A trent’anni dalle stragi…

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Altri profili del recente intervento del procuratore Patronaggio a 30 anni dalle stragi del ’92, tra verità, 41 bis ed abolizione dell’ergastolo ostativo.

Il 2022 è l’anno del trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio. E dopo gli attentati, Totò Riina così si rivolse a Giovanni Brusca: “Se mi succede qualcosa i picciotti sanno tutto”. I ‘picciotti’ sarebbero due: Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano. Uno è latitante e l’altro è in carcere. Trenta anni dopo la morte di Giovanni Falcone e Borsellino, a cui seguiranno le stragi di Roma, Firenze e Milano nel ’93, ‘tutto ciò che sanno i picciotti’ e i presunti pericoli legati all’attuale abolizione dell’ergastolo ostativo per i mafiosi, sono stati appena rilanciati dal già procuratore di Agrigento e adesso procuratore generale a Cagliari, Luigi Patronaggio, che ha affermato: “Questo Stato si è pacificato con la mafia? Esiste una pacificazione e un reciproco riconoscimento? In riferimento all’ergastolo ostativo si parla spesso di pentitismo e di dissociazione, ma non funziona così. Il collaboratore di giustizia è un’altra cosa perché racconta e permette di indagare. La nostra legge permette un regime premiale per il pentito e nessuno per il dissociato. Con i terroristi ci fu una pacificazione, ma non con la mafia. Ci sono ancora misteri non ancora svelati, e la pericolosità dei mafiosi non è mai cessata. L’argomento dei 41bis è uno dei programmi portati avanti da Riina, che trova spazio nelle aule di Montecitorio. Ed è questo il gioco grande. Questo è uno Stato che ha basi fragili, non esiste altro Stato in Europa che ha questa pesante eredità, e fin quando non facciamo i conti con questa eredità non si può parlare di 41 bis o di abolizione di ergastolo ostativo”. E poi, a fronte dei0 lati oscuri che ancora ruotano intorno alla stagione delle stragi, Patronaggio è intervenuto così: “Ancora oggi ci sono interrogativi che non sono solo interni a Cosa nostra, ma che abbracciano anche pezzi di Stato. In molte vicende di mafia entrano ad un certo punto soggetti che non sono Cosa nostra. Entrano in via D’Amelio sicuramente, ma questi apparati che rispondono ad una logica alta e altra li troviamo in tutti gli omicidi eccellenti, come nella sparizione di documenti dalla cassaforte di Dalla Chiesa. Noi sappiamo che ogni volta che c’è un omicidio eccellente c’è gente con ‘barba finta’ che va a bonificare. Quale è la logica di questi apparati? Questi apparati deviati pensano loro stessi di essere Stato e che gli altri, democrazia e elezioni, siano orpelli. Non abbiamo le prove ma ragioniamo in termini di ricostruzione logica. Oggi ci sono tre tipi di verità: quella reale, che è difficile da raggiungere, poi quella processuale, che è molto limitata e che conta sulle carte. E poi quella dell’intellettuale, per dirla come Pasolini: ‘io so ma non ho le prove’. C’erano interrogativi nella mancata perquisizione del covo di Riina, nel mancato arresto di Provenzano, nelle stragi del ’93. Noi non dobbiamo fermarci mai nel cercare questa verità. Ma mi domando: in questo Stato serve questa verità? C’è davvero chi la vuole? Dal mio punto di vista, ancorché le criminalità organizzate siano cambiate, le basi democratiche di questo Paese non possono essere tali se non facciamo prima i conti con il passato”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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