Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h - Pagina 92 di 94
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Sanremo – Sarà sicuramente un’edizione del Festival che non faticherà ad essere ricordata, dopo la straordinaria, umana e commovente presenza sul famoso palco dell’Ariston, del maestro Ezio Bossio, virtuoso del piano, affetto da Sla che ha emozionato fino alle lacrime tutti coloro che hanno avuto l’onore di essere al suo cospetto ieri sera, durante la seconda serata del kermesse canora.
Che si fosse stati in teatro, o a casa, in quei minuti nel quale Ezio Bosso ha parlato e poi suonato, si è spento ogni riflettore, e si è acceso un incredibile dialogo emotivo tra la sua travolgente umanità e i punti deboli di chi lo ha ascoltato, in religioso silenzio, lasciando che le lacrime uscissero senza timore, così come è stato anche per la violinista dell’orchestra.
Quella sua disarmante, straordinaria normalità, nella impercettibile disabilità, è stata una vera e propria lezione di vita, proprio in un momento nel quale si sembra essere tutti vittime “consapevoli” di un egocentrismo che non lascia più scampo a nessun tipo di riflessione condivisa.
“Eppure la musica, come la vita, si può fare in un modo solo: insieme” – queste le parole di concedo del maestro Bosso, dopo la sua esibizione, mentre nelle orecchie di tutti rieccheggiano quelle del suo discorso a cuore aperto, senza barriere, senza difese, nel quale ha raccontato come la vita dell’uomo non sia un filo diritto, ma simile a “12 stanze” (titolo anche di un suo lavoro discografico) dove l’ultima, la dodicesima, non è da considerare la fine, ma un nuovo inizio, un nuovo punto di partenza, dal quale si può ricordare ciò che è stato e quindi si è finalmente pronti a ricominciare.
E poi ancora quella sua riflessione sul “perdere qualcosa” e “perdersi”. Perché “perdere”, inteso come smarrire – dice Ezio Bosso – “non è una cosa brutta, perché c’è chi perde il pregiudizio, per esempio, o l’egoismo”. E perdersi, invece significa avere una nuova opportunità per ricominciare. Ecco, il simbolo del suo parlare, la rinascita, la capacità di non arrendersi agli eventi, ma di riappropriarsi della vita e del futuro.
E la riflessione più bella arriva proprio riguardo alla musica, che lui definisce “magica” e sorridendo racconta che è proprio per quello, che i direttori d’orchestra hanno la “bacchetta”.
Non semplice dunque, raccontare la seconda puntata del Festival di Sanremo, se non in virtù di questo ospite straordinario in talento ed umanità.
In gara ieri sera si è notata l’estensione e la perfetta intonazione di Annalisa Scarrone, con la sua “diluvio universale”, Patty Pravo, che malgrado la sua età e qualche stonatura ha retto una performance che ha lasciato a desiderare, cantanto “cieli immensi”, e poi ancora Valerio Scanu, Clementino con “quando sono lontano”, un pezzo rap che narra di rapporti, Neffa “tra sogni e nostalgia”, che sbaglia l’originalità e prende anche qualche stecca, gli Zero Assoluto “di te e di me”, che non lasciano nessun segno del loro passaggio, né sul pubblico né sulla giuria. E poi ancora Alessio Bernabei che dopo aver lasciato il gruppo Dear Jack, prova un percorso da solista che però non lo premia, considerato che la sua performance non è che appena sufficiente. La canzone di Francesca Michelin, noiosa ed incerta, non regge la sua notorietà in rete, mentre Dolcenera – a rischio eliminazione – racconta un pezzo sofisticato, da lei scritto “ora o mai più”, che non viene apprezzato al meglio.
Come al solito quando è a Sanremo, mette tutti d’accordo l’esibizione di Elio e Le storie Tese, attesi e applauditi, soprattutto per l’originalità. “Vincere l’odio”, è il pezzo che in maniera assai originale riassume 5 pezzi in un’unica partitura, estremamente musicale, e con citazioni di pezzi famosi proprio di Sanremo. Allegria e bravura, nella performance.
A rischio eliminazione dunque, insieme a Dolcenera, gli Zero Assoluto, Neffa e Alessio Bernabei. Ma è stata anche la serata delle nuove proposte. Sfida a due, passano Chiara Dello Jacovo e Ermal Meta.
Vallette e valletti fanno il loro compitino a casa, Madelina sfoggia abiti meravigliosi, Garko sembra sempre come se non avesse mai fatto nulla in vita sua se non piacere a un discreto numero di donne, mentre la bravissima Virginia Raffaele, si destreggia simpaticamente nei panni di una Carla Fracci sagace e glamour.
Torna sul palco dell’Ariston Eros Ramazzotti che come la Pausini nella prima serata, racconta la sua carriera ripercorrendo quelli che sono stati i suoi successi, partiti proprio da quel fortunatissimo palcoscenico e poi, chiacchierando con Conti, parla di figli, della loro capacità di “fare famiglia”, qualunque colore abbia, la famiglia, e poi racconta del delicato ruolo del genitore nel sostenerli ed accompagnarli affinché non si smarriscano.
E’ sembrata banale e senza nulla da ricordare, la presenza in finale di serata della super attrice Nicole Kidman, che a parte raccontare che suo marito le fa trovare fiori freschi e bigliettino in ogni albergo e che sua madre ha acquistato tutti i francobolli con la sua faccia, poco è rimasto di quella donna sicuramente elegantissima, emblema di raffinatezza, ma che – a mio avviso – poteva anche restare a casa.
Subito dopo mezzanotte sul palco dell’Ariston arriva Nino Frassica, che dopo un simpatico duetto di risposte a medesima domanda con Garko, si esibisce in una interpretazione  inedita di un pezzo “a mare si gioca”, scritta dal grande maestro Tony Canto, che sul palco ieri sera ha anche  suonato la chitarra. Il tema del pezzo, la crudeltà della vita dei migranti sul mare, per raggiungere la salvezza, e quello, non è un gioco.
Grande merito, anche nella seconda serata, va alla grande orchestra della Rai, i cui elementi restano la colonna portante di una kermesse inossidabile.
Simona Stammelluti

SANREMO – Come tutti gli anni, si divide in due l’Italia tra chi ama e chi odia la più famosa kermesse canora giunta alla sua 66esima edizione, eppure i dati parlano sempre di milioni di telespettatori per ogni serata, incollati alla Tv.
La conduzione, che spetta anche per quest’anno a Carlo Conti è stata snella, ogni cosa è sembrata al proprio posto, anche se il susseguirsi delle canzoni dei 10 big in gara, non ha certo entusiasmato appassionati e critica.
Valletti, vallette, gag e superospiti hanno cadenzato la prima serata del festival di Sanremo e come sempre hanno suscitato i commenti e le opinioni di tutti.
Un attacco di serata emozionante sulle note di “Starman”, omaggio al grande David Bowie  da poco scomparso, che poi ha lasciato il posto a momenti nella serata non particolarmente entusiasmanti.
Carlo Conti era accompagnato nella conduzione da Gabriel Garko, che è sembrato impacciato e sottotono, da Madalina Ghenea e dalla brava Virginia Raffaele, ma l’attenzione era tutta per i superospiti. Una Laura Pausini emozionatissima, che ha ripercorso, cantando, tutta la sua carriera da quella sua prima vittoria proprio al Festival di Sanremo all’età di 18 anni, dove torna dopo essere divenuta una star in tutto il mondo. Le gag di Aldo, Giovanni e Giacomo, come sempre hanno riempito tempo e spazio con la giusta ilarità. L’imitatrice Virginia Raffaele, bravissima nei panni della Ferilli, che prende in giro la Bellucci.
Ma è sul finale di puntata intorno alle 23,30 che Sir Elton John fa il suo ingresso sul palco, con occhialetti scuri, seduto al pianoforte e quando intona “Your song” sembra non esistere più nulla se non quella voce e quel pathos che non temono il tempo. E poi quella sua sottile provocazione sul suo ruolo di padre.
Poco prima di mezzanotte fa ingresso sul palco dell’Ariston Maitre Gims, artista franco-congolese, che ha regalato alla platea e al pubblico a casa il suo ultimo successo “Est-ce que tu m’aimes”, premiato ieri sera con il disco di Platino.
Ma senza voler togliere nulla a tutto il contorno, le vere protagoniste del festival di Sanremo restano le canzoni ed i loro interpreti, alcuni dei quali ieri sera hanno lasciato molto a desiderare.
Tra i 10 big, spiccano il cantante siciliano, di Modica, Giovanni Caccamo che con il suo brano “Via da qui”, cantato molto bene insieme a Deborah Iurato, ha ricordato il vecchio cantautorato, con un pezzo romantico, con un ritornello orecchiabile, tipicamente sanremese, eseguito con un’ottima estensione vocale, che si pone nella rosa dei probabili vincitori.
L’attenzione si ferma come sempre quando lei c’è, su una superintonatissima Arisa, che ha lasciato a desiderare solo in fatto di look, ma che come sempre, da quel palco, riesce non solo a regalare una impeccabile performance in intonazione e capacità vocale, ma imbastisce testo e musica, come se avesse ormai capito come giocarsi la carta “Sanremo”. La sua “Guardando il cielo”, promette già di diventare tormentone, che nel suo caso, si trasforma in gradevolezza assoluta.
Non in ultimo sotto l’attenzione di chi utilizzerà il televoto per dire la propria e lasciare una preferenza, gli Stadio, per la quinta volta sul palco dell’Ariston, che vanta un Gaetano Curreri che non pensa alle classifiche ma a dare spazio ad una bella canzone, che quando arriva, va regalata. Il titolo del pezzo, “Un giorno mi dirai”, che parla di un rapporto tra padre e figlia, e che lascia senza dubbio un segno, malgrado i problemi di monitor avuti dal cantante, o qualche acuto non messo al posto giusto.
Difficile non sottolineare la scarsa performance di Morgan dei Blu Vertigo a rischio eliminazioni insieme a Irene Fornaciari, Noemi e Dear Jack.
I giovani Fragola e Hunt, passano insieme a Enrico Ruggieri, Stadio, Arisa, e Giovanni Caccamo, che senza dubbio farà parlare ancora di se.

SANREMO – Come tutti gli anni, si divide in due l’Italia tra chi ama e chi odia la più famosa kermesse canora giunta alla sua 66esima edizione, eppure i dati parlano sempre di milioni di telespettatori per ogni serata, incollati alla Tv.

La conduzione, che spetta anche per quest’anno a Carlo Conti è stata snella, ogni cosa è sembrata al proprio posto, anche se il susseguirsi delle canzoni dei 10 big in gara, non ha certo entusiasmato appassionati e critica.

Valletti, vallette, gag e superospiti hanno cadenzato la prima serata del festival di Sanremo e come sempre hanno suscitato i commenti e le opinioni di tutti.

Un attacco di serata emozionante sulle note di “Starman”, omaggio al grande David Bowie  da poco scomparso, che poi ha lasciato il posto a momenti nella serata non particolarmente entusiasmanti.

Carlo Conti era accompagnato nella conduzione da Gabriel Garko, che è sembrato impacciato e sottotono, da Madalina Ghenea e dalla brava Virginia Raffaele, ma l’attenzione era tutta per i superospiti. Una Laura Pausini emozionatissima, che ha ripercorso, cantando, tutta la sua carriera da quella sua prima vittoria proprio al Festival di Sanremo all’età di 18 anni, dove torna dopo essere divenuta una star in tutto il mondo. Le gag di Aldo, Giovanni e Giacomo, come sempre hanno riempito tempo e spazio con la giusta ilarità. L’imitatrice Virginia Raffaele, bravissima nei panni della Ferilli, che prende in giro la Bellucci.

Ma è sul finale di puntata intorno alle 23,30 che Sir Elton John fa il suo ingresso sul palco, con occhialetti scuri, seduto al pianoforte e quando intona “Your song” sembra non esistere più nulla se non quella voce e quel pathos che non temono il tempo. E poi quella sua sottile provocazione sul suo ruolo di padre.

Poco prima di mezzanotte fa ingresso sul palco dell’Ariston Maitre Gims, artista franco-congolese, che ha regalato alla platea e al pubblico a casa il suo ultimo successo “Est-ce que tu m’aimes”, premiato ieri sera con il disco di Platino.

Ma senza voler togliere nulla a tutto il contorno, le vere protagoniste del festival di Sanremo restano le canzoni ed i loro interpreti, alcuni dei quali ieri sera hanno lasciato molto a desiderare.

Tra i 10 big, spiccano il cantante siciliano, di Modica, Giovanni Caccamo che con il suo brano “Via da qui”, cantato molto bene insieme a Deborah Iurato, ha ricordato il vecchio cantautorato, con un pezzo romantico, con un ritornello orecchiabile, tipicamente sanremese, eseguito con un’ottima estensione vocale, che si pone nella rosa dei probabili vincitori.

L’attenzione si ferma come sempre quando lei c’è, su una superintonatissima Arisa, che ha lasciato a desiderare solo in fatto di look, ma che come sempre, da quel palco, riesce non solo a regalare una impeccabile performance in intonazione e capacità vocale, ma imbastisce testo e musica, come se avesse ormai capito come giocarsi la carta “Sanremo”. La sua “Guardando il cielo”, promette già di diventare tormentone, che nel suo caso, si trasforma in gradevolezza assoluta.

Non in ultimo sotto l’attenzione di chi utilizzerà il televoto per dire la propria e lasciare una preferenza, gli Stadio, per la quinta volta sul palco dell’Ariston, che vanta un Gaetano Curreri che non pensa alle classifiche ma a dare spazio ad una bella canzone, che quando arriva, va regalata. Il titolo del pezzo, “Un giorno mi dirai”, che parla di un rapporto tra padre e figlia, e che lascia senza dubbio un segno, malgrado i problemi di monitor avuti dal cantante, o qualche acuto non messo al posto giusto.

Difficile non sottolineare la scarsa performance di Morgan dei Blu Vertigo a rischio eliminazioni insieme a Irene Fornaciari, Noemi e Dear Jack.

I giovani Fragola e Hunt, passano insieme a Enrico Ruggieri, Stadio, Arisa, e Giovanni Caccamo, che senza dubbio farà parlare ancora di se.

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Giulio Regeni, 28 anni, che definirlo un’eccellenza è senza dubbio riduttivo. Torna a casa in una bara, dopo aver girato il mondo, dopo aver riscosso con il massimo dei voti il consenso nelle migliori università, morto – come sostengono i detective – per le sue idee.
Quelle idee che spesso muovono i cambiamenti, che sono alla base dei ruoli diplomatici, che cambiano le sorti di un rapporto e che a volte ti conducono alla morte.
Ed intanto l’autopsia sul corpo del ricercatore italiano scomparso in Egitto lo scorso 25 gennaio, ritrovato morto lungo l’Alexandria Desert Road, il 3 febbraio scorso, parla di numerose fratture, rottura della vertebra cervicale, seguita da crisi respiratoria, e poi ancora di segni di abusi o di violenze sessuali subite.
I media egiziani sostengono che Giulio fosse ad una festa, poco prima di sparire. La notizia arriverebbe dalle indagini degli uomini della sicurezza. Ma fino ad ora era emerso che il ragazzo, diretto a quella festa, non vi era mai arrivato.
Ci sarebbe stato il fermo di due persone, attualmente sotto interrogatorio. Nessuna accusa per loro, ma trattenuti per indagini. E’ quanto si apprende dal quotidiano Al Ahram, che dichiara inoltre che si tratterebbe “di un atto criminoso, ma non terroristico”.
Perché è stato ucciso Giulio Regeni? Il parroco che ha ufficiato il suo funerale, parla ai giornalisti dopo aver detto messa e dichiara che “Giulio è stato ucciso per quello in cui credeva”.
La risposta alla domanda sul perché il ricercatore friulano sia stato così barbaramente ucciso, ancora non è certa e si avvicendano solo supposizioni, fatto sta che lo stesso, talentuoso come pochi, che conosceva l’arabo, che parlava benissimo l’inglese ed il francese, scriveva per il Manifesto, utilizzando uno pseudonimo, forse perché per davvero temeva per la sua incolumità.
Almeno questo veniva dichiarato, fino a quando a parlare è stata Paola Deffendi, la mamma di Giulio che ha chiesto ad un amico di famiglia, di diffondere la sua dichiarazione secondo la quale “Giulio voleva collaborare con il Manifesto, ma non fu considerato”. Ha poi continuato dicendo che “il quotidiano ha pubblicato il giorno 5 febbraio un suo articolo usando il suo nome e cognome, nonostante lui, nel proporre il servizio di carattere sindacale dal Cairo, avesse espressamente chiesto che venisse usato lo pseudonimo proprio per motivi di sicurezza”.
Dal quotidiano Il Manifesto hanno spiegato che “l’articolo in questione era in attesa di pubblicazione”. Nel frattempo Giulio Regani quell’articolo – critico nei confronti del governo di Al-Sisi – lo aveva proposto al sito nena-news, agenzia di stampa del Vicino orientre, che l’aveva pubblicato con uno pseudonimo.
Denunciava e scriveva, chiedeva l’anonimato per l’incolumità sua ma anche per difendere le sue fonti e la loro, di incolumità. Sottolineava quando l’Egitto fosse molto indietro riguardo alla libertà di stampa. Scriveva di come i sindacati facessero sentire la propria voce. I suoi articoli erano coraggiosi. Ma il coraggio spesso pone in situazioni di precarietà, perché chi scrive per denunciare veste un ruolo crudele e spesso scomodo.
Il caso di Giulio Regeni resta un giallo. Giulio amava l’Egitto, lì aveva tanti amici, amava quel popolo e verso quel popolo i suoi genitori non nutrono né odio e né rancore. Quei genitori che con estrema compostezza ed umiltà e dignità hanno accolto l’ambasciatore egiziano, giunto a Roma per consegnare loro le condoglianze del paese, nonché la volontà del presidente Al-Sisi, di fare chiarezza sulla morte del loro amato figlio.

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Ormai tutto ruota intorno all’apparire, e al diavolo l’essere, le competenze, le capacità … basta che ci metta in vetrina. E non conosco vetrina migliore della TV. Tutti sostengono di guardarla sempre meno, alcuni a buon dire, considerato il livello mediocre, scadente e approssimativo che la TV da un po’ propina al grande pubblico.

Eppure ogni sera, capita a tutti di fare il famosissimo zapping, quella metodica attraverso la quale si scorrono i canali, senza neanche sapere cosa si cerchi davvero, quando a fine giornata, vorremmo “tutto e niente”, vorremmo un suggerimento, vorremmo qualcuno che dallo schermo ci parlasse, facendoci mettere in discussione anche una serata qualunque, che ci rinfranchi, o ci faccia sorridere, commuovere, riflettere.

E se possiamo accontentarci di un film che non fa al caso nostro, o di un reality che non amiamo, o di un Tg troppo spiccatamente “di parte”, o di un programma di approfondimento “non tanto approfondito”, sicuramente non potremo mai accontentarci di un programma nel quale chi parla, disconosce le regole della grammatica e della dizione, oltre a disconoscere la giusta coniugazione dei verbi … la lingua italiana, per intenderci. O che in una trasmissione cosiddetta “di settore” si sbagliano vocaboli chiave, mandato i più spaesati, letteralmente in confusione.

C’è chi pensa che non valga la competenza, che tanto la gente non si accorga più di nulla, come se fossimo diventati tutti bambocci ignoranti e di basso livello culturale, che non fanno più caso a nulla. Ed invece il pubblico che guarda la TV, come anche quello che legge i quotidiani, sono persone attente, che sanno esprimere un giudizio, che sono in grado di consegnare un suggerimento, che sanno distinguere con competenza cosa sia fatto bene e cosa no, e che sono capaci di decretare un successo, o un insuccesso di un articolo, di un libro, di un “ruolo”.

Ecco arrivati al dunque. Il ruolo. Perché tutti lo vogliono, quel ruolo, e soprattutto tutti pensano di poterlo avere, a volte pretendere, quel ruolo e sono pochi, pochissimi ormai, coloro che si interrogano sulla capacità o meno di ricoprirlo, quel preciso ruolo. Tutti scrittori, tutti artisti, tutti presentatori, tutti “Tutto”, e chi se ne frega se poi il lettore, o lo spettatore si esprime negativamente, tanto l’importante resta “apparire”, con una firma, con un volto, con un dettaglio “quasi mai degno di nota”.

E i titoli di studio, le competenze, le capacità, si trasformano in un ammasso informe di finestre impolverate che non si affacciano più su nulla, se non su un vociare chiassoso di parole dette a vanvera. Lo stesso vale per il talento, quello puro, spesso archiviato, per far posto a quello o quel personaggio, al parente di, o a chi ha più faccia tosta, per fare del “proprio niente” una vera “filosofia di vita”.

Io lo zapping l’ho fatto, ieri. Non lo facevo da un po’. Non lo facevo da un po’ perché presa dalla volontà di scegliere “per davvero”, a cosa dare importanza, senza farmi suggerire nulla da nessuno. Eppure lo ammetto, ho ceduto. Ho ceduto e mi sono imbattuta in una trasmissione di criminologia – argomento così tanto in voga, mentre fioriscono più criminologi che casi da studiare – e va in onda in un orario pre-serale, mentre prepari la cena e mentre ti interroghi su “dove andremo a finire”.

E dalla Tv, che guardavo da lontano, mi giungevano frasi che recitavano così:

-“Qualche cenno di ciò che ti occupi”

– “Casi di cronaca che conoscete oppure ancora no”

– “Scienze politiche, attinenti alla criminologia”

– “Rappresentare un’attenzione”

– “Fenomeno nuovo, la criminilogia”.

Ma sì, che importa.

Tanto basta l’apparire.

Simona Stammelluti

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Ormai tutto ruota intorno all’apparire, e al diavolo l’essere, le competenze, le capacità … basta che ci metta in vetrina. E non conosco vetrina migliore della TV. Tutti sostengono di guardarla sempre meno, alcuni a buon dire, considerato il livello mediocre, scadente e approssimativo che la TV da un po’ propina al grande pubblico.
Eppure ogni sera, capita a tutti di fare il famosissimo zapping, quella metodica attraverso la quale si scorrono i canali, senza neanche sapere cosa si cerchi davvero, quando a fine giornata, vorremmo “tutto e niente”, vorremmo un suggerimento, vorremmo qualcuno che dallo schermo ci parlasse, facendoci mettere in discussione anche una serata qualunque, che ci rinfranchi, o ci faccia sorridere, commuovere, riflettere.
E se possiamo accontentarci di un film che non fa al caso nostro, o di un reality che non amiamo, o di un Tg troppo spiccatamente “di parte”, o di un programma di approfondimento “non tanto approfondito”, sicuramente non potremo mai accontentarci di un programma nel quale chi parla, disconosce le regole della grammatica e della dizione, oltre a disconoscere la giusta coniugazione dei verbi … la lingua italiana, per intenderci. O che in una trasmissione cosiddetta “di settore” si sbagliano vocaboli chiave, mandato i più spaesati, letteralmente in confusione.
C’è chi pensa che non valga la competenza, che tanto la gente non si accorga più di nulla, come se fossimo diventati tutti bambocci ignoranti e di basso livello culturale, che non fanno più caso a nulla. Ed invece il pubblico che guarda la TV, come anche quello che legge i quotidiani, sono persone attente, che sanno esprimere un giudizio, che sono in grado di consegnare un suggerimento, che sanno distinguere con competenza cosa sia fatto bene e cosa no, e che sono capaci di decretare un successo, o un insuccesso di un articolo, di un libro, di un “ruolo”.
Ecco arrivati al dunque. Il ruolo. Perché tutti lo vogliono, quel ruolo, e soprattutto tutti pensano di poterlo avere, a volte pretendere, quel ruolo e sono pochi, pochissimi ormai, coloro che si interrogano sulla capacità o meno di ricoprirlo, quel preciso ruolo. Tutti scrittori, tutti artisti, tutti presentatori, tutti “Tutto”, e chi se ne frega se poi il lettore, o lo spettatore si esprime negativamente, tanto l’importante resta “apparire”, con una firma, con un volto, con un dettaglio “quasi mai degno di nota”.
E i titoli di studio, le competenze, le capacità, si trasformano in un ammasso informe di finestre impolverate che non si affacciano più su nulla, se non su un vociare chiassoso di parole dette a vanvera. Lo stesso vale per il talento, quello puro, spesso archiviato, per far posto a quello o quel personaggio, al parente di, o a chi ha più faccia tosta, per fare del “proprio niente” una vera “filosofia di vita”.
Io lo zapping l’ho fatto, ieri. Non lo facevo da un po’. Non lo facevo da un po’ perché presa dalla volontà di scegliere “per davvero”, a cosa dare importanza, senza farmi suggerire nulla da nessuno. Eppure lo ammetto, ho ceduto. Ho ceduto e mi sono imbattuta in una trasmissione di criminologia – argomento così tanto in voga, mentre fioriscono più criminologi che casi da studiare – e va in onda in un orario pre-serale, mentre prepari la cena e mentre ti interroghi su “dove andremo a finire”.
E dalla Tv, che guardavo da lontano, mi giungevano frasi che recitavano così:
-“Qualche cenno di ciò che ti occupi”
– “Casi di cronaca che conoscete oppure ancora no”
– “Scienze politiche, attinenti alla criminologia”
– “Rappresentare un’attenzione”
– “Fenomeno nuovo, la criminilogia”.
Ma sì, che importa.
Tanto basta l’apparire.
Simona Stammelluti


Siamo solo a 24 dalla data in cui sono scattate le multe per tutti coloro che abbandoneranno il filtro di sigaretta – mozzicone come si è soliti chiamarlo – e i fumatori sono belli che avvisati.
Il decreto sulla Green Economy ha stabilito sanzioni fino a 300 euro per coloro che incuranti di civiltà e regole, faranno finta di nulla e continueranno a buttare per strada i mozziconi, senza provare a preservare il decoro urbano delle città.
Ma nel mirino del provvedimento non solo i mozziconi di sigarette, considerato che la legge di stabilità, contempla che la multa venga prevista anche per coloro che in terra gettino chewing gum, scontrini e fazzoletti di carta. Nello scopo del decreto legislativo anche l’impellente necessità di limitare gli impatti negativi derivanti dalla “dispersione incontrollata di rifiuti nell’ambiente“.
Fumatori distratti e gente incurante, dovranno certo stare in campana, perché in caso di violazione, la multa va da 30 a 150 euro, con aumenti fino a 300 euro in caso di abbandono dei rifiuti di prodotti da fumo,  “sul suolo, nelle acque e negli scarichi”.
La Legge prevede che per tutti i fumatori ci sia una “soluzione”, Infatti secondo le disposizioni di legge “saranno i comuni a provvedere ad installare nelle strade, nei parchi e nei luoghi di alta aggregazione sociale, appositi raccolgitore per la raccolta dei rifiuti del fumo“.
La multa eventualmente effettuata, sarà ripartita al 50% tra lo Stato ed i Comuni, che a loro volta dovranno destinare quel denaro in “apposite campagne di informazione, per sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze nocive dell’abbandono dei mozziconi e dei rifiuti di piccole dimensioni, sull’ambiente“.
Simona Stammelluti

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Arrestato dalla Polizia di Stato, un prete 40enne che avrebbe commesso abusi sessuali su tre minori.
Gli episodi di abusi, sarebbero incominciati durante un pellegrinaggio, ai danni di due fratelli di 13 e 15 anni, vittime di violenze sessuali da parte del parroco mentre guidava una parrocchia di Palermo, e gli stessi atti sarebbero continuati in periodi successivi, anche all’interno dell’abitazione dei due fratelli.
Sembra che il sacerdote, avesse sfruttato un rapporto di fiducia instauratosi con la mamma dei due ragazzi minorenni, tanto da divenire per loro un punto di riferimento. Lo stesso, aveva per giunta pagato il biglietto per il pellegrinaggio all’estero per uno dei due ragazzi, oltre a concedere loro diversi regali. E’ stata proprio la mamma dei due ragazzini che ha provveduto a denunciare il sacerdote, dopo aver appreso da uno dei figli delle violenze sessuali subite. Gli agenti della Polizia, hanno altresì acquisito la conversazione che il prete intratteneva via chat con una donna che frequentava la parrocchia, durante la quale ammetteva quanto commesso, in un momento che definiva “di debolezza”.
Gli uomini della Squadra Mobile hanno così eseguito l’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Palermo, a Roma. Le indagini, coordinate dalla Procura si sono avvalse di diverse testimonianze, che hanno permesso anche di ricostruire una terza vicenda di abusi sessuali, avvenuta qualche tempo addietro, ai danni di un ragazzo che adesso ha raggiunto la maggiore età.
Simona Stammelluti

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E’ a Sanremo, Garko dove presenterà la famosa kermesse dal 9 al 13 febbraio prossimo e proprio ad una settimana dall’avvio del festival resta vittima di una esplosione.
E’ stata proprio un’esplosione, quella che ha creato il crollo della villa dove Gabriel Garko risiedeva per prepararsi alla sua partecipazione al festival di Sanremo.
Lo scoppio è avvenuto in mattinata, e la donna dormiva ancora, al piano di sopra della villetta, al momento posta sotto sequestro.
A seguito dello scoppio – dovuto con molta probabilità ad una fuga di gas – una donna anziana ha perso la vita. Il famoso attore, trasportato subito all’ospedale a bordo di un’ambulanza, ha riportato un lieve trauma cranico, qualche escoriazione, ed è guaribile in una decina di giorni. Lo stesso – che ha subìto un forse choc – una volta dimesso, ha lasciato l’ospedale da una uscita di sicurezza per non essere assalito da orde di fotografi e giornalisti.
Saranno i Vigili del Fuoco di Sanremo, che sono ancora sul posto, ad accertarne le cause. Si sta provvedendo anche a controllare se tutto l’impianto a gpl fosse a norma. Delle indagini se ne stanno occupando i Carabinieri, che hanno già provveduto ad interrogare il costruttore della villa, il figlio dell’anziana donna deceduta, alcuni testimoni e lo stesso Gabriel Garko, che si trova ancora a Sanremo e che ha smentito di voler andar via.
Simona Stammelluti

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Ci sono differenti correnti che parlano di “vivere la vita come un’opera d’arte”. Le diverse correnti – per alcuni versi spiccatamente astratte – trovano una sorta di concretezza, in alcuni esempi viventi di persone che sono riuscite realmente a farlo.
C’è chi la pensa come Gabriele D’Annunzio, che esaltava profondamente il proprio “io”, inneggiava alla “perfezione” in ogni dettaglio del vivere, succhiando la vita sino al midollo, ed essendo padrone della propria esistenza. In realtà nell’era moderna questo pensiero è stato travisato, pensando che una vita, per essere “perfetta”, debba essere piena di agi, di lusso, di piaceri. Ed invece il pensiero di D’Annunzio, da lui stesso portato avanti durante la sua vita, risiedeva nell’accettazione di alcuni eventi della propria esistenza, e di quel destino che spesso mette alla prova, e davanti al quale bisognerebbe reagire scansando le vicissitudini e continuando a vivere come lo si desidera. Lo stesso D’Annunzio, divorato dai debiti, riuscì a vivere come se nulla lo turbasse.
Poi c’è chi pensa che tutto ruoti intorno al “carpe diem”, al “qui e ora”, alla capacità di lasciare il segno del proprio passaggio, sempre, come in preda ad una “fame d’eternità”, inchinati ad una esistenza egoistica, strappata all’anonimato, con indosso una divisa di “fierezza e solitudine”.
Ed ancora c’è chi parla di opera d’arte nel vivere, coniugando “bontà, bellezza e beatitudine”. Semplice a dirsi, difficile a farsi.
In realtà c’è chi “per davvero”, ha vissuto la propria vita come un’opera d’arte e sono coloro che “inconsapevolmente” hanno lasciato il segno nella storia, nella propria storia, nella storia degli altri, nei ricordi di chi ha visto in loro la “vita ideale”, dettata da gesti non eroici, ma degni di nota, o vissuta all’ombra di un talento inequivocabile, indossato però con la naturalezza di chi sa che quel proprio fare, produce del bene, anche al di fuori della propria esistenza.
Di esempi se ne potrebbero fare parecchi, ed ognuno vedrà “una opera d’arte” lì dove riconosce qualcosa di simile al proprio vivere. Eppure ci sono casi eclatantemente simili ad opere d’arte e sono quelle di coloro che mai hanno considerato un percorso di felicità a discapito della felicità altrui, o coloro che oggettivamente sono stati un “esempio”, in diversi campi.
Mi vengono in mente tutte quelle persone – o personaggi – che hanno lasciato che il tempo scorresse, senza volerlo fermare ed ingabbiare, che si sono “arresi” allo scorrere, agli eventi, alla caducità del vivere ed hanno realizzato quel che potevano, come meglio potevano.
Madre Teresa di Calcutta, per esempio, e quella sua vita instancabile al servizio degli altri, sempre serena in mezzo a mille difficoltà, che spronava il mondo a non arrendersi mai. Lei, che pensava che “il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”, e poi quel suo Premio Nobel per la pace nel 1979.
O mi verrebbe da pensare a David Bowie, che non ha mai vissuto di cliché, che è sempre stato contro la società borghese e conservatrice, che ha smascherato l’ipocrisia tra idoli e fan. Lui, il simbolo del trasformismo, quindi contro ogni omologazione, che ha lasciato che fosse il suo ritratto, ad invecchiare, non il suo vivere. Lui, che ha il suo testamento lo ha inciso in un disco, forse proprio quando aveva più paure, e più nessuna certezza.
La vita come un’opera d’arte. Forse parlarne è più facile che realizzarla.
Certo è che sarebbe opportuno vivere senza rimpianti, ma con discrete dosi di pentimenti, mettendo l’arte in ogni piccolo gesto, con la capacità di godere sempre, ma nella giusta misura.
Forse la formula magica, è tutta qui.
Simona Stamellutti