La Procura di Agrigento notifica l’avviso di conclusione delle indagini ad Antonio e Gerlando Massimino, Miccichè, Caruana e Tedesco. I dettagli sulle contestazioni di reato.
La Procura della Repubblica di Agrigento, tramite il pubblico ministero, Gloria Andreoli, ha notificato cinque avvisi di conclusione delle indagini preliminari, anticamera della richiesta di rinvio a giudizio, ad altrettanti indagati nell’ambito di un troncone della maxi inchiesta antimafia “Kerkent”, denominazione araba di Agrigento, sfociata il 4 marzo del 2019 in 32 ordinanze cautelari eseguite dai Carabinieri del Comando provinciale di Agrigento. Gli si contestano, a vario titolo, le ipotesi di reato di traffico e spaccio di hashish, marijuana e cocaina, armi, e una presunta estorsione.
Si tratta del boss Antonio Massimino, 54 anni, di Agrigento, condannato, in abbreviato, a 20 anni di reclusione lo scorso 13 febbraio dalla Corte d’Appello di Palermo nell’ambito della stessa inchiesta “Kerkent”. Poi il nipote Gerlando Massimino, 34 anni, di Agrigento, condannato a 10 anni. Poi Gabriele Miccichè, 32 anni, di Agrigento, attualmente sotto processo ordinario innanzi al Tribunale di Agrigento. Poi Marco Caruana, 44 anni, e Giovanni Tedesco, 33 anni. Il 5 febbraio del 2019 i Carabinieri hanno arrestato Antonio e Gerlando Massimino. I militari sono irrotti nella villa di Antonio Massimino, nelle campagne del Villaggio Mosè, e, nel corso di una minuziosa perquisizione domiciliare, hanno scoperto e sequestrato una pistola semiautomatica calibro 7,65, con matricola abrasa, caricatore completo di 6 cartucce inserito e pronta all’uso. E poi circa 200 cartucce di vario calibro, e 2 penne pistola calibro 6,35, dello stesso genere delle penne pistola di James Bond nei film sullo 007. E poi un rilevatore di frequenze. Il tutto è stato rinvenuto in un sacco nero, coperto da un cumulo di foglie secche, abbandonato nei pressi dell’abitazione. A fronte di ciò Antonio Massimino è stato condannato a 7 anni e 4 mesi di carcere. Il nipote Gerlando è stato assolto. Entrambe le sentenze sono definitive. Ebbene, dai servizi di osservazione, appostamento e intercettazioni video e audio, effettuati prima dei due arresti, è emerso anche un fiorente mercanteggio di sostanze di stupefacenti, risalente al periodo tra dicembre del 2018 e febbraio del 2019, addebitato adesso a tutti e cinque gli indagati. Nel dettaglio: i cinque avrebbero gestito un magazzino trasformandolo in una centrale di smercio della cocaina, e dove la droga è stata tagliata e confezionata prima di essere spacciata. Al solo Gabriele Miccichè è contestato di avere ceduto a due persone 40 panetti di hashish, del peso di 4 chili e 200 grammi, oltre a 200 grammi di marijuana. Ai due Massimino e a Miccichè è contestato di avere organizzato il trasporto di 125 grammi di cocaina commissionandolo al pizzaiolo Marco Caruana. Antonio Massimino avrebbe ordinato a Caruana e Miccichè di spostare la droga dal magazzino alla sua villa, e Gerlando Massimino sarebbe stato da vedetta durante il trasporto. Ancora Miccichè è indagato della detenzione e della ricettazione del mini arsenale, fra pistole clandestine e penne pistola. Infine, Antonio Massimino e Miccichè sono indagati di estorsione per avere costretto un debitore di Massimino a pagargli 400 euro sotto minaccia di morte. La presunta vittima avrebbe dovuto restituire 15.000 euro a Massimino, che a telefono lo avrebbe minacciato così: “Vedi che ti vengo a bruciare vivo. Se hai le palle scendi… ti sei fregato 940mila euro… ti metto il resto dei soldi in bocca e te li brucio”. Il messaggio sarebbe stato ribadito da Miccichè che lo avrebbe inoltre sollecitato a chiedere alla moglie l’anticipo del Tfr in modo da trovare i soldi. Gli indagati sono difesi dagli avvocati Salvatore Pennica e Annamaria Castelli.
Angelo Ruoppolo (Teleacras)