Di Pietro al processo “Trattativa”

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Antonio Di Pietro testimonia al processo d’Appello sulla presunta trattativa Stato – mafia: “Una parte della maxi tangente Enimont pagata in Sicilia a Salvo Lima”.

Lo scorso 29 aprile a Palermo, al palazzo di giustizia, innanzi alla Corte d’Assise d’Appello, presieduta dal giudice Angelo Pellino, è iniziato il processo ordinario di secondo grado sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia all’epoca delle stragi tra il 1992 e il ‘94. Adesso Antonio Di Pietro è stato ascoltato come testimone, citato dall’avvocato Basilio Milio, difensore dell’imputato, generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori. L’ex pubblico ministero di “Mani Pulite”, tra l’altro, ha dichiarato: “Con i dottori Falcone e Borsellino ho avuto rapporti di lavoro all’epoca in cui ero sostituto procuratore a Milano. Non posso dire di essere stato loro amico, ma ci incontravamo. Dopo l’arresto di Mario Chiesa, nel febbraio del ’92, c’era bisogno di fare alcune rogatorie in Svizzera. Volevamo trovare la provvista per le tangenti. Falcone era direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia: mi fece da insegnante in una materia di cui sapevo poco, mi mise anche in contatto con la collega svizzera Carla Del Ponte. Falcone mi disse: ‘guarda negli appalti in Sicilia’. Il giorno del funerale di Falcone ne parlai con Borsellino, che mi sussurrò: ‘Bisogna fare presto’. Era un riferimento a coordinare le indagini sul territorio nazionale”. Poi, Antonio Di Pietro si è soffermato sul pagamento della maxi – tangente Enimont, 150 miliardi di lire, così: “In parte, quei soldi provenienti dall’imprenditore Raul Gardini, arrivarono pure in Sicilia, a Salvo Lima. Sarebbero arrivati attraverso Cirino Pomicino, in Cct, certificati di credito del Tesoro. Non potemmo sapere molto perché nel marzo 1992 Lima fu ucciso a Palermo e Gardini si uccise. Ma si trattava di vedere chi quella parte di tangente di provvista di 150 miliardi di lire li aveva incassati e abbiamo trovato che 5,2 miliardi li aveva incassati Cirino Pomicino, e fu Cirino Pomicino che diede i Cct a Salvo Lima. Dopo la morte di Borsellino rimasi scosso. Avevo capito la diffusione del sistema, mi chiusi in me e continuai a indagare. Intanto, era arrivata una segnalazione del Ros, per una minaccia di attentato nei miei confronti. Falcone mi disse che in Sicilia bisognava fare i conti con un terzo soggetto. Accanto ai politici e agli imprenditori, i mafiosi. Ne parlai con Borsellino, che però non mi disse quello che stava facendo, non mi disse che stava lavorando sul rapporto mafia e appalti, e che stava ascoltando il pentito Mutolo. Mi disse però che dovevamo tornare a incontrarci, era convinto che in Italia ci fosse un sistema di spartizione nazionale attorno agli appalti. Sono convinto che la morte di Paolo Borsellino sia legata alle indagini sugli appalti che voleva avviare. Io sono stato invece fermato con la delegittimazione, attraverso un’attività di ‘dossieraggio’ messa in atto da uomini dei servizi segreti. Su questo bisognerebbe indagare per capire perché è finita l’inchiesta Mani Pulite”.

Angelo Ruoppolo (teleacras)

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