“Borsellino”, Scarpinato all’Antimafia

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L’ex procuratore generale a Palermo, Scarpinato, ascoltato dalla Commissione antimafia sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio. I dettagli.

L’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, è stato ascoltato poco più di tre ore dalla Commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava, impegnata in un’inchiesta di approfondimento sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e i poliziotti della scorta. Roberto Scarpinato, rispondendo alle domande dei commissari, tra l’altro ha affermato: “Dopo la caduta del muro di Berlino, e quindi delle protezioni di cui alcuni apparati dello Stato avevano goduto fino ad allora, un gruppo, una ‘supercosa’, come l’ha chiamata Riina, composta da ‘Ndrangheta, Cosa nostra, massoneria, destra eversiva e servizi segreti deviati, avrebbe messo in campo un vero e proprio ‘gioco di guerra’, all’interno del quale è rimasto risucchiato Paolo Borsellino. Lui come altri, tra Dalla Chiesa, Mattarella, La Torre e Falcone. Ma la vicenda di via D’Amelio più di altre mostra, nel contesto di un sistema che puntava a destabilizzare lo Stato per evitare il pericolo di un governo con la sinistra, come Cosa nostra si fosse fatta braccio armato di altri interessi. In quel momento, infatti, in Parlamento era prevalente una maggioranza garantista contraria a convertire in legge il decreto antimafia voluto da Falcone che introdusse l’ergastolo ostativo, e che scadeva il 7 agosto. Pippo Calò aveva comandato a tutti di stare ad aspettare, perché era probabile che il decreto non fosse convertito. Riina decide che non può attendere e che Borsellino deve essere ucciso prima. Il progetto della strage di via D’Amelio subisce un’accelerazione improvvisa, di cui Riina si assume la responsabilità ma che non riesce a spiegare. Ed è qui che è evidente come Cosa nostra si sia mossa per ordini altrui, di fatto contravvenendo ai propri interessi”. E poi, alla domanda: “Ma perché questa fretta di uccidere Borsellino prima del 7 agosto?”, Scarpinato ha risposto: “Perché Borsellino aveva capito. E se avesse messo uno dietro l’altro le cose che aveva capito, lì scoppiava la bomba. Aveva capito tante di quelle cose. Se Borsellino avesse detto: ‘guardate che qui c’è un piano di destabilizzazione che non è stato voluto da Cosa nostra ma da altri’, cosa sarebbe successo in Italia? Doveva essere ucciso in fretta prima che rivelasse il piano eversivo. Falcone, invece, poteva essere ucciso con facilità a Roma, mentre si preferì una strage molto più complessa, sempre per creare un clima di destabilizzazione. La ‘supercosa’ era fatta di apparati dello Stato che si sono mossi in base a interessi non solo nazionali ma anche internazionali. Borsellino sapeva che ci fossero entità esterne a Cosa nostra, ovvero pezzi deviati dello Stato dinnanzi ai quali capisce di non avere scampo e lo annota nell’agenda rossa. Dopo l’esplosione in via D’Amelio, il capitano Arcangioli, indagato e poi prosciolto per non avere commesso il fatto, prende la borsa con dentro l’agenda e percorre 60 metri fino a via Autonomia siciliana. Quello che è inspiegabile è che Arcangioli ritorna indietro con la borsa, e rimette la borsa dentro l’automobile. Di certo l’agenda viene sottratta nei pochi minuti dopo l’esplosione con un coordinamento perfetto”.

 

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

 

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