e della morte venerdì pomeriggio scorso al Villaggio Mosè ad Agrigento di Roberto Di Falco, 38 anni, di Palma di Montechiaro, saranno gli esiti dell’autopsia sul cadavere e della prova dello stub su tutte le persone presenti nel parcheggio innanzi alla concessionaria di automobili di Lillo Zambuto. L’esame autoptico è stato eseguito nella camera mortuaria dell’ospedale “San Giovanni di Dio” dal medico legale Alberto Alongi. E’ attesa la relazione, essenziale per confermare o smentire gli “elementi logici” – come ha scritto il giudice per le indagini preliminari del Tribunale, Giuseppe Miceli – per i quali sarebbe più credibile il racconto di Zambuto, ovvero: “Roberto Di Falco mi stava sparando, ho deviato la canna, e il proiettile ha colpito lui”. Tra tali “elementi logici” vi è la traiettoria del proiettile che avrebbe trafitto Di Falco a circa 10-15 centimetri sopra l’ombelico sull’addome sinistro con foro di uscita sopra il gluteo. E in base a ciò il giudice scrive: “Tale circostanza lascerebbe pensare ad un colpo esploso quantomeno in maniera orizzontale se non, addirittura, dall’alto verso il basso, ma, di certo, non verso l’alto come, invece, dovrebbe verosimilmente essere più probabile se ad impugnare la pistola era proprio Zambuto, si ricordi, seduto in auto”. Infatti: Zambuto è stato seduto in auto, e alla domanda: “Come ha fatto a deviare la pistola che l’avrebbe uccisa?”, lui ha risposto: “E’ una mossa che ho imparato quando ho fatto il servizio militare”. Poi tra gli altri “elementi logici” vi è il comportamento di Zambuto e dei figli, che hanno telefonato alle forze dell’ordine e che hanno subito mostrato alla Polizia i video della sorveglianza. Se fossero stati loro a uccidere Di Falco avrebbero verosimilmente agito diversamente. E il giudice Miceli scrive: “La circostanza che proprio Zambuto e i figli abbiano immediatamente chiamato le forze dell’ordine, mal si concilia con una detenzione dell’arma da parte di Zambuto che, peraltro, al contrario degli indagati, non si è mai allontanato dal negozio prima dell’arrivo del personale della Squadra Mobile”. E poi: “L’ulteriore circostanza per cui la visione delle immagini nell’immediatezza è stata resa possibile proprio dalla collaborazione dei figli di Zambuto, i quali hanno mostrato sin da subito i video dei sistemi di sorveglianza dal proprio smartphone, rende illogico e inverosimile pensare che, qualora ad impugnare la pistola fosse stato effettivamente Zambuto, i figli, oltre a pensare di telefonare al 112, avrebbero mostrato le immagini di video sorveglianza agli agenti della Squadra mobile con il rischio di fornire agli inquirenti prova diretta della responsabilità del padre, se non anche della loro”. E poi altro “elemento logico” deriva dalla pistola, e il giudice Miceli scrive: “La pistola, in ultimo, era in mano ad Angelo Di Falco, e sarebbe un preciso interesse dell’indagato Di Falco farla ritrovare al fine di fare emergere tale circostanza e le eventuali impronte di Zambuto sull’impugnatura”. Le indagini proseguono non solo in attesa degli esiti ufficiali dell’autopsia e dello stub ma anche dell’esame dei telefoni cellulari e delle schede sim dei sospettati.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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