Anche nella “fase 2” l’Italia si spacca, tra Movida e paura del domani che avanza

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Ho atteso qualche giorno dall’inizio della fase 2 di questo tempo di pandemia, per dire ciò che vedo e che penso.
Una fase di mezzo, questa, che ha contorni strani e tanta incertezza.
Qualcosa sì, qualcosa no, tanta confusione, mille domande senza risposte, qualche abuso di potere (quelli non mancano mai), regioni che fanno a modo loro, l’Italia che stenta a ripartire tra cavilli burocratici, incentivi che forse non arriveranno mai e la paura come leitmotiv di un anno che malgrado vorremo dimenticare, faremmo meglio a ricordare affinché alcune cose non accadano più.

Una fase 2 e un’Italia che si spacca in altrettante parti.
Chi ha paura e chi no.
Chi non ce la fa a reagire e chi invece mostra guizzi pericolosi di incoscienza.
I navigli a Milano pullulano da giorni di gente senza mascherina e in conclamato assembramento, i casi di contagio crescono, molti puntano (giustamente) il dito contro la stupidità umana che rasenta a volte limiti assolutamente incomprensibili.
Ma insomma, non aspettavano altro? Ok, ma il buonsenso almeno attivatelo!
Anche al Sud, in Calabria per esempio, dopo il decreto regionale della Santelli che autorizza l’apertura dei bar con i tavolini fuori, la situazione è la medesima.

C’è un’Italia che va a fare la Movida, che non attendeva altro, mentre ci si chiede, cosa non abbiano capito del fatto che il contagio è ancora attivo, che bisogno stare lontani e che tocca proteggersi. Niente. Non hanno capito niente. Alcuni sembrano investiti da una sorta di reset innescatosi al suono delle parole “fase 2” come se il silenzio assordante della morte che avanzava nei mesi passati, fosse solo l’audio di un film in prima serata.

E come sempre il vivere (per fortuna, direi) mostra un’altra faccia … sempre che la si voglia vedere, però. Perché anche nella comunicazione – va detto – c’è quel che fa più clamore e dunque ha più visibilità.

E allora vorrei provare a far emergere come non esista solo il popolo della movida e degli aperitivi, ma anche una fetta enorme di individui che necessitano di una vera e propria riabilitazione al vivere; persone alle quali le parole “fase 2” hanno fatto paura, hanno dato sgomento. Rimaste a lungo immobili, anche le parti del corpo non rispondono subito come prima. C’è una propriocezione di cui riappropriarsi e paure da vincere e fiducia da recuperare. Una riabilitazione fisica ed emotiva in piena regola; una riabilitazione che comprende non solo la libertà di movimento, ma anche una socialità alla quale ci siamo lentamente ed inesorabilmente disabituati in questi mesi. E allora potrebbe accadere – non sarebbe affatto strano – di sentirsi impacciati, spaventati, titubanti mentre ci si relaziona in questa fase 2, mentre ci si sente a disagio emotivamente, mentre si cercano parole da dire e volontà di apertura al mondo.

Sì, perché alcuni hanno vite sospese, sospese tra la voglia di riappropriarsi della propria esistenza e quella vocina che dice (succube e ostaggio ancora della paura): “quasi quasi non esco più“.
C’è chi lo teme, il ritorno alla vita.
Una sorta di incertezza, come quando si cammina sul ciglio di un precipizio, quando guardare oltre fa paura, ma sai che per arrivare dall’altra parte, devi andare.
Ma dove?
Come?
Basterà infilarsi un vestito bello e uscire, impacciati nel non sapere cosa sarà di quell’uscita e di quell’apertura al mondo?

La riduzione di vita sociale in questi mesi, ha amplificato azioni senza orari e in maniera inversamente proporzionali, ha azzerato i sensi di colpa. Ore ed ore davanti alla Tv, il dolce far niente, il forno a pieno regime, con una fase ampissima di “rimando a chissà quando gli impegni e le responsabilità“. Ecco, dentro al termine “responsabilità” si annida una ennesima doppia faccia.

Responsabilità da riprendere sulle spalle, perché costretti ad abbandonarle nella fase 1, per salvare la pelle.
Responsabilità nel salvarsi la pelle, ancora, mentre ci si riappropria delle responsabilità di una vita lavorativa e sociale.

Sembra un gioco di parole.
Difficile da dire quanto da attuare.

Enorme, ingombrante la parola “Responsabilità”, quella che i nostri genitori ci chiedevano di avere quando passavamo dall’adolescenza all’età adulta, quando abbiamo incominciato a fare i conti con le conseguenze delle possibili nostre scelte, come quando dovevamo scegliere se cambiare casa o andare a convivere o accettare un lavoro lontano dalla famiglia, o se drogarci oppure no.

E’ l’equilibrio della responsabilità, quello che dovremmo tutti riacquistare.
E forse non basteranno una manciata di giorni con sopra scritto “fase 2”

 

Simona Stammelluti

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