Covid 19, i casi e le scarcerazioni

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I casi coronavirus in Sicilia. Non si placano le polemiche per le scarcerazioni di detenuti, anche pericolosi, a causa dell’emergenza covid. Giudici a lavoro sulle istanze.

I contagiati da coronavirus in Sicilia sono 3.267. Dall’inizio dei controlli i tamponi effettuati sono stati 91.306. Sono risultate positive 3.267 persone. Attualmente sono ancora contagiate 2.202. 818 sono guarite e 247 decedute. Degli attuali 2.202 positivi, 393 pazienti sono ricoverati, di cui 26 in terapia intensiva, e 1.809 sono in isolamento domiciliare.
Ecco la distribuzione dei positivi nelle province siciliane: Agrigento 69, Caltanissetta 127, Catania 685, Enna 294, Messina 373, Palermo 397, Ragusa 54, Siracusa 111, Trapani 92.
Nel frattempo, tanti giudici giudicanti sono impegnati, non solo in Sicilia, ad esaminare le richieste di scarcerazione di tanti detenuti siciliani che invocano gli arresti domiciliari, fuori dal carcere, brandendo il pericolo del coronavirus. Giudici per le indagini preliminari, Tribunali del Riesame o di Sorveglianza, e Corti d’Appello, competenti a decidere in tali casi, sono a lavoro per accertare se ricorrano i presupposti per la concessione del beneficio della detenzione domiciliare in ragione dell’emergenza “covid”.

E si tratta anche di persone detenute per reati gravi, come mafia e droga, tra alcuni che sono in attesa di giudizio fino ad altri che scontano condanne definitive. Ad esempio, nell’elenco degli aspiranti carcerati a domicilio vi è Gaetano Riina, 87 anni, di Corleone, fratello del capo dei capi, attualmente detenuto a Torino.

Il suo difensore, l’avvocato Pietro Riggi, motiva l’istanza di scarcerazione e spiega: “E’ gravemente ammalato. Nel carcere di Torino ci sono 60 detenuti risultati positivi al coronavirus. E’ una situazione davvero pericolosa per un anziano che ha un solo rene, che ha già rischiato la vita con più infarti e con un enfisema polmonare”. Gaetano Riina, se non dovesse essere scarcerato, sconterà ancora due anni della condanna subita. Complessivamente sono circa un centinaio le istanze di “domiciliari covid” proposte da boss di Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta. Le Procure antimafia competenti in genere si sono già espresse con parere contrario alla scarcerazione, perché i magistrati inquirenti ritengono gli arresti domiciliari non idonei per soggetti ad alta pericolosità che, peraltro, ritornerebbero nelle loro città. Nel frattempo però sono stati già 376 i mafiosi e i trafficanti di droga, anche detenuti nei reparti di “alta sicurezza” che sono stati provvisoriamente trasferiti dal carcere a casa per condizioni di salute precarie, attestate da certificati e perizie, legate all’emergenza covid. Quasi la metà dei 376 sconta una condanna definitiva, gli altri sono ancora in attesa di giudizio.

Al Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è stato rimproverato di non avere ricercato e attrezzato soluzioni alternative agli arresti domiciliari. Ecco perché il ministro della Giustizia originario di Mazara del Vallo, Alfonso Bonafede, ha tagliato la testa del capo del Dap, Francesco Basentini, che in verità si è dimesso lui dopo che Bonafede ha sostanzialmente commissariato il Dap nominando come vice capo Roberto Tartaglia, il magistrato istruttore in primo grado del processo cosiddetto “Trattativa” in Corte d’Assise a Palermo. Poi, dopo le dimissioni, a Basentini è subentrato Dino Petralia, consigliere del Csm, Procuratore Generale a Reggio Calabria e già Aggiunto a Palermo, e che gli agrigentini ricordano come Procuratore della Repubblica di Sciacca nei primi anni 2000.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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