Clint Eastwood e i suoi 90 anni, tra storie ancora da raccontare e una carriera portata con classe

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Tutto ebbe inizio il 1930 … e che inizio!
Difficile immaginare oggi quel 31 maggio del 1930 quando Clint Eastwood veniva al mondo, sicuramente senza cappello da cowboy e il mezzo sigaro tra le labbra.
Sappiamo però che il giorno della sua nascita, le infermiere dell’ospedale lo soprannominarono “Samson” per il suo peso spropositato: pesava 5 chili e 200 grammi, e che nacque con tutte le passioni al proprio posto, coltivate e messe all’opera per una vita intera.

Un carattere timido e schivo, una gioventù tra tanti mestieri per aiutare la famiglia e poi una carriera artistica sfolgorante, una vita sentimentale abbastanza movimentata, e l’amore per il jazz (Che condivide con suo figlio Kyle), come leit motiv di una esistenza piena di traguardi sognati e raggiunti.
Icona con quel suo sguardo da bello ed impossibile, mito del cinema a cavallo di due secoli, produttore e regista sopraffino (anche di se stesso) con uno sguardo critico sul presente, quando l’uomo viene messo alla prova, e poi nella condizione di poter cambiare, o perdersi o morire, ma attraverso la visione di scelte consapevoli, soffiando su personaggi apparentemente ordinari in situazioni straordinarie.

A 90 anni nutre preoccupazione sulle sorti del mondo, ma ammette di riuscire ancora ad essere ottimista.

C’è tutto un mondo, una intera vita e una straordinaria carriera tra gli anni in cui Sergio Leone lo scelse come protagonista della trilogia del dollaro con le pellicole Per un pugno di dollariPer qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, capostipite del genere spaghetti-western di cui Eastwood divenne l’interprete principale, col ruolo del freddo Uomo senza nome, e i giorni nostri in cui è lui a scegliere gli attori, le storie, i finali, cosa raccontare e come.

Clint Eastwood si porta dietro come bagaglio un curriculum stracolmo di ruoli ben fatti ma ad oggi è un raccontastorie, racconta storie americane, ma non fa film all’Americana, storie in cui la condizione umana è messa alla prova, si confronta con le regole, con la possibilità di scegliere, con i valori sacri della vita, con processi fondamentali come la perseveranza, la solitudine, i sentimenti,  il senso spesso traumatico dell’esistenza, il dolore e la fedeltà non all’altro ma a sé stesso e ai propri desideri. Il tutto dentro l’azione, il rischio, la resistenza.

Affascina quel suo modo di fare il cinema, quella sua capacità indiscussa di trasformare un evento singolo, diventato paradigma, mentre mette in relazione la singolarità di ogni sua opera con l’universalità del tema trattato e del concetto da cui parte l’idea, questa la forza del suo carattere artistico.

Ero troppo piccola quando negli anni 70 la critica cinematografica lo sottovalutava come attore (erano gli anni di “Il texano dagli occhi di ghiaccio“), ma abbastanza grande per apprezzarlo nel tempo che gli fu propizio quando incominciò a vincere gli oscar con “Gli spietati”, che in tutto sono stati 5. Ammetto di aver visto quasi tutti i film da lui diretti, con una passione per “Gran Torino” 

  • “La cosa che tormenta di più un uomo, 
    è quello che non gli hanno ordinato di fare” 

Ha avuto tanto da dire come regista, e sembra che non abbia nessuna voglia di smettere e noi siamo felici per questo, altro che!

Auguri Eastwood, buon compleanno e lunga vita a te e al tuo sorriso, così raro, così vero e alla forma espressiva di quel tuo cinema, che non produce solo immagini

 

Simona Stammelluti 

 

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