25 aprile e il suono delle bombe

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Una mattina mi sono svegliato, e ho trovato l’invasor. 

Quante volte abbiamo cantato “Bella Ciao” nel giorno del 25 aprile.
Lo abbiamo fatto con la leggerezza di una generazione che non ha visto la guerra, che non ha subìto l’invasione, la distruzione, lo sgomento che invece i nostri nonni, alcuni dei quali partigiani, ci hanno raccontato, che ancora ci raccontano con le lacrime agli occhi.
Noi che pensavamo di aver consegnato definitivamente alle pagine dei libri di storia, l’orrore dei regimi totalitari, che oggi vediamo voler ripristinare invece una sorta di “colonialismo”, con la prepotenza che è propria di chi vìola e oltraggia altri popoli, saccheggiando dentro il loro bene più grande, la libertà di scegliere in che direzione andare.
Noi che viviamo lo sgomento di trovarci dinanzi ad una delle pagine peggiori della storia della Chiesa dai tempi delle crociate, davanti ad un Patriarca che in maniera assurda e folle appone “il sigillo della sacralità” su una guerra come quella che si sta consumando in Ucraina, voluta da un un uomo che nel giorno della Pasqua ortodossa con un cero acceso, con una mano si è fatto il segno della croce e con l’altra continuava ad ordinare il massacro dei civili.

L’abbiamo cantata mille volte quella canzone simbolo della resistenza e di libertà.
L’abbiamo cantata anche in maniera quasi scaramantica, affinché quello scempio chiamato guerra, non fosse mai più, anche grazie alla memoria, alla storia. Perché la libertà non è un feticcio, è una macchina che va fatta camminare, va incoraggiata e protetta, a qualunque costo.
Ed invece da oltre 50 giorni, abbiamo la guerra nel cuore dell’Europa, così tanto vicina a noi che quasi sentiamo il suono delle bombe e l’odore della morte.
Ma ciò che sentiamo forte è l’angoscia di sapere che il popolo ucraino “una mattina, si è svegliato, e ha trovato l’invasor”. Un invasore spietato, che sta facendo scorrere fiumi di sangue e sta riaprendo la ferita che avevamo chiuso nei libri di storia con l’aiuto delle parole “democrazia” e “libertà”.

Democrazia e libertà violate, annientate, strappate via ad un popolo libero e democratico, che però non si è arreso di fronte alla prepotenza, e ha praticato il coraggio di affrontare l’invasione russa, tra paura e determinazione, nella libertà stretta a sé, di decidere se vivere o morire.
Un orrore che si ripete. Le bombe, i rifugi, la violenza, la paura, la morte, la distruzione, le urla, il dolore, le richieste di aiuto, il terrore, gli occhi che non si chiudono per paura di non vedere un nuovo giorno.
E quelle parole “mai più” sembrano volate via, nel vento di una primavera rossa di sangue e dittature che fanno ritorno e che offendono una società e i suoi valori, che con prepotenza calpestano diritti, dignità e libertà di essere umani, che è il popolo ucraino.

La loro Liberazione che sembra così lontana e la parola pace che sembra non avere più suono tanto da migrare da cuore ad orecchio, da orecchio a coscienza.
E poi le polemiche, così tante, spesso così vicine ad ognuno di noi, che mettono in dubbio i motivi circa i quali il popolo ucraino sta combattendo e il perché non si voglia arrendere al nemico, alla dittatura, alla violenza e alla prepotenza, che – se ci si pensa bene – è rivolta anche alla nostra di società e ai nostri di valori, mentre si avverte come fiato sul collo il pericolo di veder indebolire le nostre democrazie, già fragili anche senza guerra.

Se la nostra di liberazione è avvenuta dopo la difesa con le armi e con la resistenza verso il nemico, perché il popolo ucraino dovrebbe arrendersi?
Dovrebbe essere un 25 aprile di solidarietà, espressa e praticata, forte e coesa, verso quel popolo che è divenuto martire in nome di una libertà che vale così tanto, che pesa così tanto, che vale più di una sopravvivenza sotto il peso di una dittatura.

(Che si pensi poi a come qui da noi si sopravvive a forme di dittatura indiretta come la mafia, e contro la quale bisognerebbe lottare e resistere, per potersene liberare).

E mi viene da pensare a tutti coloro che stanno criticando “la resistenza” del popolo ucraino, e domani però sventoleranno la bandiera della Liberazione e canteranno Bella Ciao.
Penso agli esponenti di destra, sempre vicini a Putin, ai filoputin – intellettuali, parlamentari, imprenditori che in passato o più recentemente hanno sottolineato meriti e qualità del presidente russo –  ed anche a giornalisti che per giorni hanno scritto contro il fare decisionale dell’Ucraina e che domani titoleranno a gran voce circa il significato del 25 aprile. Che ci si astenga, almeno dalle commemorazione, dagli inchini alla bandiera, dalla mano sul petto.

… e questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà.

 

 

 

 

 

 

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