La striscia di Gaza completamente ignorata, oggi come negli ultimi 20 anni

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La premessa è che si condanna sempre il terrorismo, la violenza e le guerre. Tutte le guerre. Ma la storia non va dimenticata e la realtà va raccontata tutta, altrimenti non è storia e non è neanche cronaca. Non dobbiamo pertanto farci salire le lacrime agli occhi solo per quello che sta succedendo nelle ultime ore, ma dovremmo piangere anche tutto quello che è stato e che ancora è, senza che nessuno abbia voglia di raccontarlo perché scomodo. E per me non è la prima volta che questa \”storia scomoda\” la racconto. Leggi qui 

Dal 2007 la Striscia di Gaza, quella che gli israeliani stanno bombardando in queste ore, è una prigione a cielo aperto, e dopo gli ultimi avvenimenti è destinata a rimanere così per sempre.

A due giorni dall\’attacco di Hamas le domande sono tante e molte di queste, senza risposte. E sono tutte domande che riguardano il futuro, anche quello prossimo.
Quanto sarà lunga e sanguinosa questa rappresaglia?
Quanti saranno i morti, gli ostaggi?
Quanto resisteranno le forze palestinesi che hanno attraversato il confine, e che per la prima volta in 75 anni hanno preso il controllo all\’interno della striscia di Gaza?
Quanto saranno coinvolte le potenze circostanti, come il Libano?
A queste domande si può forse rispondere andando indietro e analizzando quel conflitto mai risolto e mai abbastanza sotto i riflettori per poter virare verso degli equilibri, che sono ormai compromessi per sempre.
Le forze armate di Israele stanno riprendendo il possesso dei centri abitati a Gaza, e stanno pianificando una invasione che loro definiscono \”inevitabile\”.
Tutti i giornali stanno raccontando le azioni di Hamas sugli israeliani, ma nessuno (o quasi) racconta l\’altra realtà cioe che durante l\’operazione chiamata da Israele \”Spada di ferro\” ci sono stati dei massicci bombardamenti che sabato notte hanno ucciso 370 palestinesi (civili, di cui 20 bambini), che hanno ferito altre 2000 persone, che hanno distrutto edifici non solo militari ma anche residenziali e ridotto in macerie il grattacielo di 14 piani  e 100 appartamenti, che ospita anche le sedi di tv e giornali. E poi ancora sedi di istituzioni di beneficienza e ong, e tantissimi appartamenti civili.

Tutto questo dove la guerra non era mai finita, mai finita; dove i bombardamenti non sono arrivati adesso, ma continuano da sempre.
Secondo il consiglio dei rifugiati, a febbraio 2000 case erano già in rovina a seguito degli attacchi degli israeliani che sono avvenuti incessantemente negli ultimi 10 anni.
Secondo il report di Medici Senza Frontiere, le forze israeliane sempre sabato hanno colpito una clinica e un\’ambulanza davanti all\’ospedale Nasser, a sud di Gaza, uccidendo una infermiere e l\’autista dell\’ambulanza; sono state danneggiate anche le colonnine per l\’ossigeno. Negli altri ospedali, si stanno usando i gruppi elettrogeni ancora funzionanti, per sostenere l\’arrivo costante di feriti.
Secondo le Nazioni Unite, in 20 mila hanno lasciato le zone confinanti con Gaza per trovare rifugio nelle scuole delle Nazioni Unite.
Ma cos\’è Gaza. Bisognerebbe spiegarlo anche nelle scuole.
Gaza è un gigantesco campo profughi che dal 2007 vive una profonda crisi umanitaria. Questo dalla vittoria elettorale di Hamas, stesso protagonista della tragedia di questi giorni.
Da allora Israele impone su tutta la striscia un blocco aereo, terrestre e marittimo.
Netanyahu ha dichiarato di voler bombardare i covi di Hamas per ridurli in rovine e le organizzazioni locali stanno chiedendo corridoi umanitari per evacuare la popolazione.
I palestinesi quando hanno sentito le parole \”lasciate Gaza\” hanno risposto \”non sappiamo dove andare\”. Non sanno dove andare oggi, mentre gli israeliani bombardano, ma non sapevano dove andare neanche prima, quando sopravvivevano con 3 ore di elettricità al giorno. Oggi c\’è l\’interruzione totale della fornitura energetica.
Questa decisione presa dal ministro dell\’energia di Tel Aviv è considerato un crimine di guerra. Nessuno ha pensato a Gaza mai.
Nessuno pensa oggi a quei due milioni di persone che non hanno modo di uscire dalla striscia e sono coloro che pagheranno (come sempre) il prezzo più alto degli eventi.

Ci sono degli avvenimenti che hanno un grande peso simbolico, come l\’immagine del bulldozer che ha sfondato la barriera di sicurezza israeliana. Per gli abitanti di Gaza quella è la prima vittoria e la resistenza all\’occupazione che dura da venti lunghi anni. Per loro quello che sta accadendo adesso è \”un copione che si ripete\”.
Cosa ci si aspettava? Che due milioni di vite rimanessero passive ed imprigionate per sempre? Si badi bene, nessuno è a favore del terrorismo di Hamas, anche perché Hamas non rappresenta i palestinesi che sono gente semplice e pacifica.
È solo una lecita domanda.
Il futuro vede altri morti, tanti morti. Da una parte e dall\’altra, certo.
Ma per 20 anni, i leader mondiali cosa hanno fatto? Per lavarsi un pochino la coscienza hanno contribuito con una risposta umanitaria, ma neanche in maniera sufficiente e costante.
Così tanti morti (sia israeliani che palestinesi) non si vedevano dal 2000, dalla seconda Intifada, dall\’insediamento illegale dei coloni in Cisgiordania, e dalle violenze nelle moschee.

Per questo i fatti drammatici di questi giorni non sono riconducibili solo alle falle nella sicurezza dei servizi israeliani, ma anche alle responsabilità politiche. Sì, politiche. Perché la politica c\’entra sempre. Perché Netanyahu per 15 anni ha inculcato la sua visione del conflitto, che prevede l\’isolamento assoluto di Gaza, perché la sua politica ha apertamente ignorato l\’esistenza e i diritti dei palestinesi.
E oggi la ritorsione per l\’attacco sferrato da Hamas, verrà pagata anche con il sangue dai civili di Gaza. Questa storia recente, lascerà segni indelebili. L\’era Netanyahu è in grave, gravissima crisi e poi Hamas si rafforzerà in Cisgiordania, dove la popolazione è lontana dalla politica dell\’Autorità Palestinese, considerata troppo debole. E la cosa ancor più grave è che tutto questo, possa generare nei palestinesi frustrati e nei giovani la consapevolezza che a risolvere la situazione potesse essere solo il gruppo armato. E questo sarebbe un cane che si morde la coda, con il sangue dei civili che continuerà a scorrere e il rischio che nuovi estremismi possano affacciarsi nei tempi a venire.

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