I detenuti del carcere di Bologna, fanno una colletta per aiutare i senzatetto

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La solidarietà che ancora commuove, quella che arriva da dove non l’aspetti ma che quando arriva travolge e lascia senza parole. Così  arriva anche il ringraziamento dell’Arcivescovo di Bologna, Monsignor Zuppi, che ringrazia a cuore aperto i detenuti per aver partecipato a quella che è stato una vero e proprio atto di carità.

E’ accaduto infatti che i detenuti della casa circondariale di Bologna, hanno voluto donare quel poco che avevano, facendo una colletta, per aiutare i poveri e i senzatetto della città. Un gesto di solidarietà verso chi è nell’indigenza. Anche i detenuti versano in stato di indigenza, ma non hanno esitato a donare, a raccogliere quel che avevano per donarlo. Un atto di grande generosità che si consuma tra le mura di un carcere, dove regna non solo la colpa ma anche una sorta di redenzione. Il carcere deve rieducare e riabilitare non solo punire per le colpe compiute. E vien da pensare che tra quei detenuti, qualunque sia il reato per il quale scontano la pena, ci siano persone mosse da un sentimento di pietà e di carità verso chi non ha davvero nulla.

E in un periodo storico come questo – che passerà proprio alla storia per indifferenza, odio, razzismo e abbandono – sorprendono gesti come questo e lasciano intravedere una forma di salvezza collettiva, di riscatto umano, nel vero senso del termine, un ritorno all’ “umanità” che mette in moto lo stare tutti “sulla stessa barca”, malgrado si giochi e far credere di essere tutti diversi, per meriti che ancora in molti disconosciamo.

Riscattare dunque, quel termine, prendendocene la responsabilità, ognuno per come può, come hanno fatto quei detenuti, attraverso quella loro scelta così appassionata e consapevole. Tornare ad umanizzarlo, questo mondo, che sta diventando freddo, e al freddo molti ci stanno, che sta diventando cinico, perché questo vogliono farci diventare, che è crudele nelle scelte che contemplano differenze assurde,  come se una vita valesse più di un’altra. La sofferenza, la crudeltà, l’odio, l’indifferenza, l’emarginazione, sono già esplosi sotto una disumanità che cerca di travestirsi da altro, ma non vi riesce più.

Perché la disumanità di consuma sia nelle condizioni di vita di coloro che hanno bisogno della colletta dei detenuti per non morire, e poi nelle scelte spietate di chi può fare e non fa, di chi lascia che si muoia in mare, di chi diffonde odio negli stadi, di chi disprezza un preside gay e decide di punirlo con una scritta sul muro di una scuola.

E invece, chi sta scontando una pena, perché così la legge stabilisce, perché così è giusto, ha dimostrato che si può e si deve porgere una mano. Perché la pena peggiore, resta quella del cuore, l’aridità delle menti e la povertà dell’animo.

Domandarsi da che parte stare, come hanno fatto quei detenuti che hanno accolto l’invito dell’Arcivescovo e che hanno dimostrato che ce la si può fare, se non si perde il senso di questa vita che dà e a volte toglie, ma che non dovrà mai toglierci la speranza.

 

Simona Stammelluti

 

 

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