Cuffaro non si candida e ricusa il ‘cuffarismo’

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L’ex presidente della Regione e commissario regionale della Democrazia Cristiana, Totò Cuffaro, ribadisce: “Non mi candiderò”. E spiega il perchè.

Dunque, come già pubblicato, il commissario regionale della Democrazia Cristiana, Totò Cuffaro, è riabilitato ed è candidabile. Il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha dichiarato estinta la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Adesso l’ex presidente della Regione ribadisce che, anche se candidabile, non si candiderà. E afferma: “La mia scelta è definitiva e motivata. La riabilitazione è una cosa importantissima che debbo, innanzitutto, alla mia famiglia. Ma io non vivo nell’iperuranio, sono consapevole della pesantezza della mia sentenza di condanna che ho sempre rispettato. E rispettare qualcosa che ti graffia le carni non è agevole, ma è segno di sincerità. Non posso non tenerne conto. In nome di questo rispetto per le istituzioni, come potrei affidare a me stesso l’ipotesi di rappresentarle direttamente? No, è giusto che io non mi candidi mai più. Una cosa diversa è fare politica per difendere i valori in cui credo. Non chiederò mai più un voto sulla mia persona, ma per altre persone limpide e pulite, nella Democrazia Cristiana. A loro, invece, chiederò di non commettere i miei stessi errori”. E a proposito degli errori e della sua condanna, Cuffaro aggiunge: “Posso dire che, anche se posso capirla, in cuor mio non c’è mai stata la volontà di favorire la mafia. Che poi sia accaduto è un altro discorso. Se è successo, non me ne sono accorto. Come quando capita un incidente e si va a sbattere. Però ammetto il mio errore, la mia responsabilità di avere fatto un favore oggettivo alla mafia con il mio comportamento”. E poi, nel merito del suo modo di agire politico, Totò Cuffaro non si mostra entusiasta: “Sono stato il protagonista di una politica, il ‘cuffarismo’, che oggi ricuso totalmente. L’idea della distribuzione scientifica delle prebende la rifuggo, non mi appartiene più. Come la pratica del sistema clientelare che ho tenuto in piedi. I miei baci sono un segno di affetto e di disponibilità umana, come gli abbracci. Oggi non li lego più a favori e raccomandazioni. E se qualcuno viene da me per questo, gli dico subito che non sono più a disposizione. E’ una forma di potere che non produce nulla. Per fortuna mi sono rimasti i rapporti di amicizia e di affetto. Gli altri, quelli basati sull’interesse, non li ho ritrovati”. E poi conclude: “E’ stato il carcere a cambiarmi, è stata la vera svolta. Ho visto morire persone, ho visto la disperazione di chi non aveva nessuno. Io sapevo che c’era la mia famiglia e che ci sarebbero state lacrime e sorrisi da incontrare. Mia figlia Ida è magistrato, il suo esempio mi ha toccato. Devo essere degno di lei e di mio figlio Raffaele. Sono medico, farò il medico e aiuterò chi sta peggio di me”.

Giuliana Miccichè

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