
Il referendum si chiama “No-Triv” e per la prima volta nella storia della Repubblica è richiesto dalle regioni, e servirà per decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti entro le 12 miglia dalla costa italiana.
Sono 9 le assemblee regionali che hanno chiesto il referendum e sono Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Lo stesso referendum sarà valido solo se andrà a voltare il 50% più uno degli aventi diritto al voto.
Il referendum pertanto “NON RIGUARDA” il divieto di effettuare nuove trivellazioni, che sono già vietate entro le 12 miglia e continueranno a essere permesse solo oltre questo limite anche in caso di vittoria dei SI. Secondo alcuni il referendum del 17 aprile prossimo altro non è che un atto politico che serve a dare un segnale “contrario” all’utilizzo delle fonti di energia fossile come gas e petrolio estratti dalle piattaforme offshore.
Andiamo adesso ad analizzare cosa vuol cambiare il referendum.
Con il referendum si chiede agli italiani se vogliono abrogare la parte di una legge che permette a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.
La domanda del referendum recita letteralmente:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Si fa presente che il comma 17 del decreto legislativo stabilisce che “sono vietate nuove attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro le 12 miglia marine delle acque nazionali, ma stabilisce anche che gli impianti che esistono già entro questa fascia possono continuare la loro attività fino alla data di scadenza della concessione. Questa concessione può essere prorogata fino all’esaurimento del giacimento“.
Il referendum, quindi, NON RIGUARDA NUOVE TRIVELLAZIONI, ma la possibilità per gli impianti già esistenti di continuare ad operare fino a che i giacimenti non saranno esauriti.
E’ giusto specificare che attualmente la maggior parte delle 66 concessioni estrattive in mare che ci sono in Italia, si trovano “oltre le 12 miglia marine” e dunque non sono coinvolte dal referendum, che invece riguarda solo 21 concessioni, che si trovano entro quel limite e sono così suddivise: una in Veneto, due in Emilia-Romagna, uno nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata e sette in Sicilia.
La legge prevede che le concessioni abbiano una durata di trent’anni, prorogabili una prima volta per altri 10 anni, una seconda volta per 5 e una terza per altri 5 anni. Al termine delle concessioni, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.
Pertanto se al referendum dovessero vincere il SI, gli impianti delle 21 concessioni di cui si parla dovranno chiudere tra circa cinque-dieci anni, mentre gli ultimi arrivati alla concessione, tra circa un ventennio. La vittoria del SI, impedirà l’ulteriore sfruttamento degli impianti già esistenti una volta scadute le concessioni.
Il referendum non modifica la possibilità di compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia e nemmeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma: compiere nuove trivellazioni entro le 12 miglia è già vietato dalla legge.
I vari comitati che sostengono il “Si” al referendum, che sono appoggiati dalle nove regioni che il referendum lo hanno promosso, oltre che da WWF e Greenpeace, dichiarano che le trivellazioni andrebbero fermate per evitare rischi ambientali e sanitari e seppur sostenendo che non potrebbero verificarsi disastri come quello avvenuto nel Golfo del Messico nel 2010, in caso di cattivo funzionamento di uno degli impianti di estrazione, ci potrebbero essere dei danni ambientali, oltre ad esserci già dei danni per il turismo arrecati dalle piattaforme.
Chi invece sostiene il NO al Referendum, spiega come continuare l’estrazione di gas e petrolio offshore, sia un modo sicuro di limitare l’inquinamento; l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni.
Una vittoria del sì avrebbe poi delle conseguenze sull’occupazione, visto che migliaia di persone lavorano nel settore e la fine delle concessioni significherebbe la fine dei loro posti di lavoro.
Secondo chi sostiene il NO al referendum, lo stesso è lo strumento sbagliato per chiedere al governo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili.
Il referendum, secondo loro, somiglia più a un tentativo di alcune regioni nella fase in cui sembra che si stia togliendo loro le autonomie per decidere anche in materia di energia.
Simona Stammelluti