Messina Denaro e la provincia agrigentina

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Le motivazioni della condanna di Matteo Messina Denaro all’ergastolo per le stragi Falcone e Borsellino, rivelano rapporti diretti con le famiglie mafiose agrigentine. I dettagli.

Emergono altri particolari dalle oltre mille pagine delle motivazioni che i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, hanno appena depositato a sostegno della sentenza, emessa il 21 ottobre del 2020, che ha condannato Matteo Messina Denaro all’ergastolo anche per le stragi di Capaci e via D’Amelio contro Falcone e Borsellino. Si tratta dei rapporti tra il boss latitante dal 1993 e le famiglie mafiose agrigentine. Ebbene, durante i primi anni ‘90, Matteo Messina Denaro avrebbe sovrinteso personalmente al funzionamento delle famiglie mafiose di Sciacca e Ribera, con un’attenzione particolare ad un versante che gli sarebbe interessato parecchio, nella Valle del Belice, da Montevago a Sambuca di Sicilia.

Più in particolare, i giudici della Corte d’Assise nissena hanno valutato come fondate le dichiarazioni rese dal pentito Giovanni Brusca, che ha citato i rapporti personali, risalenti al periodo compreso tra il ’92 e il ’93, tra Matteo Messina Denaro e i mafiosi di Sciacca Salvatore Di Ganci, Accursio Dimino e Ignazio Ambla. Nella sentenza del processo cosiddetto “Avana”, in base a quanto dichiarato da alcuni collaboratori della Giustizia, e secondo quanto emerso da intercettazioni ambientali, sarebbero stati provati rapporti di Messina Denaro con il gruppo mafioso saccense capeggiato da Di Gangi, quello di Montevago comandato da Giuseppe La Rocca, e quello riberese, diretto da Simone Capizzi. Peraltro, ancora le intercettazioni investigative avrebbero rivelato che i boss di Sciacca hanno riconosciuto Matteo Messina Denaro non solo come il nuovo capomafia della provincia di Trapani, al posto del padre, ma anche con influenze nelle altre province, compresa l’agrigentina.

Infatti, ancora secondo i giudici di Caltanissetta, sarebbe stato Totò Riina a chiedere a Messina Denaro di intervenire per ricomporre le tensioni insorte tra alcune delle famiglie mafiose agrigentine dopo l’omicidio del boss riberese Giuseppe Colletti. Inoltre, a soluzione di controversie in corso nel territorio di Sciacca, Matteo Messina Denaro avrebbe consegnato, in due occasioni e più o meno direttamente, due bigliettini a Salvatore Di Gangi, il quale poi avrebbe risolto i contrasti basandosi sulle istruzioni dei bigliettini. E non solo: Messina Denaro sarebbe stato investito anche dalla volontà di omicidi, come l’autorizzazione, che sarebbe stata chiesta da Di Gangi in accordo con Ambla e Dimino, per uccidere, nell’ambito di contrasti tra i gruppi di Sciacca e Ribera, un presunto mafioso, tale Giuseppe Lombardo, e suo fratello Francesco. Di Gangi si sarebbe rivolto a Matteo Messina Denaro affinchè lui ottenesse il consenso nelle sedi competenti, ovvero il vertice di Cosa Nostra, Riina. Infatti, in occasione dell’arresto, a Riina fu sequestrato anche un bigliettino in cui è stato scritto: “Lombardo di Sciacca con il fratello dentro, cosa fare”.

Infine, ancora per testimoniare il ruolo riconosciuto dagli agrigentini a Messina Denaro, i magistrati nisseni si avvalgono di una conversazione intercettata il 24 novembre del 1992 tra Ignazio Ambla e Accursio Dimino. E Dimino indica il boss di Castelvetrano come capo del mandamento di Trapani, successore del padre Francesco. E le sue parole sono state: “U zù Ciccio a chi ha! Matteo! Siccome ha la possibilità di girare, compare lui in tutte cose!”

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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