“La paternità mafiosa della strage di via D’Amelio”

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La Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza che ha confermato le condanne inflitte al processo Borsellino Quater: “La strage ha una paternità mafiosa, anche se tra zone d’ombra e anomalie”.

Lo scorso 5 ottobre la Cassazione ha confermato la sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, presieduta dal giudice Andreina Occhipinti, il 15 novembre del 2019, che ha a sua volta confermato la sentenza emessa in precedenza dalla Corte d’Assise nissena, presieduta dal giudice Antonio Balsamo, il 20 aprile del 2017.

E ciò al cosiddetto “Borsellino Quater”, ovvero il quarto processo sulla strage di Via D’Amelio frutto delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, della revisione e l’annullamento degli ergastoli ai condannati innocenti, e del depistaggio delle indagini. Dunque, sono stati confermati l’ergastolo a carico dei boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, e poi 10 anni di reclusione ciascuno, per calunnia, a Francesco Andriotta e Calogero Pulci, che sono i falsi pentiti sbugiardati da Gaspare Spatuzza, che ha smentito anche il più celebre Vincenzo Scarantino, per il quale il reato di calunnia pluriaggravata è stato dichiarato prescritto. Salvo Madonia sarebbe stato tra i mandanti della morte di Paolo Borsellino. Vittorio Tutino, invece, avrebbe partecipato alla fase esecutiva della strage.

I tre falsi pentiti, Scarantino, Andriotta e Pulci sarebbero stati gli attori protagonisti del depistaggio che ha indotto i giudici fino alla Cassazione a costringere all’ergastolo, e alla detenzione per tanti anni, sette innocenti. Ebbene adesso la Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza. E tra le oltre 120 pagine si legge: “L’attentato al giudice Paolo Borsellino, e ai cinque poliziotti della scorta morti con lui, è di paternità mafiosa, anche se ci sono anomalie sulle quali non si è riusciti a fare luce, dopo quasi 30 anni, come il coinvolgimento dei Servizi segreti del Sisde, la presenza di uomini dei Servizi sul luogo della strage subito dopo l’esplosione di 90 chili di tritolo e pentrite, e zone d’ombra come la scomparsa dell’agenda del magistrato e la sua ricomparsa dopo alcuni mesi nelle mani del dottor Arnaldo La Barbera che la riconsegnava alla moglie del magistrato.

I dati probatori relativi alle zone d’ombra possono al più condurre a ipotizzare la presenza di altri soggetti o di gruppi di potere co-interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino, ma ciò non esclude il riconoscimento della paternità mafiosa dell’attentato di Via D’Amelio e della sua riconducibilità alla ‘strategia stragista’ deliberata da Cosa nostra, prima di tutto come ‘risposta’ all’ esito del maxi processo”. E poi, a tal proposito, i giudici della Suprema Corte tracciano tre finalità della strage: la prima è una finalità di vendetta contro il nemico storico di Cosa Nostra rimasto in vita dopo la strage di Capaci, la seconda è una finalità preventiva, volta a scongiurare il rischio che Borsellino potesse raggiungere i vertici delle nuove articolazioni giudiziarie promosse da Giovanni Falcone, e la terza è una finalità schiettamente destabilizzatrice dell’attentato di Via D’Amelio, volta a mettere in ginocchio lo Stato ma sempre nella prospettiva di Cosa Nostra tesa a fare la guerra per poi fare la pace”.

E a seguito della pubblicazione delle motivazioni, la famiglia Borsellino, tramite l’avvocato Fabio Trizzino, che è marito di Lucia Borsellino, ha commentato: “L’uccisione di Paolo Borsellino e il depistaggio sulla strage sono legati. Che sia stato un delitto di mafia non c’è alcun dubbio, ma ci sono troppe zone d’ombra, come la scomparsa dell’agenda rossa. E poi vi sono delle cointeressenze di Cosa Nostra con importanti imprenditori e società del Nord, i cui sviluppi si sarebbero potuti meglio vedere solo attraverso una giusta valorizzazione del dossier mafia e appalti. Cosa che Borsellino non ha potuto fare”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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