Home / Post taggati"massimo ranieri"

Ci sono volute le due del mattino per conoscere la classifica aggiornata dopo tutte le 28 esibizioni, in una cavalcata che, ieri sera, sembrava davvero infinita.
Per fortuna ad allietare la serata una donna straordinaria, umile, brava e simpatica.
Paola Egonu con i suoi 24 anni e tutti i suoi 193 centimetri di altezza ha calcato il palco dell’Ariston con una leggiadria ed una spigliatezza davvero adorabili.
Ha presentato, si è presentata, si è raccontata ed è stata una bella rivelazione oltre che una degna compagna di viaggio per Amadeus e Gianni Morandi che al suo cospetto per tutta la serata è sembrato piccolo, ma sempre all’altezza. E proprio per ovviare ad una differenza evidente, che verso la fine della puntata, grazie ad un rialzo, Gianni Morandi ha potuto ballare un lento con Paola, che sa come stare al gioco, sa sorridere e far sorridere.
Anche il suo monologo è stato adeguato e molto incisivo. Il racconto di sé, della sua età, dei suoi sogni, delle aspirazioni, delle sue paure e dei fallimenti. Quel voler essere una donna sempre alla ricerca di un dettaglio di felicità senza forzare mai il destino e senza sentirsi mai ultima. In chiusura cita Vasco Rossi, ricorda quel suo penultimo posto a Sanremo e quelle sue parole divenute storiche per descrivere la bellezza della diversità che accomuna tutti: “ognuno col suo viaggio, ognuno diverso“.

La serata è scivolata in maniera abbastanza leggera, le canzoni – come spesso accade – riascoltandole assumono un abito diverso, le parole prendono forma, i cantanti sono più rilassati.
Alcune convinzioni circa le canzoni in gara le ho confermate.
Confermo l’ottima performance di Mengoni che rimane in cima alla classifica demoscopica e del televoto. Per lui la standing ovation del pubblico in sala.
Molto bene Lazza quarto in classifica, che regala i fiori di Sanremo alla mamma seduta in platea,  Rosa Chemical, Madame, Mister Rain che in classifica è terzo, Tananai che è quinto, Elodie è nona, e ieri sera bellissima in quel suo vestito vedononvedo.
Gradevoli all’ascolto Levante, un bel sound per i Colla zio e poi i Modà con l’unica canzone “Sanremese” in gara.
Resta il mistero del perché Giorgia abbia scelto una canzone per nulla adatta alla sua voce, che non è Sanremese e che ha un testo pressoché banale. Ma ieri elegantissima ed emozionata, ha cantato meglio della sera prima.
Tenerezza e imbarazzo per Gianluca Grignani che non regge l’emozione, forse, o forse per davvero non sente bene in cuffia, o forse quel palco è troppo per un uomo che ormai è fragile nei confronti del vivere; ferma la musica e poi, si ricomincia.

Ma a prescindere dal posto in classifica (12esimo) il cantante vince, per me, con quella scritta sulla camicia che mostra dopo essersi tolto la giacca: “No War”.
Alla fine sono questi i momenti che si ricordano della famosa Kermesse che oltre alle canzoni – il cui destino lo decreteranno le radio e gli streaming – si nutre di eventi, di ospiti, di piccoli dettagli.

E a proposito di streaming, sul palco dell’Ariston arrivano i Maneskin. Con i loro 7 miliardi di streaming, dopo aver girato il mondo, dopo essere finiti nelle classifiche più prestigiose del globo, atterrano dritti dritti sul palco di Sanremo dove hanno vinto e da dove hanno spiccato il volo, vincendo prima l’Eurovision e poi raccontandosi sui palchi americani e non solo.
Un assaggio di quello che è il loro concerto, grande energia, qualche nota sbagliata e la presenza con loro sul palco di Tom Morello, chitarrista e cantautore americano che ieri sera all’Ariston ha mostrato la sua cifra artistica. I wanna be your slave, zitti e buoni, the lonlinest ed è subito energia pura. I ragazzi sono affiatati e bellissimi.

Torna Ranieri con un pezzo carino nuovo e tre coriste e annuncia un nuovo lavoro insieme a Rocío Muñoz Morales che lo raggiunge sul palco, spigliata e per nulla diva.

Un colpo d’aria che fa calare la voce impedirà a Peppino di Capri di essere ospite nella terza serata, ma all’una e mezza di notte, sul palco arriva Alessandro Siani e il suo monologo sull’uso eccessivo del telefonino.
Ieri sera la meravigliosa orchestra di Sanremo ha reso omaggio al compositore americano Bart Bacharach, scomparso a 94 anni.
Sempre più difficile restare svegli fino alla fine, ma stasera tocca ai duetti e alle cover.
A domani.

 

Ma sì, facciamola un po’ di pubblicità alla concorrenza!
La verità è che Fiorello  da bravo show-man tutto può, finanche travestirsi da Maria De Filippi, aprire la seconda puntata del Festival di Sanremo ed essere così credibile da indurre “nostra signora della tv” a telefonare a Fiorello, in diretta, proprio mentre è sul palco e dopo essersi complimentata con Amadeus, si presta simpaticamente allo sketch del doppiaggio.

Si entra nel vivo delle nuove proposte e tra gli altri 4 in gara, passano Fasma e Marco Sentieri, ma il livello è basso e se avessi dovuto premiare qualcuno, avrei fatto passare al successivo step Gabriella Martinelli e Lula (anche batterista) con la loro canzone che parla del dramma dell’Ilva con il loro pezzo “Il gigante d’acciaio“.

E’ il  5 febbraio, e allora un pensiero va a Fabrizio Frizzi che in questo giorno avrebbe compiuto gli anni e con grande sobrietà, con indosso un abito meraviglioso, calca il palco la vedova di Frizzi, Carlotta Mantovan, accolta da lungo applauso dedicato al presentatore prematuramente scomparso.

Sanremo ha un corpo di ballo, ed è ancora Fiorello il protagonista; Lui che canta e poi balla, tra  ballerini e ballerine tra i quali spicca Leon Di Domenico, talentuoso ballerino diciannovenne di Vallo della Lucania che studia all’accademia di danza di Londra dopo stage a Madrid e Los Angeles.

Ma Sanremo è kermesse canora e tocca cominciare.

Piero Pelù  apre la gara, ma è sotto tono, e subito dopo come per magia sul palco arrivano le splendide giornaliste RAI Laura Chimenti e Emma d’Aquino.

E’ il turno della Lamborghini con una tuta improbabile e un pezzo che manco nei peggiori bar di Caracas.  Tra gli ospiti Il tennista Novak Đoković costretto a cantare “terra promessa” con Fiorello in un siparietto penoso.

Nigiotti, scarso con la sua “baciami adesso“, si concede un assolo di chitarra.  Sabrina Salerno sembra uscita dritta dritta dal 1980 calandosi a tempo di record nei panni della valletta.

La cantante siciliana indi-pop Levante, arriva sul palco con un delizioso abito rosa, e  con un pezzo discreto, buon sound, nel suo stile, ma ha problemi con il cantato, come se fosse fuori forma o forse gioca brutti scherzi l’emozione da palco sanremese. Sull’onda della musica indi arrivano i Pinguini Tattici Nucleari, che un po’ ricordano “lo stato sociale”, ma restano nei canoni del loro genere con il pezzo “Ringo Starr“.

Avevo dimenticato che è ospite fisso ed invece torna Tiziano Ferro, questa volta insieme a Massimo Ranieri, e si spartiscono il famoso pezzo “perdere l’Amore“. Ma Ferro non ce la fa e sarà scarso nella performance anche quando, nella seconda metà della serata canora, intonerà alcuni dei suoi più famosi pezzi come “Serenere“.

E’ Tosca a regalare in mondovisione il momento più bello e più alto della serata, e di tutto il Festival fino ad ora. Presenza scenica, ottimo look, intonazione impeccabile, personalità da vendere e un pezzo davvero bello “ho amato tutto“. Sembra essere decontestualizzata per quanto è brava, sembra sovrastare completamente tutto il resto. Come se fosse ospite sopraffino e non cantante in gara che, se fosse per merito, vincerebbe a mani basse, ma la classifica all’una e mezzo di notte – seppur provvisoria – dirà altro.

Momento toccante quando Amadeus con accanto il Maestro De Amicis introduce la canzone di Paolo Palumbo, ragazzo 22enne che da 4 anni è affetto da SLA. E parte l’hashtag #iostoconpaolo

Come annunciato da Amadeus stretto in uno dei suoi abiti glitterati, arrivano i Ricchi e Poveri, tutti e 4, anche con la Occhiena e la reunion dopo 40 anni, avviene in playback, così, giusto per non correre il rischio di figuracce. Partono con la versione tarocca di “everlasting love” per poi adagiarsi su quelli che furono i loro successi.

Ospite – ma direi super ospite – Zucchero, che si conferma essere un grande artista, che calca quel palco che fu suo nel 1985 con “Donne” e che accompagnato da coristi stratosferici, risolleva le sorti della Kermesse canora.

E’ il turno di Gabbani, che sarà primo in classifica alla fine della seconda serata,  Paolo Jannacci emoziona con il pezzo “Voglio parlarti adesso” e con quella somiglianza spiccata con suo papà.

Che Sanremo sarebbe senza “non dirgli mai” di Gigi D’Alessio, canzone che festeggia 20 anni. Gigi alla fine è uno che se la canta e se la suona e che – va ricordato per onore di cronaca – ha venduto oltre 30 milioni di dischi in tutto il mondo.

Arriva Rancore, ma nessuno sa chi sia, manco chi l’ha portato al festival.
Ancora Ranieri che fa la sua figura e ancora Tiziano Ferro condannato alla stonatura a vita.

E’ notte fonda quando arriva lui, Junior Cally,  senza maschera, con la faccia da pischello, quel suo “no no grazie” e vestit0 con una giacca che ricorda le divise naziste.

E i monologhi?
Apprezzabile quello di Emma d’Aquino sul mestiere del giornalista e sul diritto alla libertà di informazione, un po’ meno quello che arriverà più in là da Laura Chimenti che altro non è che una lettera melensa alle 3 figlie. Forse si poteva evitare.

In finale di gara tra big Giordana Angi, che paga lo scotto di cantare per penultima all’una e un quarto di notte, che è vocalmente brava ma che perde l’occasione di fare bene, perché a mio avviso la canzone ha un testo troppo banale.
Zarrillo torna a Sanremo, ma se non lo avesse fatto, era lo stesso.

Nella classifica Gabbani primo, Junior Kelly ultimo.

Così sia

 

a domani

Simona Stammelluti 

La magia sta tutta lì, in quella miscela esplosiva che prende fuoco quando l’energia di Massimo Ranieri – artista a tutto tondo e show man instancabile –  si mescola a quello che accade ogni qual volta che la musica jazz, si mette al servizio di un progetto prestigioso come quello in scena al teatro Diana di Napoli e che porta il nome di Malìa.

Lo racconta il perché di quel modo di intitolare il concerto, Ranieri. Ma non è solo un titolo, un vezzo, un nome che affascina… è un vero e proprio viaggio indimenticabile, un incantesimo possibile grazie a quella musica che ha ammaliato il mondo, in quegli anni ’50 e ’60;  Anni in cui Ranieri al secolo Giovanni Calone nasceva, anni in cui la luna sapeva sfavillare sullo sfondo di un cielo blu notte, gli anni dei night club e degli americani che affollavano Capri, quando venivano a sentire come si facesse la musica, oltre oceano.

Un concerto, quello di ieri  11 novembre, che si potrebbe incorniciare; e non solo perché non c’è stata “una nota fuori posto”, ma perché le caratteristiche che decretano la riuscita di uno spettacolo, di un concerto, di uno show, le ho passate in rassegna durante la serata e tutte, hanno risposto all’appello. Dall’intonazione alla presenza scenica, dal discorso musicale all’interplay, dall’originalità degli arrangiamenti alle improvvisazioni jazzistiche, dal talento puro, alla ricerca dei dettagli sonori che fanno sempre la differenza, anche e soprattutto quando si rivisitano pezzi storici della tradizione – in questo caso, della tradizione napoletana – e che recano in se una intenzione precisa, sia del periodo storico raccontato, che del significato che quella musica ha avuto nel corso dei decenni sul patrimonio musicale che attraversa i tempi, in maniera inossidabile.

E’ carismatico Massimo Ranieri, è stracolmo di groove, inteso proprio come capace di “divertirsi intensamente”, perfettamente calato nell’atmosfera di quegli anni, che tanto hanno saputo raccontare (musicalmente parlando) e che lui decide di regalare al pubblico attraverso un concerto confezionato impeccabilmente, e tenuto insieme da quel filo sapiente, raffinato e originale come solo il jazz sa sempre essere.

Enrico Rava

Geniale Ranieri che sceglie un quintetto jazz, per raccontare i grandi successi della musica napoletana. Non dei jazzisti qualsiasi, ma a mio avviso scelti proprio nella loro intrinseca capacità di saper inserire come in un mosaico che prende forma pian piano, l’immagine che era alla base del progetto. Enrico Rava (tromba e flicorno), Rita Marcotulli al pianoforte, Riccardo Fioravanti al contrabbasso, Stefano di Battista al sax contralto e pure al soprano e Stefano Bagnoli alla batteria. Quei musicisti che presi da soli, sono già un pezzo di storia del jazz internazionale e non solo italiano, e che riuniti sul quel palco, hanno dimostrato non solo un talento indiscusso, ma una versatilità e una capacità interpretativa capace di fondersi perfettamente con l’impronta scenica e la potenza della voce di Massimo Ranieri, della sua estensione vocale e della sua capacità – unica – di riuscire a fare tutto e a fare tutto bene. Canta, balla, intrattiene, l’artista partenopeo, è generoso e ci si chiede dove li nasconda i suoi 66 anni finiti. Forse tra le rughe di quel volto che raccontano una storia che parte da lontano, che sembrava già scritta sin da quando era bambino. Quelle rughe che si piegano, che si commuovono, davanti alla musica e che si inchinano allo scambio emozionale che viaggia da lui al suo pubblico e viceversa, come se fosse facile incantare, ammaliare tutte le sere, raccontando semplicemente la musica a modo suo…come se fosse ogni sera “tutta nata storia“.

Stefano di Battista e Stefano Bagnoli

Ed è proprio così che si apre il concerto, con una prorompenza che fa salire i brividi, con l’omaggio ad un Pino Daniele che – come lo stesso Ranieri racconta – non era ancora nato, ma che sembra esserci e sempre ci sarà, come un lucchetto sul cuore che ad aprirlo è un attimo, basta rievocare le emozioni che seppe dare in vita, ed anche oltre.

Le note degli strumenti a fiato di Rava e Di Battista, si incontrano e si rispondono, si mescolano e si capiscono, mentre le note altissime lasciano spazio alla sincronia che si realizza a sostegno del ritornello del famoso pezzo di Pino Daniele.

Muoiono i poeti, ma non muore la poesia” – dice Massimo Ranieri ricordando Aldo Palazzeschi.

Sono le canzoni scelte per il progetto a fornire al grande Show man, la possibilità di raccontare aneddoti e pezzi di storia di quelle canzoni in repertorio. E’ dopo “Resta cu’mme“, in cui il jazz è ricamato addosso al cantato, che Ranieri racconta di che anni bellissimi fossero quelli, anche se l’intensità di alcuni pezzi veniva a volte censurata, così come fece la Rai con questa canzone per quei famosi versi “non m’importa chi t’avuto“.

Rita Marcotulli

Puoi provare ad immaginare quel che potrà proporti quel concerto, ma non potrai mai immaginare che lì dentro, dentro quei metri che ospitano gli artisti, i musicisti, si consumeranno sound, passi di danza e arrangiamenti sofisticatissimi. Balla a ritmo di samba, Ranieri, durante Lazzarella, e quasi rieccheggiano ancora i suoi passi e le note della canzone quando prende posto su uno sgabello, mentre lascia Di Battista e la Marcotulli introdurre “Malatia“. Sofisticato e leggero Stefano Di Battista, che ricama il tema con fiato lungo e note aperte. E’ sempre lui che introduce “Anema e cose” con il sax soprano. Il pubblico canta, si lascia trascinare, si lascia emozionare, sorride e poi si commuove, tutto nel tempo di una canzone. Qualcuno si lascia andare ad un ricordo ed io ascolto l’assolo di Rava e penso a quanta strada lui abbia fatto fino ad arrivare qui, sul palco con Ranieri ed altri amici, adesso nel novembre del 2017; penso a quella carriera così lunga e fortunata, a quel musicista canuto e bianco, che prende posto a destra sul palco, seduto sul suo sgabello, mentre mostra il suo profilo migliore, quello mentre soffia nella suo flicorno. In quel profilo in cui entra la sua sonorità calda, non per forza virtuosistica, ma che sa sempre come concedere alle note un’ascesa veloce e decisa, come quando si chiude una porta lentamente, affinché anche l’ultimo invitato, sia presente alla festa. Cura molti finali, Rava, lui che non ha bisogno di complessità per capire “come si finisce”.

E’ un valzer, “Na voce na chitarra e ‘o poco ‘e luna“; ma c’è anche il cha-cha-cha in Malìa, scelto per “La pansè“. Ranieri non sa solo cantare intonatissimo – che quasi ci si chiede come faccia a non lasciar andare neanche una nota – ma ha anche la capacità ormai rara, di cantare in levare. Lo fa meravigliosamente, e lo fa mentre balla, e sorride e ammalia.

Ci sono tutti in questo concerto: Rascel, Murolo, Modugno. C’è la musica napoletana, C’è “Luna rossa” con un abito nuovo di zecca, c’è un Di Battista che invade completamente il palcoscenico con le note del sax alto, con la sua personalità musicale altamente comunicativa, l’eleganza del fraseggio quando parte dalle note basse e velocissimo corre verso l’alto conservando energia, evoluzione ed improvvisazione oltre che tutte le nuance armoniche.

La base ritmica è affidata ad altri due fuoriclasse, Riccardo Fioravanti al Contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria. Sono loro ad aprire “Torero” ed è un tripudio di suoni, di senso ritmico, di cassa e rullante che rimbombano nello stomaco di chi è in teatro, mentre fluiscono convincenti le note del contrabbasso, spesso inarrestabili nel jazz. A sottolineare le parole della canzone, Rita Marcotulli, unica donna sul palco, che tra le altre e tante caratteristiche, sa muoversi nel confine tra jazz e altre sfere musicali con grande maestria, che sui quei tasti bianchi e neri batte il tempo e intreccia melodie, senza mai perdere il filo del tema, così caro a Massimo Ranieri.

Riccardo Fioravanti

Un concerto diviso in tre parti, come se fossero tre tempi diversi da raccontare, tre stati d’animo, tre storie a se, ma che come fil rouge hanno le sfumature di una musica che non tramonta dentro il mare, ma rinasce ogni giorno con il primo sole.

Capri costola di Napoli, piccolo paradiso dei night club, quell’isola che è la “natura abitata dagli dei” come qualcuno felicemente la definì, riceve l’omaggio con “Luna caprese“. Massimo Ranieri canta senza mai una sbavatura, mai una incertezza, capace di far innamorare tutti.

Arriva uno dei momenti più belli del concerto, quando canta “Indifferentemente” canzone che parla della fine di un amore, di un’ultima scena, di quello sguardo alla luna. Un pezzo che Massimo Ranieri ama molto, così come racconta. Ma il racconto va anche un po’ più in là…corre ad uno dei ricordi più belli ed indelebili della sua vita, corre a quando lui ragazzetto andò in America con Sergio Bruni.

Ci sono momenti di jazz puro, durante il concerto, ci sono tanti ricordi, come quello di quando Stefania Sandrelli volle cantare con lui “Nun è peccato” durante la trasmissione “Sogno o son desto”, pezzo riproposto anche ieri sera.

Non lo si lascia andar via così, un artista di quel calibro. Non si è mai abbastanza sazi, soprattutto quando si ha davanti la storia della musica italiana, quando si è al cospetto dell’emblema della musica italiana fatta a regola d’arte, quando insieme a Massimo Ranieri su quel palco ci sono quei musicisti – che a mio avviso sono stati una felicissima scelta che ne ha decretato il successo – e quando non vi è una sola persona che siede in quei posti, che non vuole sentire i pezzi storici che non sono solo i suoi, ma di tutti noi. “Erba di casa mia“, “Rose rosse“, “Perdere l’amore“, nel bis, che arriva dopo due ore di spettacolo, che arriva pianoforte e voce e in chiusura con  il suono del sax contralto di Stefano Di Battista che resta il cabochon di un gioiello, che è e resterà pura Magia…ops, Malìa

Simona Stammelluti

Le foto sono di proprietà del Sicilia24h.it e pertanto ne è vietata la riproduzione