8 marzo: Serve ancora una presa di coscienza

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Eccoci qui, a scansare gli auguri per la Festa della Donna perché ormai va di moda così.
La donna si festeggia tutto l’anno” – sentiamo dire ormai da tempo.

Dobbiamo scansare gli auguri.
Come se la forza di indignarsi svanisse davanti ad una mimosa, o ad un gesto carino che ci arriva dal mondo maschile.
Ho sempre detestato lo stereotipo di genere, la distinzione tra i sostantivi al maschile e quelli al femminile.
Dottore, avvocato, direttore, professore dovrebbero avere la stessa neutralità di giornalista, astronauta, farmacista. 

Siamo, esistiamo e siamo capaci di svolgere una mansione a prescindere dal genere, e a volte la spiccata bravura delle donne in alcune mansioni viene ignorata, perché ancora c’è questo modo di concepire il mondo con la convinzione che la donna generatrice di vita sia delicata ed emotiva, e non scaltra e cocciuta.

E poi c’è la violenza sulla donna che sceglie, che si ribella.
Ci sono gli appellativi che suonano come offese e diventano ferite profonde. 
E’ vero, non abbiamo ancora molto da festeggiare, perché si festeggia una ricorrenza quando un traguardo lo si è raggiunto, ma qui siamo ancora ben lontani dall’affermare di poter festeggiare una creatura che chiede solo di essere rispettata e di poter trovare il proprio posto nel mondo, e che quel ruolo venga riconosciuto in base alle capacità di ognuno e non rinchiuso in un codice fatto di esteriorità, di pregiudizio e di raccomandazioni.

E’ vero: non servono fiori, cioccolatini e frasi sdolcinate.
Serve una presa di coscienza: perché studiamo come gli uomini, abbiamo giudizio critico e capacità decisionale, sappiamo tenere a bada le emozioni e abbiamo la capacità di sedere lì dove la competenza richiede un ruolo (non di genere).

Ma la realtà dice che si muore ancora per mano di uomo, che non si può dire “non ti voglio più” perché si finisce vittima di femminicidio, che se hai una minigonna passi davanti alla tua collega in pantalone, che alla presidenza della Repubblica mai nessuna donna ha ancora seduto, e che tutto quello che fai, alla fine è sempre scontato.

Non vi rendete conto di quante offese gratuite consegnate alle donne ogni giorno. 
No, non parlo solo agli uomini che oggi torneranno a casa con mimose e torte a forma di cuore.
Parlo anche alle altre donne, a coloro che ancora invidiano, che non si schierano, che stanno zitte, che non sanno fare squadra, che criticano, provano invidia, che cancellano, umiliano, annientano le altre donne, giudicando senza sapere.

E allora, sarebbe bello un 8 marzo nel quale fosse tangibile l’amore ed il rispetto nei confronti delle donne, tutte.
Un 8 marzo senza violenze, senza offese, senza soprusi, senza discriminazioni.

Un 8 marzo nel quale la donna viene coccolata ed apprezzata semplicemente per quello che è o per quello che si sforza di fare tutti i giorni.

Un 8 marzo nel quale la donna viene ammirata come quella creatura che da la vita, che prova ad amare sempre e comunque, che si rimbocca le maniche, sempre, che non si tira mai indietro, che lotta per quello in cui crede, che sciopera, se lo crede giusto, che parla quando c’è da parlare e tace quando deve tacere, che difende gli affetti, che cammina a testa alta anche quando subisce, che prova a ribellarsi, senza vergogna, che non si vende, né si (s)vende…mai.

Un 8 marzo nel quale l’amore degli uomini arrivi con una carezza e non con un fiore, che arrivi con il complimento mai fatto prima, con una parola, che tanta forza racchiude in sé, e che sa essere un ponte meraviglioso tra chi la proferisce e chi la ascolta con cuore sincero.

Un 8 marzo nel quale, ricordare il” perché l’8 marzo viene celebrato” sia motivo di riflessione e che possa essere il preludio di un piccolo/grande mondo nel quale forse un giorno, la donna camminerà al fianco dell’uomo, con lo stesso identico diritto alla dignità

 

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