“Borsellino”, Antonino Vullo all’Antimafia

Condividi

l poliziotto unico sopravvissuto alla strage di Via D’Amelio ascoltato dalla Commissione regionale antimafia sul depistaggio delle indagini dopo l’attentato. I dettagli.

Dopo gli ex ministri della Giustizia e degli Interni all’epoca delle stragi di mafia del ’92, Claudio Martelli e Vincenzo Scotti, e l’ex Procuratore aggiunto a Palermo, Antonio Ingroia, la Commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava e impegnata in un’inchiesta di approfondimento sul clamoroso depistaggio delle indagini dopo la strage di Via D’Amelio contro Paolo Borsellino, ha audito Antonino Vullo, il poliziotto unico sopravvissuto alla strage contro il giudice Paolo Borsellino. Vullo tra l’altro ha affermato: “Quando si arriva a un passo dalla verità capita che si torna indietro e le carte tornano a mescolarsi. Speriamo non accada anche questa volta. Borsellino merita la verità”. Poi, ricordando il pomeriggio della strage, Antonino Vullo ha aggiunto: “Con un’auto impiegata per la bonifica e i cani dell’unità cinofila forse la strage si sarebbe potuta evitare. Lo sportello dell’automobile di Borsellino era chiuso. Borsellino non ha preso nulla con sè. Ha pigiato il citofono ma, siccome il portone rimaneva chiuso, è sceso dal marciapiede ed è rimasto circondato dagli agenti. Qualcosa nella pianificazione inizialmente sarebbe andata storta perché l’esplosione, che poteva essere innescata proprio quando Borsellino e i suoi erano immobili in attesa che si aprisse il portone, ebbe un ritardo”. Poi, sul mistero dell’agenda rossa del magistrato e sul rischio di un attentato, Vullo ha dichiarato: “Certamente Borsellino non aveva con sé l’agenda rossa dopo essere sceso dalla macchina. Non sapevamo delle minacce arrivate in quei giorni all’incolumità di Borsellino, né di quel rapporto del Ros sul tritolo per Borsellino e Di Pietro. Di Pietro fu portato all’estero, mentre Borsellino ‘evidentemente’ (tra virgolette) non rischiava nulla e quindi è stato lasciato solo”. Poi Antonino Vullo, sulla carenza di protezione intorno al giudice, ha ricordato: “La domenica in cui presi in custodia il giudice Borsellino andammo subito in via Cilea, dove abitava. Immaginavo di trovare un bunker, dal momento che dopo Capaci credevamo tutti fosse doveroso difendere Borsellino, ma lì non c’era neanche una vigilanza fissa, e in quei giorni noi, che eravamo in tre, dovevamo controllare il box interno, l’edificio e l’androne. Appena siamo arrivati quel pomeriggio del 19 luglio del ‘92 in via Autonomia Siciliana all’angolo con via D’Amelio mi sono bloccato perché ho visto tante auto parcheggiate, ma non abbiamo potuto fare nulla perché il giudice è arrivato e si è messo prima delle altre auto. Io mi sono posizionato alla fine di via D’Amelio, dove c’era il muretto che delimitava il giardino interno. Poi ho visto che c’erano due scivoli, e con la pistola in mano ho dato un’occhiata per vedere se c’erano delle cose sospette. Ma non ho notato nulla di particolare. La seconda auto è entrata direttamente, aveva l’obbligo di bloccare l’ingresso di via Autonomia Siciliana ed è andata dietro l’auto del giudice. Ho visto scendere Borsellino che non ha preso nulla dall’auto. Loi e Catalano gli sono arrivati subito accanto”. Poi il poliziotto ha concluso: “Noi abbiamo fatto da scudo al giudice Borsellino e lo abbiamo fatto con dedizione e paura, lo abbiamo fatto con il cuore, perché il dottore Borsellino meritava di essere protetto in modo adeguato. Invece, fin da subito abbiamo visto che era solo e anche noi eravamo soli”.

Angelo Ruoppolo (teleacras)

Notizie correlate

Leave a Comment