Il poliziotto Di Gangi depone al processo depistaggio “Borsellino”

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A Caltanissetta, al processo sul depistaggio della strage di via D’Amelio, con imputati, di concorso in calunnia, il funzionario di Polizia Mario Bò, e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, è stato ascoltato come testimone, dal pubblico ministero Sfefano Luciani, Giuseppe Di Gangi, poliziotto del gruppo “Falcone e Borsellino”, che, tra l’altro, ha affermato: “Una volta sola il falso pentito Vincenzo Scarantino mi disse che aveva paura di non essere creduto, e io gli risposi ‘se tu stai dicendo la verità non devi avere paura’. E’ stata l’unica volta in cui ho parlato di qualcosa che riguardasse la strage. Non ci sono mai voluto entrare nelle dinamiche delle sue dichiarazioni. Sono devastato da questa situazione. Sono in un uno stato di depressione provocato da questa situazione. A volte rimanevamo a casa di Vincenzo Scarantino. Ci occupavamo in generale dei bisogni del nucleo familiare. Un giorno dall’ufficio di Palermo mi chiesero di andare alla questura e ritirare un fax, con la copia di un articolo, e sottoporlo a Scarantino. Nell’articolo si diceva che Gaetano Scotto si trovava a Bologna il giorno della strage e comunque in quel periodo. Il giorno prima della ritrattazione Scarantino aveva detto al personale dell’ufficio di Imperia che voleva parlare con loro urgentemente. Scarantino disse al dottore Bo che voleva tornare in carcere perché non voleva più collaborare. Ho assistito alla discussione tra Scarantino e il dottore Bo. Abbiamo dovuto ammanettarlo a casa perché Scarantino si stava avventando contro il funzionario. Davanti alla moglie e ai bambini. Non feci alcuna relazione di servizio”.

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