Maxi blitz antimafia, 23 indagati – video

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Maxi operazione dei Carabinieri del Ros. Sottoposti a fermo di indiziato di delitto 23 indagati. Coinvolti anche un avvocato, un ispettore e un assistente capo della Polizia.

La Procura antimafia di Palermo ha firmato il decreto, e i Carabinieri del Ros, con il supporto, tra gli altri, dei militari del Comando provinciale di Agrigento, hanno sottoposto a fermo di indiziato di delitto 23 indagati, presunti responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione e altri reati aggravati dall’avere favorito la mafia. L’inchiesta, avviata nel 2018, ruota intorno alle famiglie mafiose agrigentine e trapanesi ed è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti procuratore Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo. Le indagini coinvolgono anche un ispettore ed un assistente capo della Polizia, ai quali si contesta il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreti d’ufficio, e un’avvocatessa di Canicattì, Angela Porcello, difensore di diversi mafiosi, nel cui studio, per circa due anni, si sono riuniti i capimafia di diverse province siciliane. Lo studio è stato scelto come base logistica perché la legge limita le attività investigative negli uffici degli avvocati. Dalle indagini è emerso che l’avvocatessa, compagna di un mafioso, avrebbe assunto un ruolo di vertice in Cosa Nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attività dei clan. Nello studio, rassicurati dall’avvocatessa dell’impossibilità di effettuare intercettazioni, si sono riuniti i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate, Simone Castello, e i nuovi capi della Stidda, Antonio Gallea. Il tutto è stato intercettato. Le famiglie mafiose avrebbero imperversato nel settore del commercio di uva e altri prodotti agricoli nella provincia accaparrandosi ingenti risorse economiche, evitando di ricorrere così ad attività rischiose come il traffico di droga. In tale ambito di commercio agro-alimentare è stato sventato un progetto di omicidio organizzato dagli esponenti della Stidda contro un mediatore e un imprenditore che non avrebbero pagato il pizzo sui guadagni delle loro attività. Inoltre, dagli Stati Uniti d’America, nei mesi scorsi, emissari della famiglia dei Gambino di New York sarebbero andati a Favara per proporre ai clan locali dei business. Nel mandamento mafioso di Canicattì, la Stidda si sarebbe ricompattata intorno ad uno dei capimafia, Antonio Gallea, tra i mandanti dell’omicidio del giudice Rosario Livatino. Gallea, ergastolano, avrebbe sfruttato i premi che in alcuni casi spettano anche ai condannati al carcere a vita, per operare sul territorio e rivitalizzare la Stidda. Antonio Gallea ha scontato 25 anni per l’assassinio di Livatino, ed è stato ammesso alla semilibertà dal tribunale di sorveglianza di Napoli il 21 gennaio del 2015 perché ha mostrato la volontà di collaborare con la giustizia, ritenuta poi impossibile perché Gallea ha citato avvenimenti già noti alla magistratura non apportando, dunque, contributi nuovi alle indagini. La Stidda avrebbe contato su un arsenale di armi a disposizione, e sarebbe stata pronta a scontrarsi ancora una volta contro Cosa Nostra. Tra i destinatari del provvedimento cautelare vi è anche il boss di Campobello di Licata, Giuseppe Falsone, 52 anni, capo di Cosa Nostra agrigentina, perché il mandamento mafioso di Canicattì sarebbe ancora ritenuto l’epicentro del suo potere mafioso. Tra gli altri indagati vi sono Calogero Di Caro, capo del mandamento di Canicattì, poi Giancarlo Buggea, rappresentante di Falsone e organizzatore del mandamento, e che sarebbe il compagno dell’avvocatessa Angela Porcello che, tra gli altri, ha difeso anche Giuseppe Falsone. E poi Luigi Boncori, capo della famiglia di Ravanusa. E poi Giuseppe Sicilia, capo della famiglia mafiosa di Favara, Giovanni Lauria, capo della famiglia di Licata, e poi Antonino Chiazza, esponente di spicco della stidda. Giuseppe Falsone, nonostante sia ristretto al 41 bis, tramite l’avvocatessa Angela Porcello avrebbe ricevuto e veicolato informazioni, mantenendo così la direzione operativa della provincia mafiosa di Agrigento. Ed ancora, oltre Gallea, un altro presunto stiddaro intorno a cui si sarebbe ricompattata la Stidda sarebbe Santo Gioacchino Rinallo. Le investigazioni hanno confermato la perdurante posizione dei vertice di Cosa Nostra di Matteo Messina Denaro, anche lui destinatario della misura cautelare, che ha continuato a impartire direttive sugli affari illeciti più rilevanti gestiti dai clan nella provincia di Trapani ed in altri luoghi della Sicilia. Ecco i 23 indagati oltre Matteo Messina Denaro e Giuseppe Falsone: Giancarlo Buggea, 50 anni; Luigi Boncori, 69 anni; Luigi Carmina, 56 anni; Simone Castello, 70 anni; Antonino Chiazza, 51 anni; Emanuele Diego Cigna, 22 anni; Giuseppe D’Andrea, 49 anni; Calogero Di Caro, 75 anni; Pietro Fazio, 49 anni; Roberto Gianfranco Gaetani, 54 anni; Antonio Gallea, 64 anni; Gaetano Lombardo, 65 anni; Gregorio Lombardo, 67 anni; Antonino Oliveri, 36 anni; Calogero Paceco, 57 anni; Giuseppe Pirrera, 62 anni; Filippo Pitruzzella, 62 anni; Angela Porcello, 50 anni; Santo Gioacchino Rinallo, 60 anni; Giuseppe Sicilia, 42 anni

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

 

 

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