Da Cosa Nostra a Cosa Grigia

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Come Matteo Messina Denaro ha traghettato la mafia da Cosa Nostra a Cosa Grigia. La scuola di Riina, la strategia delle stragi e poi della sommersione.

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Francesco Messina Denaro

A Matteo Messina Denaro, a 14 anni, il padre, Francesco “Don Ciccio” Messina Denaro, gli ha insegnato a sparare. E le cronache tramandano che gli avrebbe spiegato e raccomandato così: “C’è differenza tra un mafioso e un cretino con la pistola. Il mafioso non ha bisogno della pistola per farsi obbedire. Quando è costretto a sparare vuol dire che non è stato bravo a convincere quella persona”. Francesco Messina Denaro fu scelto e nominato da Totò Riina come capo della sua provincia, Trapani. I due, Riina e Messina Denaro padre, si conoscono e si stimano, anche se non sono d’accordo su tutto. Per il padre di Matteo la mafia deve lavorare sotto traccia e sparare solo se è strettamente necessario. Riina è stato sulla sponda opposta. Tanti ricordano il battesimo: “Zu’ Toto Riina il piccolo Matteo lo ha tenuto sulle ginocchia. ‘U Siccu’ ha pure commesso il suo primo omicidio. E ha ricevuto un incarico dal Capo dei Capi, quello di decidere chi deve comandare a Partanna tra il clan degli Accardo e gli Ingoglia. Matteo lo ha fatto sterminando, come gli ha insegnato lo zio, che però una volta, davanti a testimoni, gli dice proprio: ‘ti rompo le corna’, perché Messina Denaro ha fatto qualcosa che non doveva nella gestione di un appalto”.

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Riina nel 1954

Tempo dopo Riina incarica Matteo Messina Denaro di uccidere Maurizio Costanzo a Roma. Matteo e i suoi amici organizzano la trasferta. Raccontano: “In particolare un episodio ha scatenato la rabbia di Riina contro Costanzo. Durante una delle sue trasmissioni si parla dei mafiosi ricoverati in ospedale. Nei confronti del boss Francesco Madonia si ipotizza che abbia un tumore. Costanzo dice: ‘Se non ce l’ha, che gli venga’. Allora Giovanni Brusca si presenta da Riina per chiedere provvedimenti. E Riina gli risponde: ‘Ci sto pensando. C’è già chi ci sta lavorando”. Il 15 gennaio 1993 Totò Riina è arrestato al mattino sulla circonvallazione di Palermo. Il pomeriggio avrebbe dovuto incontrarsi con Matteo Messina Denaro. Raccontano: “Approfittando della mancata perquisizione, il covo di Riina è stato ripulito dai mafiosi. E tutte le sue carte e appunti sono stati consegnati a Messina Denaro”. Il collaboratore Nino Giuffrè spiega: “Quei documenti sono un’arma di ricatto, ed anche la chiave che custodisce i segreti di Cosa Nostra”. Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro ne prosegue nel ‘93 la strategia stragista, l’attacco allo Stato. Nella lista degli obiettivi di Riina vi sono anche alcuni attentati ai monumenti. Leoluca Bagarella, cognato di Riina, interpellato risponde: “Finché c’è un corleonese fuori si va avanti come prima”. Esplodono le bombe a Roma, Firenze e Milano: morti e feriti. Gaspare Spatuzza, su ordine di Giuseppe Graviano, imbuca una serie di lettere destinate alle redazioni dei quotidiani: “Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo. Dopo queste ultime bombe informiamo la Nazione che le prossime a venire andranno collocate soltanto di giorno ed in luoghi pubblici, perché saranno esclusivamente alla ricerca di vite umane. P.S. Garantiamo che saranno centinaia”. Poi stop: papello, trattative, dialogo, promesse? A tal proposito inchieste e processi sono ancora in corso.

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Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro nel ‘94 si rende “invisibile”, latitante. Quando lo avvertono che è indagato, ai suoi risponde: “L’avvocato? Non voglio difendermi. Non voglio perderci pure questi soldi”. Matteo sposa la “strategia della sommersione” predicata da Bernardo Provenzano. Tramonta la sfida allo Stato di Riina. Da “Cosa Nostra” è adesso “Cosa Grigia”, che non spara e che prospera infiltrandosi tra Stato e imprenditoria. I soldi della mafia sono reinvestiti in attività redditizie, come l’eolico, che ha interessato proprio Messina Denaro, anche se secondo Riina, intercettato in carcere, lui, Matteo, “avrebbe dovuto metterseli nel culo quei pali della luce, e pensare un po’ di più ai carcerati e non a se stesso”.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

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