L’ex senatore D’Ali “è socialmente pericoloso” (video)

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Su proposta della Procura antimafia di Palermo, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani impone l’obbligo di dimora per tre anni ad Antonio D’Alì.

Secondo la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, presieduta dalla giudice Daniela Troja, l’ex senatore Antonio D’Alì è socialmente pericoloso. E pertanto è obbligato a dimorare a Trapani per tre anni, a fronte dei cinque anni proposti dalla Procura antimafia di Palermo tramite il pubblico ministero Pier Angelo Padova. E la magistratura palermitana lavora sulla presunta pericolosità sociale di Antonio D’Alì dal maggio del 2017, il mese delle elezioni Amministrative a Trapani, quando l’ex senatore è stato candidato sindaco. Lui, Antonio D’Alì, è imputato dal 2011 per concorso esterno all’associazione mafiosa. In primo grado, in Tribunale, giudicato in abbreviato, è stato assolto, e per le condotte precedenti al 1994 è intervenuta la prescrizione. In Appello è stato assolto. Poi la Cassazione ha annullato l’assoluzione e ha rinviato il processo ad un’altra sezione di Corte d’Appello. Secondo i giudici della Cassazione, nel pronunciare la sentenza di assoluzione “è stato illogicamente ed immotivatamente svalutato il sostegno elettorale di Cosa Nostra a D’Alì”. Il secondo processo d’Appello a carico di Antonio D’Alì è attualmente in corso a Palermo, e la Procura Generale, tramite il Pg Nico Gozzo, ha ottenuto il rinnovo parziale del dibattimento e quindi la possibilità, tra le altre, di ascoltare nuovi testimoni. A D’Alì si contesta di “avere contribuito al rafforzamento di Cosa Nostra anche intrattenendo rapporti diretti o mediati con esponenti di spicco come il latitante Matteo Messina Denaro e il padre Francesco, morto da latitante nel 1998”. Nel motivare la pericolosità sociale di Antonio D’Alì, la Procura di Palermo, tra l’altro, ha ricordato che il padre di Matteo Messina Denaro, Francesco, è stato “campiere” nei terreni di D’Alì in contrada Zangara a Castelvetrano. Poi i presunti incontri d’affari tra Antonio D’Ali e il già inquisito per mafia Girolamo Scandariato, figlio del boss di Calatafimi. E poi un’intercettazione in carcere, il 18 marzo del 2016, in cui Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio, ha parlato di un “senatore D’Alia legato a un latitante che stanno cercando”. L’avvocato Arianna Rallo, difensore di D’Alì, così ha commentato l’applicazione della misura preventiva personale al suo assistito: “Mi lascia certamente sgomenta e perplessa la decisione di accoglimento della proposta avanzata dalla Procura nei confronti del signor D’Alì, per il semplice fatto che una lettura attenta e completa di tutte le prove documentali e testimoniali di persone altamente qualificate, offerte al Tribunale a fronte di illazioni e congetture di pentiti sedicenti, già delinquenti che continuano a delinquere, avrebbe dovuto indurli ad una diversa valutazione. L’assoluta estraneità del signor D’Alì dai fatti contestatigli sarà fatta valere con il ricorso in appello”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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