Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h - Pagina 9 di 90
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Si può essere stella di Hollywood, attrice e donna discreta e al contempo assai sfortunata, malgrado l’immensa notorietà.

A portarsi via l’attrice che tutti hanno conosciuto ed apprezzato nel ruolo di Sandy insieme a John Travolta nel famosissimo Grease, è stato un cancro al seno ormai in stato avanzato, che è tornato per tre volte e che alla fine non le ha lasciato scampo.

Attrice, ballerina e cantante sopraffina, dotata di charme e raffinatezza, Olivia Newton-John, aveva 73 anni ed è morta ieri, nel suo ranch nel sud della California, insieme a suo marito John Easterling, e circondata da familiari e amici.

È morta pacificamente 

Con queste parole suo marito ne ha dato notizia dalle pagine del suo profilo facebook.

Una carriera piena di successi, anche se indelebile nel ricordo di tutti c’è una Olivia che fa Sandy, innamorata del suo Danny Zuko, ruolo interpretato da John Travolta, nel lontano 1978 quando nelle sale uscì Grease, uno dei film del filone musical, tra i più famosi di sempre.

 

Mia Carissima Olivia, hai sero tutte le nostre vite, migliori. Il tuo impatto è stato incredibile. Ti amo tanto, ci ritroveremo lungo la strada e saremo tutti di nuovo insieme. Tuo dal primo momento che ti ho visto e per sempre. Il tuo Danny, il tuo John!

Queste le toccanti parole di commiato di John Travolta che ad Olivia ha dedicato un post sui social. Anche sua moglie è deceduta a causa dello stesso male nel 2020.

Si fa fatica a credere che alcuni artisti che abbiamo quasi creduto immortali, non ci siano più e nello sgomento della notizia, si insinua la nostalgia, ma anche la bellezza dei ricordi. Per noi sarà sempre Sandy bionda e graziosa, con il suo golfino color pastello e la gonna a campana, la sua voce meravigliosa e cristallina che ha reso le canzoni di Grease indimenticabili.

Ma oltre a Grease, è stata una cantante di successo vincendo anche un quarto posto all’Eurovision Song Contest nel 1974,  ha poi vinto il Grammy Award con I Honestly love you, poi ancora un musical nel 1980 con Gene Kelly, nel 1981 un album che le vale un altro Grammy, Physical, premiato come miglior album.

Consacrata star mondiale, nello stesso anno ancora giovanissima sarà insignita della Hollywood Walk Fame.

Donna simpatica, amata da tutti, però riservata, mai finita sotto i riflettori per gossip, ma solo per il suo smisurato talento.
Ricordiamo tutti le immagini anche del famoso balletto riproposto con John Travolta ormai adulti.
Lei, sorridente, a suo agio e bellissima, lascia una grande tristezza in chi l’ha apprezzata per il suo immenso talento e per la raffinatezza inglese che le toccò per nascita.

Riguarderemo all’infinto il suo film più noto, godremo ancora della sua voce da soprano leggero e del suo modo così unico di stare al mondo. Chi per una volta non è voluta essere lei, la meravigliosa inimitabile Olivia Newton John.

 

Olivia Newton-John con Dionne Warwick, Don Kirshner e Helen Reddy nel 1974

 

 

Un concerto da vivere e da annoverare tra i più belli mai visti.

Alice – al secolo Carla Bissi – torna nella sua Forlì acclamata al teatro Diego Fabbri per il suo concerto in duo “Alice canta Battiato” insieme a Carlo Guaitoli, straordinario pianista che ha reso il concerto di una qualità sopraffina.

Alice è un’artista di una raffinatezza incredibile, dotata di una presenza scenica che incanta, capace di utilizzare la sua voce da contralto in maniera virtuosa, controllando in maniera impeccabile i registri bassi e armonizzando ogni brano fino al falsetto, quando necessario.

Entra su un palco quando il maestro è già al piano, vestita con una sobrietà che la valorizza, in un tailleur color pastello che la rende ancor più bella di quanto non sia, dotata di eleganza e di quel sorriso così unico ed accattivante.

Mentre canta allarga le braccia e sembra così avvicinare a sé ogni spettatore seduto in un teatro gremito, attento, emozionato. Perché lei è emozionante, appagante canzone dopo canzone, capace di interpretare ogni singola parola cantata, esaltando i testi che Franco Battiato ha lasciato in eredità, ai quali lei restituisce nuova enfasi, con rinnovata magia.

E’ un concerto per davvero magico, che pulsa, che ti rapisce e che si vive come un vero e proprio regalo, del quale vuoi conservare il ricordo e ognuna delle emozioni provate.

Il sodalizio nonché l’amicizia che ha unito i due artisti, è presente su quel palco e quando Alice racconta alcuni aneddoti che riguardano la loro collaborazione, l’intensità e la complicità che l’ha legata a Franco Battiato, l’atmosfera si carica di pathos.

Il ricordo della stesura dei pezzi per l’album di Alice, la vittoria all’Eurofestival (oggi Eurovision) la vittoria a Sanremo, e quella volontà di “sentire” prima ancora che “sentirsi” parte di un mondo che ha bisogno di “una propria evoluzione, sganciata dalle regole comuni“.

Segnali di vita, L’animale, Io chi sono, brani sublimi di Battiato, trasbordanti di significato, in quel limbo sottile tra gli errori del vivere sempre uguali, e la voglia di cambiare e di recuperare la leggerezza dentro le passioni.

Alice alterna canzoni che furono di Battiato con le sue, che esegue in una maniera così appagante che riesce a sfondare il muro del cuore, rendendo mistico e prorompente ogni brano eseguito, che all’ascoltatore sembra di ascoltare per la prima volta, mentre si scoprono nuove sfumature dell’originario significato.

Il maestro Guaitoli, che molto bene conosceva Battiato, con il suo pianismo versatile e talentuoso, è capace di eseguire l’arrangiamento dei pezzi con coraggio, personalità e disinvoltura, a completamento di una forza emotiva capace di colpire l’ascoltatore. Il connubio è perfetto tra Alice e Carlo Guaitoli, c’è grande interplay, c’è un filo sottile che li lega e li rende complici e appagati e appaganti.

Si muove sul palco, Alice, tradendo la sua età, ed anche la sua voce non mostra i segni del tempo, superando “le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce”.

“Mi sono preservata” 

mi dice dopo il concerto quando vado a salutarla in camerino.

Il teatro è pieno, di gente variegata, di età differenti. Alice piace a tutte le generazioni. Tutti attenti, coinvolti, emozionati, commossi.

Il concerto – inserito all’interno della rassegna ForlìMusica  – è dedicato alla musica di Battiato e la sua presenza si avverte in ogni brivido che nasce dalla voce di Alice, che è “aderente” alle intenzioni che furono del musicista e compositore che lei conosceva molto bene e con il quale ha condiviso il suo percorso artistico.

Canzoni di Battiato, ma anche quelle di Alice, quelle dei duetti, quelle nate per l’album Samsara.

Il pubblico applaude per minuti infiniti durante l’esibizione di Alice, che a volte canta seduta su uno sgabello tra luci soffuse e una musica il cui audio arriva impeccabile. Nessun effetto sulla voce della cantante, la sua voce è asciutta ma ricca di sfumature armoniche ed emozionali.

Per Elisa, Messaggio, e lei straordinaria, oggi come allora, quando saliva sul palco di Sanremo, e incantava tutti e vinceva.

I brani più conosciuti di Battiato Alice le regala in maniera generosa al suo pubblico che l’acclama, e poi i brani dei duetti.

I treni di Tozeur, Chanson Egocentrique, La stagione dell’amore, E ti vengo a cercare, La cura. Se il senso di questi capolavori è fare un passo verso qualcosa che ci elevi in una dimensione di gioia e di bellezza e di divina dignità, ieri sera si è consumata una magia che al maestro avrebbe appagato.

La commozione e i brividi hanno accompagnato tutto il concerto, anche nel bis quando Alice ha cantato Prospettiva Nevski. L’energia della cantante in “Per elisa” nel bis è stata da applausi a scena aperta.

Non va via Alice, e prima di congedarsi regala “L’era del cinghiale bianco”.

Musica portata a tempo con le mani, le lacrime affacciate agli occhi e la certezza che la musica ed il mondo hanno avuto la fortuna di avere Battiato e di avere Alice che canta Battiato e che canta Alice.

Tutto perfetto, come solo alcuni artisti sanno essere malgrado il tempo passi, mentre si fortifica la consapevolezza di essere un dono per la musica e quel quel mondo che in una sera d’estate per due ore diventa migliore.

 

 

Avrei voluto lasciar correre, poi ho pensato che fosse più giusto analizzare i fatti con una voce fuori dal coro, perché cavalcare l’onda è da sempre lo sport preferito degli ignoranti e dei finti moralisti.

Forse prima ancora di analizzare la posizione di Zelensky che ha accetto di posare insieme a sua moglie su Vogue, sarebbe bene raccontare la rivista che non è certo un banale giornale di moda o di sciocchezze puntualmente di tendenza.

Vogue ha milioni di lettori, una diffusione mondiale e da sempre si occupa di arte, cultura ed anche bellezza, che non vuol dire esclusivamente o banalmente estetica.

La copertina che ritrae Zelensky e consorte non vuole mostrare ma veicolare un messaggio preciso, ha pertanto un significato enorme.

E chi non ci vede il dolore nel presidente dell’Ucraina che da 5 mesi vive il dramma di una guerra maledetta e ingiusta, ha una visione semplicistica e malsana di una situazione più grande, ed estremamente drammatica.

Sui social montano le polemiche contro Zelensky e Olena, e poi ancora critiche violente e offese gratuite, solo perché hanno accettato di essere fotografati da Annie Leibovitz, di rilasciare una intervista.

Leibovitz è la più grande fotografa contemporanea, è una professionista seria, capace, ed ha saputo realizzare delle foto “umane”, comprensibili ed utili, non come le polemiche che impazzano da ore.

Dai lettini a baldacchino, sulle spiagge con in mano il mojito, molti hanno dimenticato che esiste ancora una guerra, l’assuefazione alla tragedia si è mischiata ai tormentoni dell’estate, la disperazione provata nei primi giorni della guerra all’Ucraina non ha più gli stessi contorni, le problematiche di casa nostra, le beghe politiche, hanno riempito i giornali, i tg, e le ultime notizie che arrivano dagli scenari di una guerra a poche migliaia di km da casa nostra, sono ormai in coda a tutto il resto.

Ricordare che la guerra ancora esiste e ogni giorno produce morti e paura, è doveroso e se per farlo bisogna usare anche una rivista mondiale come Vogue va bene. Come vanno bene le interviste, le visite dei capi di stato di tutto il mondo.

Zelensky non è stupido, sa essere empatico, sa parlare al mondo, e ora più che mai sa che non si deve spegnere nessun riflettore sulla tragedia immensa che ha invertito lui e la sua gente, il suo paese martoriato dalla follia di un dittatore violento.

Difficile comprendere quanto sia costata loro in termini di impatto emotivo questa guerra, la paura di svegliarsi e di non avere più nulla, la vita in un bunker, la responsabilità di un popolo, la voglia di riscatto e la frustrazione del sapere che chi invade non si farà mai nessuno scrupolo.

E chi non ci vede il dolore negli occhi di Zelensky e signora, ritratti su Vogue, è in malafede, è un finto perbenista, è una persona incapace di giudizio critico che ha bisogno di seguire la massa senza mai prendere una posizione.

Certo in questi giorni, ci si sbizzarrisce su ben altre posizioni da prendere, se prona o supina per farsi i selfie dalle spiagge, perché voi sì, potere apparire ovunque, mostrarvi in tutta la vostra pochezza, loro no in tutto il loro sconforto.

Una ipocrisia dilagante, tutti critici ed esperti di comunicazione tanto da sapere quali limiti non vanno valicati. Perbacco! 

Un’ora davanti ad un obiettivo, non può competere con mesi e mesi di tensione, nervi a fior di pelle, terrore e strategie atte a contenere i danni di un conflitto assurdo.

Il frustrato medio che punta il dito, forse perché non comprende che la comunicazione è stata usata – e per fortuna – dal primo giorno e oggi serve più che mai.

Olena ha usato ogni forma di comunicazione, compresa la moda, per arrivare a tutti e ci è riuscita. Chissà se al suo posto, davanti alla proposta di intervista avreste tutti detto: no grazie!

Criticate pure, se vi fa sentire vivi, voi che lo siete già vivi … e non a tempo. 

Diciamolo, don Mattia Bernasconi si è trovato proprio una spiaggia fantastica per fare il campo volontariato! Capo Colonna è da sempre una spiaggia vip della costa calabrese.

E diciamo anche che non gli sarebbe dispiaciuta tutta questa notorietà al prete milanese, al netto dell’iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Crotone, che però avrebbe fatto meglio ad occuparsi di altro e non di queste baggianate da 4 soldi.

Ok, non lo doveva fare, ha ridicolizzato la la religione cattolica, ma alla fine che danno realmente ha portato?

Sono secoli che le azioni dei preti nuocciono sensibilmente alla collettività e ora andiamo a perseguire il prete che fa l’altare sul materassino.

È solo colpevole di essere l’ennesimo egocentrico come molti suoi colleghi che si curano la barba e portano il Rolex al braccio. Tutto qui.

Perché lo sapeva che sarebbe stato ripreso, che avrebbe fatto “notizia”.

Ma guardiamola la realtà, quella vera non quella montata ad arte:

I pulpiti sono ormai dei luoghi dove sempre meno spesso si spiega e si racconta la parola di Dio e sempre più spesso si esprimono opinioni personali che non interessano a nessuno ma che mirano ad indottrinare e questo sì, che fa male alla collettività.

Don Mattia se la poteva proprio risparmiare questa pagliacciata, perché tale era, considerato – e lui avrebbe dovuto saperlo – che l’eucarestia richiede il raccoglimento, cosa che non poteva esserci sulla spiaggia di capo colonna e comunque era in mala fede, altro che scuse: “non volevo offendere niente e nessuno”.

Voleva farà qualcosa di buono, celebrare messa fuori dalle mura di una chiesa? Poteva trovare un posto dove allestire un altare ma il materassino era davvero una provocazione per nulla intelligente.

La gente non si fa mai i fatti suoi, i telefonini sono il mezzo più comodo e a volte più stupido per veicolare stranezze e fesserie, e la procura avrebbe potuto convogliare energie e carta bollata verso cose decisamente più urgenti.

La spettacolarizzazione del trash, dell’inutile, resta una piaga sociale tanto quanto la pochezza di un sacerdote che quando prende i voti fa voto di povertà, castità, obbedienza e forse si dovrebbe aggiungere decenza, buon gusto, serietà, riservatezza.

Vuoi accompagnare i ragazzi?

Va bene.

Vuoi andare al mare?

E sia.

Ma le pagliacciate no, perché “sennò” poi arriva la procura

Gli uomini li conosceva su Tinder, con loro instaurava rapporti e forse proprio con uno di questi ha avuto Diana.
Gli investigatori hanno trovato la bambina morta, con piaghe sul corpo, segno dei pannolini lasciati addosso per interi giorni, considerato che non era la prima volta che Alessia Pifferi lasciava sua figlia da sola per interi fine settimana. Il biberon vuoto, i segni di latte sul volto, il pannolino strappato e lanciato oltre le sbarre del lettino da campeggio.

Davanti al gip Fabrizio Filice e l’avvocato Raffaella Brambilla, la donna è stata interrogata per circa due ore nel carcere di San Vittore a Milano. Interrogatorio di convalida di fermo con l’accusa di omicidio volontario aggravato anche dai futili motivi e dalla premeditazione per aver lasciato la sua bimba di quasi un anno e mezzo sola in casa per quasi una settimana, causandone la morte per stenti. La Procura ha chiesto per Alessia Pifferi la custodia in carcere. Il Pm De Tommasi, ha ribadito come la Pifferi non si sia fatta scrupoli nel lasciare da sola la piccola Diana, senza interessarsi a lei e pur sapendo che avrebbe potuto cagionarle la morte; tutto per portare avanti le varie relazioni e divertirsi. La donna è ritenuta pericolosa, e capace di reiterazione del reato.

Per gli inquirenti non vi è necessità di perizia psichiatrica considerato che la Pifferi è apparsa lucida e presente a sé stessa, durante gli interrogatori. Mai ha pianto, né mai ha perso il controllo, era lucidissima nel ricostruire i fatti anche durante l’interrogatorio avvenuto nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi.

In attesa dell’autopsia, i primi accertamenti hanno stabilito che la piccola è morta per stenti e mancanza di accudimento.

“Sapevo che poteva finire così”

Questa  la frase cardine della sua colpevolezza alternata a silenzi davanti al alcune domande circa il suo comportamento.

“Le avevo dato delle gocce di tachipirina, la vedevo nervosa e sbavava, pensavo fossero i dentini”. 

Ma nessuna flacone di antipiretico è stato rinvenuto sul luogo.

Dopo sei giorni è rientrata e circa il momento in cui ha scoperto che la figlia era morta dice:

“Ho visto che non si muoveva. Le ho dato una pacchetta sulla schiena ma niente. Allora le ho messo i piedi nel lavandino per bagnarla ma non reagiva”.

Poi scende chiede aiuto ad una vicina, chiama il 118 e nel cortile dice:

“Non sono una cattiva madre”.

Il giudice, dopo l’interrogatorio di oggi, dovrebbe depositare domani il suo provvedimento.

Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che Diana fosse il frutto di una gravidanza indesiderata. Non è stato accertato alcun degrado o stato di tossicodipendenza della madre, e quella azione – secondo gli inquirenti – è stata dettata dalla volontà di annientarla, quasi a fingere di non averla mai avuta.

Secondo le indagini nel tardo pomeriggio del 14 luglio, la Pifferi avrebbe lavato la bambina, l’avrebbe cambiata, poi messa nel lettino da campeggio con un biberon di latte, forse somministrandole anche un potente tranquillante, considerato che gli investigatori hanno rinvenuto una boccetta di benzodiazepine vuota per metà.

Poi si sarebbe allontanata alla volta di Leffe e al suo nuovo compagno avrebbe detto che la piccola era con sua sorella.
Il giornale “L’eco di Bergamo” riporta la notizia che la donna, era solita raccontare in giro di essere una psicologa infantile.

Campava di bugie. Lo scorso anno aveva detto che sua madre era morta di Covid, ad un negoziante. Prima aveva raccontato che doveva andare fuori con il compagno, che la piccola sarebbe rimasta con la mamma ma che però poi non si era fatto nulla perché la mamma si era ammalata e poi era morta.

Il fratello dell’attuale compagno di Alessia Pifferi ha dichiarato agli inquirenti di non sapere assolutamente nulla, se non quello che sanno tutti attraverso la cronaca.

 

Primo matrimonio LGBTQ nell’arma dei carabinieri.

La vicebrigadiere Elena Mangialardo, siciliana, ha sposato l’imprenditrice romana Claudia De Dilectis dopo 8 anni d’amore.
Bellissime e armoniose, Elena vestiva l’alta uniforme, mentre Claudia l’abito bianco.

Picchetto d’onore dei colleghi, il cappello che le vola via passando sotto il ponte di sciabole e il sorriso felice di due donne che si prendono per mano, e poi si baciano, nel reciproco sentimento.

Le nozze sono avvenute lo scorso 18 luglio scorso, a Cefalù dove le due si erano conosciute 13 anni fa, ed è stata proprio Elena ad inviare un messaggio a tutti:

“Che questo matrimonio, possa incoraggiare gli altri ad amare”

Poi le due donne hanno aggiunto:

Non vogliamo essere le prime donne, la prima donna in divisa, la prima donna imprenditrice o quant’altro, ma una coppia come tante che porta dentro di sé le proprie battaglie di vita trionfando con l’amore

Grande emozione e l’arma dei carabinieri che ormai è al passo con i tempi e non mette veto.

“Sapevo che poteva finire così” 

Queste le parole di Alessia Pifferi, la donna milanese di 36 anni che una settimana fa ha deciso di raggiungere il compagno che vive in provincia di Bergamo e ha lasciato da sola sua figlia Diana, nata il 29 gennaio del 2021.
La piccola è stata trovata morta mercoledì mattina, al rientro della mamma a casa, che è stata poi fermata con l’accuso di omicidio volontario aggravata dalla premeditazione e dai futili motivi.

La piccolina era in un lettino da campeggio, vicino a lei c’erano un biberon ed una boccetta mezza piena di benzodiazepine. Fuori dalla finestra dell’appartamento dove la piccola è stata trovata morta, ci sono i suoi vestitini ancora appesi messi lì ad asciugare.

La donna ha dichiarato di non sapere neanche chi sia il padre di sua figlia, di essersi accorta di essere incinta solo al settimo mese. Sembrerebbe non avere problemi di droga, ma si accerteranno eventuali problematiche psichiche.

Ci si domanda però come sia possibile che in questi 18 mesi, da quando è nata questa bambina, nessuno si sia domandato se questa donna fosse in grado di fare la madre. Aiuti esterni, parenti, amici, assistenti sociali.
Non si sa ancora come si mantenesse, questa donna e dunque neanche si sa come abbia fatto vivere sua figlia in questo breve periodo di vita.

Si sa solo che fino a qualche anno fa con lei viveva sua madre, che poi ha lasciato la Lombardia e che sullo stesso pianerottolo, vive ancora il suo ex marito, dal quale si era separata circa 3 anni fa.

Chissà che agonia quella piccola creatura lasciata sola per 6 lunghi giorni, senza nessuno che la nutrisse, la cambiasse, la confortasse. Perché a 18 mesi sei piccola ed indifesa, ed hai anche la percezione del vuoto, quando chiami “mamma” e nessuno ti risponde. Un dolore immenso per questa morte, da parte anche della comunità del quartiere che ha appeso dei palloncini bianchi al cancello dell’abitazione.

Un problema sempre più ricorrente, quello in cui piccole vittime soccombono per mano dei propri genitori, che probabilmente vengono lasciati soli nella gestione di una genitorialità difficile da concepire e da espletare. Adesso si attendono i risultati dell’autopsia, dei rilievi del caso. Ed intanto un’altra tragedia si è consumata.

Applausi di minuti, per le parole di Draghi su “mai sono stato così orgoglioso di essere italiano” e su “dobbiamo tenere le mafie lontane dal PNRR”

 

Lo scorso febbraio, il Presidente della Repubblica mi affidò l’incarico di formare un governo per affrontare le tre emergenze che l’Italia aveva davanti: pandemica, economica, sociale.
“Un governo” – furono queste le sue parole – “di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”.
“Un Governo che faccia fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili”.
Tutti i principali partiti – con una sola eccezione – decisero di rispondere positivamente a quell’appello.
Nel discorso di insediamento che tenni in quest’aula, feci esplicitamente riferimento allo “spirito repubblicano” del Governo, che si sarebbe poggiato sul presupposto dell’unità nazionale.

In questi mesi, l’unità nazionale è stata la miglior garanzia della legittimità democratica di questo esecutivo e della sua efficacia.
Ritengo che un Presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile.
Questo presupposto è ancora più importante in un contesto di emergenza, in cui il Governo deve prendere decisioni che incidono profondamente sulla vita degli italiani.
L’amplissimo consenso di cui il Governo ha goduto in Parlamento ha permesso di avere quella “tempestività” nelle decisioni che il Presidente della Repubblica aveva richiesto.
A lungo le forze della maggioranza hanno saputo mettere da parte le divisioni e convergere con senso dello Stato e generosità verso interventi rapidi ed efficaci, per il bene di tutti i cittadini.

Grazie alle misure di contenimento sanitario, alla campagna di vaccinazione, ai provvedimenti di sostegno economico a famiglie e imprese, siamo riusciti a superare la fase più acuta della pandemia, a dare slancio alla ripresa economica.
La spinta agli investimenti e la protezione dei redditi delle famiglie ci ha consentito di uscire più rapidamente di altri Paesi dalla recessione provocata dalla pandemia.
Lo scorso anno l’economia è cresciuta del 6,6% e il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è sceso di 4,5 punti percentuali.
La stesura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato a larghissima maggioranza da questo Parlamento, ha avviato un percorso di riforme e investimenti che non ha precedenti nella storia recente.
Le riforme della giustizia, della concorrenza, del fisco, degli appalti – oltre alla corposa agenda di semplificazioni – sono un passo in avanti essenziale per modernizzare l’Italia.
A oggi, tutti gli obbiettivi dei primi due semestri del PNRR sono stati raggiunti.
Abbiamo già ricevuto dalla Commissione Europea 45,9 miliardi di euro, a cui si aggiungeranno nelle prossime settimane ulteriori 21 miliardi – per un totale di quasi 67 miliardi.

Con il forte appoggio parlamentare della maggioranza e dell’opposizione, abbiamo reagito con assoluta fermezza all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
La condanna delle atrocità russe e il pieno sostegno all’Ucraina hanno mostrato come l’Italia possa e debba avere un ruolo guida all’interno dell’Unione Europea e del G7.
Allo stesso tempo, non abbiamo mai cessato la nostra ricerca della pace – una pace che deve essere accettabile per l’Ucraina, sostenibile, duratura.
Siamo stati tra i primi a impegnarci perché Russia e Ucraina potessero lavorare insieme per evitare una catastrofe alimentare, e allo stesso tempo aprire uno spiraglio negoziale.
I progressi che si sono registrati la settimana scorsa in Turchia sono incoraggianti, e auspichiamo possano essere consolidati.

Ci siamo mossi con grande celerità per superare l’inaccettabile dipendenza energetica dalla Russia – conseguenza di decenni di scelte miopi e pericolose.
In pochi mesi, abbiamo ridotto le nostre importazioni di gas russo dal 40% a meno del 25% del totale e intendiamo azzerarle entro un anno e mezzo.
È un risultato che sembrava impensabile, che dà tranquillità per il futuro all’industria e alle famiglie, rafforza la nostra sicurezza nazionale, la nostra credibilità nel mondo.
Abbiamo accelerato, con semplificazioni profonde e massicci investimenti, sul fronte delle energie rinnovabili, per difendere l’ambiente, aumentare la nostra indipendenza energetica.
E siamo intervenuti con determinazione per proteggere cittadini e imprese dalle conseguenze della crisi energetica, con particolare attenzione ai più deboli.
Abbiamo stanziato 33 miliardi in poco più di un anno, quasi due punti percentuali di PIL, nonostante i nostri margini di finanza pubblica fossero ristretti.
Lo abbiamo potuto fare grazie a una ritrovata credibilità collettiva, che ha contenuto l’aumento del costo del debito anche in una fase di rialzo dei tassi d’interesse.

Il merito di questi risultati è stato vostro – della vostra disponibilità a mettere da parte le differenze e lavorare per il bene del Paese, con pari dignità, nel rispetto reciproco.
La vostra è stata la migliore risposta all’appello dello scorso febbraio del Presidente della Repubblica e alla richiesta di serietà, al bisogno di protezione, alle preoccupazioni per il futuro che arrivano dai cittadini.

Gli italiani hanno sostenuto a loro volta questo miracolo civile, e sono diventati i veri protagonisti delle politiche che di volta in volta mettevamo in campo.
Penso al rispetto paziente delle restrizioni per frenare la pandemia, alla straordinaria partecipazione alla campagna di vaccinazione.
Penso all’accoglienza spontanea offerta ai profughi ucraini, accolti nelle case e nelle scuole con affetto e solidarietà.
Penso al coinvolgimento delle comunità locali al PNRR, che lo ha reso il più grande progetto di trasformazione dal basso della storia recente.
Mai come in questi momenti sono stato orgoglioso di essere italiano.
L’Italia è forte quando sa essere unita.

Purtroppo, con il passare dei mesi, a questa domanda di coesione che arrivava dai cittadini le forze politiche hanno opposto un crescente desiderio di distinguo e divisione.
Le riforme del Consiglio Superiore della Magistratura, del catasto, delle concessioni balneari hanno mostrato un progressivo sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese.
In politica estera, abbiamo assistito a tentativi di indebolire il sostegno del Governo verso l’Ucraina, di fiaccare la nostra opposizione al disegno del Presidente Putin.
Le richieste di ulteriore indebitamento si sono fatte più forti proprio quando maggiore era il bisogno di attenzione alla sostenibilità del debito.
Il desiderio di andare avanti insieme si è progressivamente esaurito e con esso la capacità di agire con efficacia, con “tempestività”, nell’interesse del Paese.
Come ho detto in Consiglio dei Ministri, il voto di giovedì scorso ha certificato la fine del patto di fiducia che ha tenuto insieme questa maggioranza.
Non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente.
Non è possibile ignorarlo, perché equivarrebbe a ignorare il Parlamento.
Non è possibile contenerlo, perché vorrebbe dire che chiunque può ripeterlo.
Non è possibile minimizzarlo, perché viene dopo mesi di strappi ed ultimatum.
L’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità.

A chiederlo sono soprattutto gli italiani.
La mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del Governo è senza precedenti e impossibile da ignorare.
Ha coinvolto il terzo settore, la scuola e l’università, il mondo dell’economia, delle professioni e dell’imprenditoria, lo sport.
Si tratta di un sostegno immeritato, ma per il quale sono enormemente grato.

Due appelli mi hanno particolarmente colpito: il primo quello di circa 2000 sindaci, autorità abituate a confrontarsi quotidianamente con i problemi delle loro comunità.

Il secondo è quello del personale sanitario, gli eroi della pandemia, verso cui la nostra gratitudine collettiva è immensa.
Questa domanda di stabilità impone a noi tutti di decidere se sia possibile ricreare le condizioni con cui il Governo può davvero governare.
È questo il cuore della nostra discussione di oggi.
È questo il senso dell’impegno su cui dobbiamo confrontarci davanti ai cittadini.

L’Italia ha bisogno di un governo capace di muoversi con efficacia e tempestività su almeno quattro fronti.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un’occasione unica per migliorare la nostra crescita di lungo periodo, creare opportunità per i giovani e le donne, sanare le diseguaglianze a partire da quelle tra Nord e Sud.
Entro la fine di quest’anno, dobbiamo raggiungere 55 obiettivi, che ci permetteranno di ricevere una nuova rata da 19 miliardi di euro.
Gli obiettivi riguardano temi fondamentali come le infrastrutture digitali, il sostegno al turismo, la creazione di alloggi universitari e borse di ricerca, la lotta al lavoro sommerso.
Completare il PNRR è una questione di serietà verso i nostri cittadini e verso i partner europei.
Se non mostriamo di saper spendere questi soldi con efficienza e onestà, sarà impossibile chiedere nuovi strumenti comuni di gestione delle crisi.

L’avanzamento del PNRR richiede la realizzazione dei tanti investimenti che lo compongono.
Dalle ferrovie alla banda larga, dagli asili nido alle case di comunità, dobbiamo impegnarci per realizzare tutti i progetti che abbiamo disegnato con il contributo decisivo delle comunità locali.
Dobbiamo essere uniti contro la burocrazia inutile, quella che troppo spesso ritarda lo sviluppo del Paese.
E dobbiamo assicurarci che gli enti territoriali – a partire dai Comuni – abbiano tutti gli strumenti necessari per superare eventuali problemi di attuazione.

Allo stesso tempo, dobbiamo procedere spediti con le riforme che, insieme agli investimenti, sono il cuore del PNRR.
La riforma del codice degli appalti pubblici intende assicurare la realizzazione in tempi rapidi delle opere pubbliche e il rafforzamento degli strumenti di lotta alla corruzione.
Dobbiamo tenere le mafie lontane dal PNRR.
È il modo migliore per onorare la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli uomini e donne delle loro scorte, a trent’anni dalla loro barbara uccisione.

La riforma del codice degli appalti è stata approvata, ed è in corso il lavoro di predisposizione degli schemi di decreti delegati.
Questi devono essere licenziati entro marzo del prossimo anno.

La riforma della concorrenza serve a promuovere la crescita, ridurre le rendite, favorire investimenti e occupazione.
Con questo spirito abbiamo approvato norme per rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, alla tutela dei consumatori.
La riforma tocca i servizi pubblici locali, inclusi i taxi, e le concessioni di beni e servizi, comprese le concessioni balneari.
Il disegno di legge deve essere approvato prima della pausa estiva, per consentire entro la fine dell’anno l’ulteriore approvazione dei decreti delegati, come previsto dal PNRR.
Ora c’è bisogno di un sostegno convinto all’azione dell’esecutivo – non di un sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo.

Per quanto riguarda la giustizia, abbiamo approvato la riforma del processo penale, del processo civile e delle procedure fallimentari e portato in Parlamento la riforma della giustizia tributaria.
Queste riforme sono essenziali per avere processi giusti e rapidi, come ci chiedono gli italiani.
È una questione di libertà, democrazia, prosperità.
Le scadenze segnate dal PNRR sono molto precise.
Dobbiamo ultimare entro fine anno la procedura prevista per i decreti di attuazione della legge delega civile e penale.
La legge di riforma della giustizia tributaria è in discussione al Senato, e deve essere approvata entro fine anno.

Infine, l’autunno scorso il Governo ha dato il via al disegno di legge delega per la revisione del fisco.
Siamo consapevoli che in Italia il fisco è complesso e spesso iniquo.
Per questo non abbiamo mai aumentato le tasse sui cittadini.
Tuttavia per questo occorre procedere con uno sforzo di trasparenza.
Intendiamo ridurre le aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi; superare l’Irap; razionalizzare l’Iva.
I primi passi sono stati compiuti con l’ultima legge di bilancio, che ha avviato la revisione dell’Irpef e la riforma del sistema della riscossione.
In Italia l’Agenzia delle Entrate-Riscossione conta 1.100 miliardi di euro di crediti residui, pari a oltre il 60% del prodotto interno lordo nazionale – una cifra impressionante.
Dobbiamo quindi approvare al più presto la riforma fiscale, che include il completamento della riforma della riscossione, e varare subito dopo i decreti attuativi.

Accanto al PNRR, c’è bisogno di una vera agenda sociale, che parta dai più deboli, come i disabili e gli anziani non autosufficienti.
L’aumento dei costi dell’energia e il ritorno dell’inflazione hanno causato nuove diseguaglianze, che aggravano quelle prodotte dalla pandemia.
Fin dall’avvio del governo abbiamo condiviso con i sindacati e le associazioni delle imprese un metodo di lavoro che prevede incontri regolari e tavoli di lavoro.
Questo metodo è già servito per gestire alcune emergenze del Paese: dalla ripresa delle attività produttive nella fase pandemica fino alla sicurezza del lavoro, su cui molto è stato fatto e molto resta ancora da fare.
Oggi è essenziale proseguire in questo confronto e definire in una prospettiva condivisa gli interventi da realizzare nella prossima legge di bilancio.
Quest’anno, l’andamento della finanza pubblica è migliore delle attese e ci permette di intervenire, come abbiamo fatto finora, senza nuovi scostamenti di bilancio.
Bisogna adottare entro i primi giorni di agosto un provvedimento corposo per attenuare l’impatto su cittadini e imprese dell’aumento dei costi dell’energia, e poi per rafforzare il potere d’acquisto, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione.

Ridurre il carico fiscale sui lavoratori, a partire dai salari più bassi, è un obiettivo di medio termine.
Questo è un punto su cui concordano sindacati e imprenditori.
Con la scorsa legge di bilancio abbiamo adottato un primo e temporaneo intervento.
Dobbiamo aggiungerne un altro in tempi brevi, nei limiti consentiti dalle nostre disponibilità finanziarie.
Occorre anche spingere il rinnovo dei contratti collettivi.
Molti, tra cui quelli del commercio e dei servizi, sono scaduti da troppi anni.
La contrattazione collettiva è uno dei punti di forza del nostro modello industriale, per l’estensione e la qualità delle tutele, ma non raggiunge ancora tutti i lavoratori.
A livello europeo è in via di approvazione definitiva una direttiva sul salario minimo, ed è in questa direzione che dobbiamo muoverci, insieme alle parti sociali, assicurando livelli salariali dignitosi alle fasce di lavoratori più in sofferenza.
Il reddito di cittadinanza è una misura importante per ridurre la povertà, ma può essere migliorato per favorire chi ha più bisogno e ridurre gli effetti negativi sul mercato del lavoro.
C’è bisogno di una riforma delle pensioni che garantisca meccanismi di flessibilità in uscita in un impianto sostenibile, ancorato al sistema contributivo.

L’Italia deve continuare a ridisegnare la sua politica energetica, come fatto in questi mesi.
Il Vertice di questa settimana ad Algeri conferma la nostra assoluta determinazione a diversificare i fornitori, spingere in modo convinto sull’energia rinnovabile.
Per farlo, c’è bisogno delle necessarie infrastrutture.
Dobbiamo accelerare l’istallazione dei rigassificatori – a Piombino e a Ravenna.
Non è possibile affermare di volere la sicurezza energetica degli italiani e poi, allo stesso tempo, protestare contro queste infrastrutture.
Si tratta di impianti sicuri, essenziali per il nostro fabbisogno energetico, per la tenuta del nostro tessuto produttivo.
In particolare, dobbiamo ultimare l’istallazione del rigassificatore di Piombino entro la prossima primavera.
È una questione di sicurezza nazionale.

Allo stesso tempo, dobbiamo portare avanti con la massima urgenza la transizione energetica verso fonti pulite.
Entro il 2030 dobbiamo installare circa 70 GW di impianti di energia rinnovabile.
La siccità e le ondate di calore anomalo che hanno investito l’Europa nelle ultime settimane ci ricordano l’urgenza di affrontare con serietà la crisi climatica nel suo complesso.
Penso anche agli interventi per migliorare la gestione delle risorse idriche, la cui manutenzione è stata spesso gravemente deficitaria.
Il PNRR stanzia più di 4 miliardi per questi investimenti, a cui va affiancato un “piano acqua” più urgente.
Per quanto riguarda le misure per l’efficientamento energetico e più in generale i bonus per l’edilizia, intendiamo affrontare le criticità nella cessione dei crediti fiscali, ma al contempo ridurre la generosità dei contributi.
Come promesso nel mio discorso di insediamento, e da voi sostenuto in quest’aula, questo governo si identifica pienamente nell’Unione Europea, nel legame transatlantico.

La nostra posizione è chiara e forte: nel cuore dell’Unione Europea, nel legame transatlantico.

La nostra posizione è chiara e forte nel cuore dell’Ue, del G7, della NATO.
Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, come questo Parlamento ha impegnato il Governo a fare con una risoluzione parlamentare.
Come mi ha ripetuto ieri al telefono il Presidente Zelensky, armare l’Ucraina è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi.
Allo stesso tempo, occorre continuare a impegnarci per cercare soluzioni negoziali, a partire dalla crisi del grano.
E dobbiamo aumentare gli sforzi per combattere le interferenze da parte della Russia e delle altre autocrazie nella nostra politica, nella nostra società.

L’Italia è un Paese libero e democratico.
Davanti a chi vuole provare a sedurci con il suo modello autoritario, dobbiamo rispondere con la forza dei valori europei.
L’Unione Europea è la nostra casa e al suo interno dobbiamo portare avanti sfide ambiziose.
Dobbiamo continuare a batterci per ottenere un tetto al prezzo del gas russo, che beneficerebbe tutti, e per la riforma del mercato elettrico, che può cominciare da quello domestico anche prima di accordi europei.
Queste misure sono essenziali per difendere il potere d’acquisto delle famiglie, per tutelare i livelli di produzione delle imprese.
In Europa si discuterà presto anche della riforma delle regole di bilancio e di difesa comune, del superamento del principio dell’unanimità.
In tutti questi campi, l’Italia ha molto da dire,  con credibilità, spirito costruttivo, e senza alcuna subalternità.

Ci sono altri impegni che l’esecutivo vuole assumere che riguardano, ad esempio, la riforma del sistema dei medici di base e la discussione per il riconoscimento di forme di autonomia differenziata.
Tutto questo richiede un Governo che sia davvero forte e coeso e un Parlamento che lo accompagni con convinzione, nel reciproco rispetto dei ruoli.
All’Italia non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi.
Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese.
I partiti e voi parlamentari, siete pronti a ricostruire questo patto?
Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito?
Siamo qui, in quest’aula, oggi, sono qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, perché e solo perché gli italiani lo hanno chiesto.
Questa risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani.

Grazie.

 

È stato un intellettuale, uno scrittore e il più grande giornalista italiano, a lui le figlie hanno dedicato un documentario intitolato “A Sentimental Journey“, dal nome dello standard jazz tanto amato da Eugenio Scalfari che spesso suonava al piano, oltre ad essere il nome  della poesia da lui scritta, inserita nel suo libro “L’oro del blu” dove fa capire perché nonostante l’età e nonostante gli acciacchi lui fosse sempre così allegro.

Fondatore de L’Espresso e de La Repubblica, esperto di politica ed economia, laico, liberale, sempre attento alla questione morale ed appassionato di filosofia. Figlio di genitori calabresi, ebbe come amico di banco, Italo Calvino.
Patriarca in famiglia, fece grandi battaglie per i diritti delle donne.

Si è spesso raccontato da solo, ha scritto un’autobiografia, ma i suoi libri parlano di lui, delle sue esperienze di vita e culturali.
Era il “suo modo di essere”, uomo di carattere e ha avuto molto influenza sulla sinistra italiana.

Uomo del secolo scorso, padre a volte ingombrante, narcisista eppure autentico, sempre in equilibrio.

Emozionato davanti alla sua prima macchina da scrivere, è stato innamorato del suo prossimo, di uomini, situazioni e della società.

Quando le sue figlie erano piccole, lui, sposato con Simonetta De Benedetti, intraprende un’altra relazione con una sua collega, Serena, che sposerà dopo la morte di sua moglie. Aveva due vite parallele e le due donne erano consapevoli dell’esistenza dell’altra ed accettavano questa situazione.

Aveva una voracità di vita, l’ha avuta fino alla fine, dichiarava di non aver paura della morte, si commuoveva sempre raccontando la sua vita, e quando in una intervista gli chiedevano cosa fosse per lui l’agiatezza rispose:

“poter lasciare la luce accesa senza preoccuparsi della bolletta che arriverà”.

Ezio Mauro di lui dice: “ha cercato di liberare la sinistra da qualche errore, ma anche da qualche orrore”.

Fu amico del Papa, e portò le sue figlie Enrica e Donata a Santa Marta a conoscerlo.
Lui scrisse un articolo nel quale diceva che il Papa voleva una società modernizzata.
A 89 anni realizzò un’intervista a Papa Francesco e fu uno scoop mondiale e questo influì sul suo ego. Ma quell’incontro si trasformò in una straordinaria amicizia e ogni volta che si sentivano, era per Scalfari meglio di una flebo di vitamine.

A suo nipote Simone, ha insegnato i valori dell’Europa, e a scherzare sulle reazioni della gente.

La grande curiosità verso il mondo esterno, fu il psicofarmaco che lo ha sempre reso un uomo allegro e felice, mentre analizzava e scansava il grumo delle contraddizioni.

Era convinto che l’uomo e la sua memoria cambia di continuo.
A 18 anni era un giovane fascista e interpretava Nietzsche come lo interpretavano i fascisti, ossia come l’uomo che aveva teorizzato il superuomo il quale era animato dalla volontà di potenza.
20 anni dopo lo rilesse, e capì che la sua lettura era parziale e faziosa e capì che la vita e la cultura è piena di contraddizioni.

 “Paura della morte non ce l’ho. Su questo punto la penso in modo identico a Papa Francesco che dice: io attendo la morte con tranquillità, perché ovviamente poi sarà Dio che dispone. L’unica cosa che prego è di non soffrire durante la morte”.