Otto anni a Francesco Russo, autore del tentato omicidio di Joppolo Giancaxio. La mamma della vittima: “La sentenza può creare precedenti pericolosi”

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Sparò ad un compaesano al termine di una futile lite avvenuta la notte del 24 agosto in pieno centro a Joppolo Giancaxio. Riconosciute le attenuanti generiche, il Gup Micaela Raimondo ha condannato Francesco Russo a 8 anni di carcere per i reati di tentato omicidio, porto e detenzione illegale di arma clandestina e ricettazione. Gli avvocati dell’imputato hanno chiesto il rito abbreviato.

Il Pubblico Ministero, Gaspare Bentivegna, aveva chiesto una condanna a dieci anni e quattro mesi.

L’imputato dovrà anche pagare 50 mila euro in favore della vittima, Tommaso Alaimo di 23 anni, e 15 mila euro a testa ai genitori dello sfortunato ragazzo, i quali si sono costituiti tutti parte civile. Il giovane ferito a seguito degli spari, ha subito una lesione al midollo osseo ed è costretto a vivere su una sedia a rotelle.

Sulla sentenza abbiamo sentito la mamma di Tommaso, la quale ha così commentato il verdetto: “Premetto che nessun ergastolo e nessun risarcimento plurimiliardario possa far ritornare mio figlio nelle condizioni normali. A mio modo di vedere il rito abbreviato dovrebbe essere attuato solo per reati di piccola entità. Ma quando si tratta di un tentato omicidio, tralasciando gli altri reati commessi, non credo possa costituire un precedente incoraggiante per chi avesse cattive intenzioni nel compiere anche il reato di tentato omicidio. Otto anni – continua la signora – possono costituire un brutto precedente e, in questo caso, penso che non sia di esempio eccellente per i giovani che vivono nella nostra società. E pensare che per la vicenda della bicicletta lanciata da una balaustra che ha colpito violentemente un giovane rimasto paralizzato come mio figlio, gli imputati sono stati condannati a 16 anni. Quella è stata una pena esemplare che certamente non incoraggia chi ha cattive intenzioni”.

La signora è molto amareggiata, si percepisce facilmente e dice: “Evidenzio la disparità di condizione sin dal primo momento che ha caratterizzato lo stato delle due persone, cioè l’imputato e la vittima. Mentre l’imputato ha avuto la possibilità di vivere tra i propri affetti, sin da subito, e con le piene facoltà psichiche e fisiche non ostacolate da nessun fattore, al contrario, mio figlio, si dibatteva nelle sale operatorie inizialmente combattendo tra la vita e la morte e successivamente nel tentativo di recuperare quanto di più possibile. Ogni giorno – continua la mamma – questa sua lotta veniva sentenziata con verdetti medici sempre più drammatici che non danno nessuna speranza e hanno il sapore di sentenza di condanna a vita. La sua condizione rimane compromessa per l’intera esistenza sia dal punto di vista fisico che da quello psichico relazionale, condizionando la sua vita e quella di tutta l’intera famiglia. Vuole sapere se sono soddisfatta? Assolutamente no” – conclude la mamma di Tommaso.

(Nella foto, ecco Tommaso)

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