Tv locali, cronaca di una morte annunciata

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In Italia gli interessi miliardari legati al 5G prevalgono sui diritti all’informazione e al lavoro. Ecco come lo Stato ha progettato di annientare le emittenti televisive locali.

Se lo Stato Italiano ha la possibilità di guadagnare parecchi miliardi di euro, barattando centinaia di televisioni locali e migliaia di posti di lavoro, non gliene frega nulla delle Tv locali, del pluralismo dell’informazione e del lavoro di tanti giornalisti e tecnici. Se poi di ciò non frega nulla, almeno finora, agli organi che rappresentano i giornalisti, è ancora meglio. Ebbene così è nell’Italia della tanto applaudita in Parlamento “Agenda Mattarella”.

Quanta ipocrisia: “a tinghitè”. Anzi, usando l’espressione usata martedì scorso da Fiorello a Sanremo: “a minchia china”. Dunque, a breve saranno spenti tutti i ripetitori televisivi che trasmettono sulle frequenze 694-790 MHz. Si tratta di frequenze che già a fine 2018 lo Stato ha venduto per 6 miliardi e 500 milioni di euro agli operatori telefonici, che le useranno per il 5G. Lo Stato mica è fesso. E le lobbies che rappresentano gli interessi degli operatori telefonici mica sono come gli organi che rappresentano i giornalisti. Sulle stesse frequenze vendute, anzi barattate, oggi trasmettono centinaia di televisioni locali alle quali lo Stato assegnerà altre frequenze. E allora? Quale è il problema? Subito spiegato: non vi sono abbastanza frequenze per tutti, quindi è in corso una selezione con successiva graduatoria per l’attribuzione dei canali da parte di Raiway.

Dopo i suoi eccellenti e illuminati predecessori, oggi di tutto ciò se ne occupa il ministro dello Sviluppo, anzi del sottosviluppo, economico, Giorgetti. Dunque, saranno privilegiate le emittenti televisive quasi tutte di rilievo regionale, con ancora dignitoso stato di salute economico e di lavoro, capaci di pagare il canone da 50 a 100mila euro all’anno che poi bisogna pagare allo Stato dopo essere risultati vincitori in graduatoria. Capito? Menti raffinatissime hanno escogitato tale brillante metodo per annientare il diritto all’informazione e il diritto al lavoro nei territori provinciali. Viva il 5G. Da oggi a pranzo e a cena scorpacciate di 5G. A chi scrive – che non è infallibile e che quindi potrebbe anche sbagliare, e in tal caso gli sarebbe molto gradito che fosse corretto – risulta che al momento solo il deputato nazionale agrigentino Michele Sodano, ex 5 Stelle adesso nel gruppo Misto, si è adoperato per scongiurare l’ecatombe. Infatti, Sodano ha già presentato più volte nel “Milleproroghe” un emendamento indicato dal sindacato di categoria, ovvero Rea, Radiotelevioni europee associate. Governo sordo. Emendamento sempre dichiarato inammissibile, fino ad una settimana addietro. Adesso Michele Sodano, in accordo col presidente Rea, ripresenterà l’emendamento antistrage al “Sostegni ter”. Punto.

Nel frattempo, nel corso delle ultime ore, il Partito Democratico all’Assemblea Regionale Siciliana ha presentato un ordine del giorno affinchè il governo Musumeci attivi misure di sostegno alle piccole emittenti televisive locali. Il capogruppo Giuseppe Lupo e i deputati Anthony Barbagallo, Giuseppe Arancio, Michele Catanzaro, Antonello Cracolici, Nello Dipasquale e Baldo Gucciardi hanno scritto: “Chiediamo al governo regionale di attivare tutte le iniziative utili al sostegno economico del settore delle piccole emittenti radiotelevisive siciliane che rischiano la chiusura a seguito della transizione verso il nuovo digitale terrestre”.

Grazie onorevoli del Partito Democratico. Tuttavia consentitemi di rilevare che si tratta di una battaglia che si combatte a Roma e non a Palermo, perché se in Sicilia, per colpa di quanto deciso a Roma, chiude una televisione locale, quale sostegno economico dovrà attivare il governo Musumeci se la televisione chiude? Mica esiste, almeno per il momento, il reddito di cittadinanza per le televisioni locali! Grazie ancora, ma Giuseppe Lupo e compagni sarebbe opportuno che investissero della questione la segreteria nazionale del Partito Democratico a Roma, capace e legittimata ad armeggiare contro Palazzo Chigi, dove per le televisioni locali è stato cucito un vestito di legno.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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