Una dose letale di chemio in Cassazione

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Dopo oltre 10 anni dalla morte, la Cassazione ha emesso sentenza definitiva al processo sul madornale errore di dosaggio chemioterapico che ha ucciso Valeria Lembo. I dettagli.

Sono stati necessari sei gradi di giudizio, e 10 anni di processo. Adesso la Cassazione ha rigettato i ricorsi dei tre medici palermitani condannati a seguito della morte di Valeria Lembo, uccisa da una dose letale di un farmaco chemioterapico. All’ex primario del reparto di Oncologia del Policlinico di Palermo, Sergio Palmeri, sono stati inflitti 3 anni di reclusione, poi, all’oncologa Laura Di Noto 2 anni e 3 mesi, e poi al medico all’epoca specializzando, Alberto Bongiovanni, 3 anni e 5 mesi. E’ stata assolta l’infermiera Clotilde Guarnaccia. Valeria Lembo è stata malata di un linfoma, di Hodgkin, il medico inglese Thomas Hodgkin, che nel 1832 descrisse la malattia. Oggi il linfoma di Hodgkin è un tumore contro cui le cure nel 90 per cento dei casi si rivelano un successo. Valeria Lembo, 34 anni, appena madre di un bambino, giunse all’ultima seduta di chemioterapia, ma anziché 9 milligrammi di vinblastina le fu iniettata in vena, per errore, una dose 10 volte superiore, 90 milligrammi, e la donna morì al Policlinico “Paolo Giaccone” a Palermo il 29 dicembre 2011, dopo 22 giorni di agonia, e quando il suo bambino compì 7 mesi. Nelle motivazioni delle condanne inflitte nei precedenti gradi di giudizio si legge: “E’ stato un assassinio in piena regola, la più grave colpa medica mai commessa al mondo, e dopo la quale gli imputati hanno solo pensato a negare qualsiasi assunzione di responsabilità, incolpandosi a vicenda della morte di Valeria Lembo”. Poi: “L’utilizzo del termine assassinio non è casuale, perché di questo si è trattato, avendo gli imputati cooperato a causare la morte di una paziente per avvelenamento somministrandole una dose di vinblastina dieci volte superiore a quello dovuto. Nelle sue vene furono iniettati a forza 90 milligrammi anziché 9 di vinblastina, per uno zero in più trascritto per errore in cartella e nonostante i numerosi campanelli d’allarme. Una dose di 90 milligrammi è compatibile con un pachiderma di 600 chili e non con una donna che pesava 52 chili. E Valeria Lembo chiese il perché di quella dose così eccessiva, preparata in una flebo e non in una siringa come nelle sedute precedenti. E l’infermiera le rispose: ‘E’ lo stesso’. Valeria tentò anche di interrompere la seduta mortale accusando il bruciore al braccio per la somministrazione, e la dottoressa Laura Di Noto si limitò solo a rallentare la somministrazione senza porsi alcuna domanda”. E poi: “Valeria Lembo aveva ben capito che stava andando incontro alla morte già l’11 dicembre, quando ancora quell’errore era taciuto dai medici, e rivolgendosi alla zia in lacrime le sue parole furono: ‘Zia, sicuramente mi hanno sbagliato la chemio, me ne sono accorta’”. E poi: “Solo un ricambio completo del sangue, subito, avrebbe potuto dare una speranza alla paziente. Invece, per ben 5 giorni quell’errore fu mascherato come una gastrite post chemio, e lo zero in più, accanto al 9, fu cancellato da Alberto Bongiovanni”. Ecco perché a Bongiovanni è stato contestato anche il reato di falso, perché il suo è stato un tentativo mal riuscito di nascondere la tragica verità. Laura Di Noto non ha mai negato le proprie responsabilità, e infatti le sono state concesse le attenuanti generiche. Anche Alberto Bongiovanni ha ammesso: “Sono stato io. Rileggo la prescrizione e la cartella, mi accorgo della discrepanza e cancello l’errore”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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