Pietro Riggio depone al “Capaci bis”

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“Un parlamentare di Caltanissetta informò della partenza da Roma di Falcone”. Gli incontri anche con Aiello “faccia da mostro”: Pietro Riggio depone al processo Capaci bis.

Pietro Riggio

A Caltanissetta, al palazzo di giustizia, innanzi alla Corte d’Assise d’Appello, è in corso il processo di secondo grado cosiddetto “Capaci bis”, ovvero il secondo troncone dell’inchiesta sull’attentato a Giovanni Falcone il 23 maggio del 1992. Gli imputati sono Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, già condannati all’ergastolo in primo grado, e Vittorio Tutino, assolto. E’ stato ascoltato come imputato di reato connesso l’ex reggente della famiglia mafiosa di Resuttano, in provincia di Caltanissetta, ed ex agente di Polizia penitenziaria, Pietro Riggio, adesso collaboratore della Giustizia.

E tra l’altro ha affermato: “Parlo di queste cose solo adesso perché io conosco purtroppo il sistema dall’interno. Se ne avessi parlato prima oggi non sarei qui, sarei stato un uomo morto. Io il bagno in un mare di pescecani non me lo faccio, se no mi mangiano. Ma se i pescecani non ci sono più allora sì, è normale. Indubbiamente ha pesato, in questa mia decisione di parlare di queste cose, anche la sentenza di primo grado del processo sulla ‘Trattativa’. Quando sono stato arrestato e detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere ho conosciuto altri ex funzionari e appartenenti alle forze dell’ordine, dietro le sbarre per motivi diversi. All’inizio per i primi quattro-cinque mesi non ci fu niente. Solo dopo ci furono con alcuni soggetti i primi contatti perché io entrassi in una sorta di task force per la cattura di Provenzano. I soggetti più attivi furono Giovanni Peluso, ispettore della Questura di Roma, e Giuseppe Porto, della Digos. Ricordo che il 12 luglio del ’99 sono stato prelevato dal carcere e portato a Roma, negli uffici della Dia in via Cola di Rienzo. Ci sono anche altre persone coinvolte nelle indagini di cui oggi non faccio i nomi. Io quel giorno fui preso con una Fiat Croma bianca. Lì alla Dia conosco il colonnello Angelo Pellegrini e un certo zio Toni, cioè Antonio Miceli. Anche loro mi parlano del fatto di formare una squadra, appunto, per prendere Provenzano. Io ero disponibile, ne avevamo ampiamente parlato all’interno del carcere, il progetto era quello. Quando ho finito il colloquio, sono stato riportato nel carcere militare. I contatti con tutti, compreso il colonnello Pellegrini, sono ripresi quando sono stato scarcerato, nell’aprile del 2000, e messo ai domiciliari. I contatti con l’ispettore di Polizia, Giovanni Peluso, furono diversi. Io capivo che era coinvolto in attività illecite collegate a Caltanissetta. Una delle cose che mi allarmò fu che lui volesse essere aiutato in un attentato che doveva essere fatto contro un giudice palermitano, Leonardo Guarnotta. Non mi disse quali fossero le ragioni, ma mi disse che gli serviva un appoggio in cui nascondersi dopo l’attentato. Mi mostrò uno schizzo che aveva fatto dell’abitazione del giudice e come si doveva intervenire, disse che si dovevano fare dei favori alla parte politica, ma non mi fece mai dei nomi. Di questo attentato poi non ho saputo più niente. Giovanni Peluso sull’attentato a Capaci a Falcone mi fece tutta una serie di propalazioni che mi lasciarono basito. Peluso mi disse: ‘Brusca ancora è convinto che l’ha premuto lui il telecomando’. Fu una frase che mi allarmò moltissimo, mi sentii raggelare. Fu proprio una frase secca. Si era sempre saputo che era stato Brusca, insomma la mafia, ma in quel momento ho capito che altre persone si erano interessate a quella strage. E soprattutto ho capito che mi trovavo in pericolo e che stavo giocando un ruolo più grande di me. Giovanni Peluso mi raccontò anche che quando un magistrato partiva con un aereo, al momento del decollo non si sapeva mai dove fosse diretto, era una cosa che si sapeva dopo. Mi disse che la telefonata per avvisare dove sarebbe atterrato Falcone era partita da un parlamentare di Caltanissetta, che lo avrà saputo da altri soggetti direttamente in aeroporto alla partenza: una segnalazione arrivata mentre Falcone è in viaggio a diecimila metri, praticamente. Ricordo un altro incontro con Giovanni Peluso, all’uscita dell’autostrada allo svincolo per Resuttano. Peluso era a bordo di un’automobile guidata da una donna. Seduto dietro, anche un altro uomo che risponderebbe al nome di Filippo. Sono rimasto colpito dalla sua faccia: è tutta butterata, come se avesse subito un qualche incidente, qualcosa. Mi diceva che Peluso mi voleva veramente bene, che lo dovevo ascoltare. Poi ho avuto modo di rivedere quella faccia in alcune fotografie, capii che si trattava di un certo Aiello, lo chiamavano faccia da mostro”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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