Le vittime? Se la sono cercata

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Questo accampare sempre scuse, questo voler trovare sempre un modo per mettere in cattiva luce la vittima di stupro, di violenza, di aggressione è deplorevole, è svilente, è inaccettabile.

E siamo alle solite.

La storia si ripete (ahinoi) e anche le reazioni di padri che senza un minimo di pudore (perché ci vuole anche quello nell’essere al contempo genitore e politico) non solo difendono a spada tratta i propri figli mettendoli al riparo da eventuali future e necessarie prese di coscienza e responsabilità, ma puntano il dito contro la vittima. E allora se chiunque è colpevole fino a “prova contraria”, la vittima/testimone è colpevole di una qualche cosa sin dal primo istante.

Eh ma era provocante, eh ma aveva bevuto, eh ma era questo era quello, eh ma se l’è cercata”.

Politici di turno che ci raccontano cose raccapriccianti, tanto quanto il reato (presumibilmente) commesso.

Ignazio La Russa “interroga” suo figlio (e già qui ci sarebbe tanto da dire) e stabilisce che “non ha fatto nulla di penalmente rilevante” e sposta vigliaccamente l’attenzione sulla ragazza “aveva preso la cocaina. E poi perché denunciare dopo 40 giorni?”

Poi prova a scusarsi ma la toppa è peggio del buco: “difendo mio figlio, sono stato frainteso”.

Seconda carica dello Stato, non panettiere a Canicattì (con immensa stima verso la categoria dei panettieri, ma era solo per rendere l’idea).

Non si può dire quello che si vuole e poi ritrattare, e non ci si può esprimere in quella maniera altrimenti viene il dubbio (più che fondato) di vivere in un paese nel quale nessuno ci potrà difendere con l’arma della giustizia (quella vera però).

Anche Grillo, ricorderete, come La Russa, gridò (letteralmente): “mio figlio non ha fatto nulla”. Anche lui accusato di stupro. Ora a giudizio.

Insomma, a monte nessuno fa mai nulla e se si arriva alla condanna si vuole l’attenuante circa il fatto che chi viene stuprato, in un modo o nell’altro se l’è cercato.

Questo gettare fango è ignobile.

Questo modo tossico e irresponsabile di gestire fatti di cronaca come questo è stato definito come “supporto omosociale”, una rete di supporto e protezione verso l’uomo (ovviamente) che compie un reato. E se ci si stringe intorno a chi ha commesso un reato, coprendo, sostenendo, tranquillizzando l’accurato, allora ci si macchia del reato di connivenza (inteso proprio come tolleranza nei confronti di una azione di colpevolezza).

Oppure vogliamo chiamarla omertà?

Scegliete voi.

Perché questo accade.

So e non parlo.

Vedo e mi giro dall’altra parte.

Provo quasi invidia verso l’uomo (?) che si è preso quello che voleva, anche con la forza, se serve.

La “victim blaming”, questa colpevolizzazione verso la vittima, inducendola anche a sentirsi responsabile dell’accaduto è tanto più grave quando arriva da una persona che ricopre un ruolo dal quale può influenzare le masse o far passare il messaggio che “se anche alcune cose accadono, se un reato viene commesso, non è poi così grave, perché anche l’altro ha le sue colpe”.

Per molti solo perché a parlare è un politico, alcune parole hanno più valore o sono più attendibile. Questo influenzare l’opinione pubblica è disdicevole, e approfittarne è ignobile.

La vittima purtroppo resta vittima per sempre, anche nel caso in cui venga fatta giustizia.

E prima o poi la gente si dimentica che lo è stata, vittima. Però ricorda che forse, “se l’era cercata”; l’ha detto anche il politico …

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