Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h - Pagina 88 di 94
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E’ morto Gianroberto Casaleggio, 61 anni, dopo una lunga malattia. A darne notizia l’Ansa

E’ morto questa mattina alle 7, in una clinica di Milano dove era ricoverato da circa due settimane sotto un altro nome, per tutelare la privacy.
Aveva fondato il Movimento Cinque Stelle, insieme a Beppe Grillo, ma in fondo ne era lui, il vero ideatore. Lui, che aveva inventato e gestito anche il blog di Grillo sul quale oggi si leggono le parole “Ciao Gianroberto, hai lottato fino alla fine”. E quando qualche tempo fa, qualcuno aveva annunciato un suo ritiro dalla scena politica, lui aveva replicato con un deciso “io non mollo”.
Schivo e riservato, rare le sue apparizioni in pubblico, rivendicava il suo essere “populista”.
“Eliminare le prescrizioni, mettere persone oneste nella pubblica amministrazione, il potere deve tornare al popolo” – erano queste alcune delle sue affermazioni, quando qualcuno riusciva a dargli in mano un microfono.
Massiccio le risposte dei social da dove tutti – pro e contro il movimento – hanno espresso le proprie condoglianze, o dedicato qualche riga a Casaleggio, con l’hashtag #ciaogianroberto; Pietro Grasso, Fedez, Facchinetti, Bertolaso, Orfini, la Lorenzin e tutto il mondo della politica e dello spettacolo.
Citava Marco Aurelio, in una delle sue apparizioni pubbliche e diceva: “ciò che non è utile per l’alveare, non è utile neanche per l’ape”. Ed ancora: “oltre alla fantasia e alla creatività, abbiamo bisogno della trasparenza, la competenza e l’onestà. Senza questi valori non potremo mai cambiare l’Italia”.
“Un’idea non è né di destra, né di sinistra. Un’idea può solo essere una buona idea o una cattiva idea”. Forse sarà questa la frase di Casaleggio, che difficilmente si dimenticherà.
#ciaogianroberto
Simona Stammelluti

Che Federica Guidi fosse un ministro, “il ministro”dello Sviluppo Economico nel Governo Renzi, ce ne siamo accorti solo a ridosso delle sue  dimissioni

Federica Guidi - foto Lapresse -


Sembrerebbe che serva uno scandalo, per accorgerci di qualcuno, di un ruolo ricoperto, o che ci si interroghi su ciò che ha fatto o “non fatto” un ministro. Perché di ciò che fanno i ministri dei vari governi che si alternano, non ci interroghiamo certo ogni giorno, tanto che se esistono o meno ministeri e ministri, a volte neanche lo si sa, a meno che i nomi di taluni, non finiscano alla ribalta della cronaca, per alcune vicende che li riguardano direttamente o indirettamente.

Il ministro Federica Guidi, dimessosi dopo il “caso petrolio” in Basilicata – che vede indagato l’ex compagno Gianluca Gemelli, accusato di “traffico di influenze perché, come scrivono i giudici della Dda di Potenza, sfruttando il rapporto di convivenza con il ministro Guidi, indebitamente si faceva promettere e quindi otteneva da Giuseppe Cobianchi, dirigente della Total, vantaggi patrimoniali” –  fa ora i conti con una nuova vita.
E così si alza l’attenzione mediatica sulla signora Guidi, ormai ex ministro, che però si trasforma molto presto in una gogna, mentre tutta la sua vita privata, finisce in pasto ai giornali e alla gente comune, che fino a pochi giorni fa, neanche sapeva – forse – che esistesse un ministero dello sviluppo economico e che alla cui guida, c’era la Guidi.
Intercettazioni, dunque, che non raccontano solo dettagli utili alle indagini, ma anche il tenore delle telefonate intercorse tra la Guidi e Gemelli, dal quale vengono fuori particolari della vita privata,  di un rapporto sentimentale. Intercettazioni che raccontano di interessi e di una situazione di sofferenza emotiva e di (in)sofferenza, che non mostra nessuna importanza dal punto di vista giudiziario.
Estrapolare ciò che è utile alle indagini, dovrebbe essere un dovere, ed estrapolare ciò che è utile alle indagini anche in pezzi di conversazioni, omettendo frasi o parole riconducibili alla parte privata della vita di qualcuno, dovrebbe essere indispensabile, per evitare quello che sempre più spesso accade, ossia che la notizia, si trasformi in voyerismo inutile e lesivo.
La realtà è che la parte di conversazioni strettamente private, dovrebbero essere censurate “a monte”, quando la polizia giudiziaria, durante il periodo di intercettazione, “salvano” un tot numero di conversazioni, dalle quali poi estraggono quelle sensibili per le indagini, prima di redigere regolare informativa. Ma il problema resta, perché le “tot numero di conversazioni” vengono depositate “tutte” alla procura e una volta lì, si scatena il caos e tutti coloro che hanno accesso agli atti, finiscono per decidere della vita privata di chicchessia. Se non sono di natura penale, le intercettazioni rese pubbliche, diventano una tortura psicologica, per chi subisce la situazione, oltre ad una vera e propria gogna.
L’immagine che viene fuori, nella bufera mediatica, lede senza dubbio l’ex ministro, non fosse altro perché da tutto quello che è stato reso noto, sembrerebbe che una donna potente, intelligente, ricca e graziosa, fosse stata alla mercé di un uomo di un livello inferiore, dal quale subiva pressioni, assecondava interessi “molto discutibili”, oltre a soffrire, sentendosi a volte inadeguata.
Dalle intercettazioni vien fuori una donna innamorata, fragile, insicura nella vita privata quanto in quella lavorativa, e poi ricattata nei sentimenti. E se ci sono i sentimenti, forse la razionalità si eclissa. Ma questa è una condizione privata e tale dovrebbe sempre restare.
Si sentiva trattata “come un sguattera”, Federica Guidi, lamentava cattiverie e prevaricazioni, ma restava lì, precisando di “non essere cretina”.
La curiosità si scatena, la famelica voglia di conoscere i particolari della vita privata del “ministro” di turno, diventa ossessivo-compulsiva, ne parla chiunque dappertutto e alla fine ognuno si sente in diritto di dire la propria sulla vita privata di una persona che, fino a qualche giorno prima, ne disconosceva anche l’esistenza.
Federica Guidi, dunque, appare come una vittima. Ma vittima di cosa, nello specifico? Vittima delle sue scelte, della sua stessa vita privata, delle scelte altrui che la inchiodano sulle pagine dei giornali attraverso le sue stesse parole dette nella convinzione che quelle parole potessero restare private anche se intercettate?
Una cosa è certa. Federica Guidi dopo aver chiarito la sua posizione con i magistrati di Potenza, che hanno confermato il suo ruolo di “persona offesa”, guarda avanti, al suo futuro, ed è pronta a riprogrammare tutta la sua vita. E’ tornata nella sua casa di provincia a Modena, intenzionata a riprendere la sua vita professionale ed il suo posto in azienda, compatibilmente con la normativa che regola il passaggio dal ruolo istituzionali a ruoli aziendali.
Usare la dignità dell’altro per i propri fini è uno dei più grandi obbrobri che un essere umano possa compiere. Come anche quello di aprire il sipario sulla vita di qualcuno, che diviene un osceno modo di fare notizia a tutti i costi.
Simona Stammelluti

Durissime e prontissime le reazioni che si sono scatenate dopo che Porta a Porta ha mandato in onda ieri sera l’intervista a Salvo Riina, ed è bufera su Bruno Vespa e sulla Rai

Salvatore Riina junior, figlio del boss di “cosa nostra”, siede come un vip nel salotto di Bruno Vespa, in seconda serata sulla Tv nazionale, presenta il suo libro, e racconta di quando giunse la notizia della morte di Giovanni Falcone.
Mamma Rai difende il diritto all’informazione, ma adesso la commissione parlamentare antimafia, convoca i vertici, per oggi pomeriggio alle 16.
Alle domande su Falcone e Borsellino, Salvo Riina non risponde e dice di “voler evitare strumentalizzazioni”, ma racconta i suoi ricordi di ragazzo, di quando aveva 15 anni, in quel 23 maggio del 1992, quando ci fu la terribile strage di Capaci”.
“Ricordo il fatto, avevo 15 anni, eravamo a Palermo e sentivamo tante ambulanze e sirene, abbiamo cominciato a chiederci il perché è il titolare del bar ci disse che avevano ammazzato Falcone, eravamo tutti ammutoliti. La sera tornai a casa, c’era mio padre che guardava i telegiornali. Non mi venne mai il sospetto che lui potesse essere dietro quell’attentato” – dice Riina Junior dal salotto di Vespa.
E poi ancora: “Amo mio padre, non sono io a doverlo giudicare”.
Non condivide l’espressione che “l’arresto di suo padre è stata una vittoria dello stato”, l’ospite di Vespa, sottolineando che “quello Stato gli ha portato via suo padre”.
Il coro di dissenso rispetto a questa intervista si è alzato come un polverone che difficilmente si placherà. A parlarne, in tanti, politici, personalità, e gente comune. Ma soprattutto la famiglia di Falcone e Borsellino. Dalle pagine del famoso social Salvatore Borsellino, non la manda a dire e denuncia a gran voce quello che è accaduto.
“[…] , avrei preferito non essere costretto ad essere assalito dal senso di nausea che ho provato nel momento in cui ho dovuto leggere che il figlio di un criminale, criminale a sua volta, comparirà questa sera nel corso di una trasmissione della RAI, un servizio pubblico, per presentare il suo libro, scritto, come dichiarerà lui, per difendere la dignità della sua famiglia.  Di quale dignità si tratti ce lo spiegherà raccontandoci come, insieme a suo padre, seduto in poltrona davanti alla televisione, abbia assistito il 23 maggio e il 19 luglio del ’92 allo spettacolo dei risultati degli attentati ordinati da suo padre per eliminare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Non ci racconterà forse le esclamazioni di gioia di quello stesso padre che descriverà, come da copione, come un padre affettuoso, ma quelle possiamo immaginarle dalle espressioni usate da quello stesso padre quando, nelle intercettazioni nel carcere di Opera, progettava di far fare la “fine del tonno, del primo tonno” anche al magistrato Nino Di Matteo. Non ha voluto rispondere, Salvo Riina, alle domande su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Non me ne rammarico, quei nomi si sarebbero sporcati soltanto ad essere pronunciate da una bocca come la sua. In quanto al conduttore Bruno Vespa avrà il merito di fare diventare un best-seller il libro che qualcuno ha scritto per il figlio di questo criminale e che alimenterà la curiosità morbosa di tante menti sprovvedute. Si sarà così guadagnato le somme spropositate che gli vengono passate per gestire un servizio pubblico di servile ossequio ai potenti, di qualsiasi colore essi siano. Qualcuno ha chiamato la trasmissione “Porta a Porta”, la terza Camera, dopo la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, questo significa infangare le istituzioni, infangare la nostra Costituzione, sport che sembra ormai molto praticato nel nostro paese. In quanto a noi familiari delle vittime di mafia eventi di questo tipo significano ancora una volta una riapertura delle nostre ferite, ove mai queste si fossero chiuse, ma ormai purtroppo questo, dopo 24 anni un cui non c’è stata ancora ne Verità ne Giustizia, è una cosa a cui ci siamo abituati, ma mai rassegnati. La nostra RESISTENZA continuerà fino all’ultimo giorno della nostra vita”.
Certo, presentare questo genere di libro, forse investe di qualche responsabilità. I curiosi  – come li chiama Borsellino – non saranno pochi.
Rosy Bindi, lo aveva annunciato che avrebbe chiesto la convocazione del Presidente e del direttore generale della Rai, in commissione, se fosse andata in onda quel che poi è andato in onda, motivando come “con quella scelta si avrebbe la conferma che Porta a Porta si presta ad essere il salotto del negazionismo della mafia”.
Ma sono in tanti ad essere intervenuti sulla vicenda, come il presidente del senato Pietro Grasso che in un tweet ha scritto: “Non mi interessa se le mani di Riina accarezzavano i figli, sono le stesse macchiate di sangue innocente. Non guarderò Rai Porta a Porta”.
Ed ancora Maria Falcone, sorella del giudice ucciso nella strage di Capaci, che dichiara: “Apprendo costernata, considero incredibile la notizia: da 24 anni  mi impegno per portare ai ragazzi di tutta Italia i valori di legalità e giustizia per i quali mio fratello ha affrontato l’estremo sacrificio ed è indegna questa presenza in una emittente che dovrebbe fare servizio pubblico“.
La Rai, non fa marcia indietro, ed oggi – in contrapposizione alla intervista di Riina Junior – manderà in onda proprio a Porta a Porta, una puntata sulla lotto alla criminalità, e a chi ha dedicato la propria esistenza alla battaglia contro me mafie, e fa questo, dice, “per offrire un altro punto di vista da contrapporre a quello offerto al figlio di Riina”.
Non si sono comprese in realtà le vere motivazioni per le quali si è deciso di mandare in onda quella intervista, perché non sembra aver insegnato nulla considerato il contenuto della intervista, malgrado le parole di Vespa, in apertura siano state che “per combattere la mafia bisogna conoscerla bene, e dunque vista dall’interno”.
Family life, è il titolo il libro di Riina junior, nel quale lo stesso racconta di una infanzia di normalità.
A Vespa Riina junior racconta che “a casa loro non avevano mai trasmesso ai figli le problematiche dei genitori. Loro vivevano nella normalità. Non andavano a scuola, e non si chiedevano il perché non avessero una vita normale. Vivevano in una sorta di famiglia diversa. Il padre diceva di fare il geometra, ma lui, il figlio, non ha mai creduto che fosse un lavoro di copertura. Crescendo ha poi cominciato a capire che c’era qualcosa di diverso, poi lui e i suoi fratelli hanno letto il nome del padre sui giornali ma non si chiedevano mai perché si chiamassero in maniera diversa dal padre. Sostiene di aver vissuto una vita diversa ma molto piacevole. Dovevano mantenere il segreto, per mantenere la famiglia unita. Il segreto del padre che era un ricercato, lo ha capito da lui verso il 4-5 anni. La madre considerava il padre un uomo giusto, tutto d’un pezzo, con i valori per la famiglia, per le tradizioni. Il padre quando conobbe la mamma aveva già commesso un omicidio che lui definisce banale, per un banale litigio. Sono stati una famiglia modesta, senza macchine ecc. Lui e i suoi fratelli tutti registrati con il nostro cognome, la gente salutava il padre con rispetto. Il padre voleva che lui fosse il bastone della sua vecchiaia, il figlio maschio che lo aiutasse”.

Simona Stammelluti

Musicista di caratura sopraffina, sassofonista e compositore di eccellenza, Leandro “Gato” Barbieri muore a 83 anni dopo una carriera straordinaria

El Gato, “il gatto”, come il soprannome che gli avevano dato, perché come un randagio, girava di notte con il suo sax, da un jazz club all’altro, tra le strade di Buenos Aires.
Caratteristico quel suo cappello, che portava di lato, sulla testa, che lo rendeva così unico, e caratteristico.
Sono stati i suoi familiari a comunicare ai media statunitensi che Gato Barbieri non c’era più, che era deceduto a New York, in ospedale.
Laura, la sua seconda moglie che gli aveva dato Christian, suo unico figlio che tra poco compirà 18 anni racconta: “Era il mio migliore amico, sono stata fortunata. Ogni volta che suonava, era sempre una nuova esperienza, e voleva che fosse così anche per il suo pubblico”.
Sono in tanti coloro che piangono in queste ore, uno dei più grandi sassofonisti latinoamericani della storia. Una carriera strepitosa, 50 dischi  all’attivo, che lo scorso novembre aveva ricevuto un “Latin Grammy”, proprio per la sua “eccellenza musicale”.  E lui quel premio lo avevo commentato dicendo che “era sublime, ricevere un riconoscimento alla sua veneranda età”. Ed aveva lanciato un messaggio anche a tutti coloro che volessero intraprendere una carriera da musicisti dicendo che “bisogna fare pratica, pratica, pratica”, e lui, di pratica ne aveva fatta all’infinito, considerati tutti i suoi successi.
Ma in tanti lo ricordano per essere stato il sax del famoso film di Bertolucci, “Ultimo Tango a Parigi”, che fece scandalo e scalpore, in quegli anni. E fu proprio quel film con Marlon Brando e Maria Schneider, a dargli il successo mondiale, e che gli consegnò il Grammy nel ’73. Fece come Bertolucci voleva, e dunque creò una colonna sonora che non fosse né troppo hollywoodiana né troppo europea, ma che fosse “una via di mezzo”, e che raccontasse un tango sensuale, come solo lui, poi, argentino, poteva e seppe fare.
Ma in Italia, Gato Barbieri collaborò con tanti cantautori, da Pino Daniele a Venditti.
Era figlio di un carpentiere che amava il violino, incominciò a suonare il clarinetto a 12 anni ascoltando Charlie Parker, per poi passare al sax contralto. Aveva girato il mondo, con la sua prima moglie, Michelle. Nel ’63 giunse in Italia, a Roma, la città della “dolce vita” e collaborò con all’epoca giovane arrangiatore  Ennio Morricone, all’assolo di “sapore di sale” di Gino Paoli. Ricordiamo che era anche amico di Enrico Rava. Ma dopo alcuni anni tornò a New York con Don Cherry, per dedicarsi al free jazz, e poi legarsi alla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden.
Il sassofono di Gato Barbieri, era inconfondibile. E dire che lui pensava di poter essere dimenticato. Impossibile. E la sua carriera gli tolse ogni dubbio.
Un suono latino, sì, quello del suo sax ma non solo. Era anche estremamente romantico, ed appassionato…a tratti struggente. Amava fondere la musica internazionale, alla musica latinoamericana, ed il risultato – quel latin jazz che lo rese famoso –  fu  sempre mirabile.
Se ne va un pezzo di storia del jazz, ma lascia in eredità la sua “concezione” di musica e di jazz. Era colui che diceva che “Il jazz non è la musica, è una musica, ed ognuno la rende sua”.

Simona Stammelluti

Musicista di caratura sopraffina, sassofonista e compositore di eccellenza, Leandro “Gato” Barbieri muore a 83 anni dopo una carriera straordinaria

El Gato, “il gatto”, come il soprannome che gli avevano dato, perché come un randagio, girava di notte con il suo sax, da un jazz club all’altro, tra le strade di Buenos Aires.

Caratteristico quel suo cappello, che portava di lato, sulla testa, che lo rendeva così unico, e caratteristico.

Sono stati i suoi familiari a comunicare ai media statunitensi che Gato Barbieri non c’era più, che era deceduto a New York, in ospedale.

Laura, la sua seconda moglie che gli aveva dato Christian, suo unico figlio che tra poco compirà 18 anni racconta: “Era il mio migliore amico, sono stata fortunata. Ogni volta che suonava, era sempre una nuova esperienza, e voleva che fosse così anche per il suo pubblico”.

Sono in tanti coloro che piangono in queste ore, uno dei più grandi sassofonisti latinoamericani della storia. Una carriera strepitosa, 50 dischi  all’attivo, che lo scorso novembre aveva ricevuto un “Latin Grammy”, proprio per la sua “eccellenza musicale”.  E lui quel premio lo avevo commentato dicendo che “era sublime, ricevere un riconoscimento alla sua veneranda età”. Ed aveva lanciato un messaggio anche a tutti coloro che volessero intraprendere una carriera da musicisti dicendo che “bisogna fare pratica, pratica, pratica”, e lui, di pratica ne aveva fatta all’infinito, considerati tutti i suoi successi.

Ma in tanti lo ricordano per essere stato il sax del famoso film di Bertolucci, “Ultimo Tango a Parigi”, che fece scandalo e scalpore, in quegli anni. E fu proprio quel film con Marlon Brando e Maria Schneider, a dargli il successo mondiale, e che gli consegnò il Grammy nel ’73. Fece come Bertolucci voleva, e dunque creò una colonna sonora che non fosse né troppo hollywoodiana né troppo europea, ma che fosse “una via di mezzo”, e che raccontasse un tango sensuale, come solo lui, poi, argentino, poteva e seppe fare.

Ma in Italia, Gato Barbieri collaborò con tanti cantautori, da Pino Daniele a Venditti.

Era figlio di un carpentiere che amava il violino, incominciò a suonare il clarinetto a 12 anni ascoltando Charlie Parker, per poi passare al sax contralto. Aveva girato il mondo, con la sua prima moglie, Michelle. Nel ’63 giunse in Italia, a Roma, la città della “dolce vita” e collaborò con all’epoca giovane arrangiatore  Ennio Morricone, all’assolo di “sapore di sale” di Gino Paoli. Ricordiamo che era anche amico di Enrico Rava. Ma dopo alcuni anni tornò a New York con Don Cherry, per dedicarsi al free jazz, e poi legarsi alla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden.

Il sassofono di Gato Barbieri, era inconfondibile. E dire che lui pensava di poter essere dimenticato. Impossibile. E la sua carriera gli tolse ogni dubbio.

Un suono latino, sì, quello del suo sax ma non solo. Era anche estremamente romantico, ed appassionato…a tratti struggente. Amava fondere la musica internazionale, alla musica latinoamericana, ed il risultato – quel latin jazz che lo rese famoso –  fu  sempre mirabile.

Se ne va un pezzo di storia del jazz, ma lascia in eredità la sua “concezione” di musica e di jazz. Era colui che diceva che “Il jazz non è la musica, è una musica, ed ognuno la rende sua”.

Simona Stammelluti

Ricorre oggi, la IX edizione della Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, una giornata di sensibilizzazione promossa dall’Onu, che vede in tutto il mondo numerose iniziative, per conoscere da vicino questa disabilità

In Italia e nel mondo, oggi saranno illuminati di blu, i più importanti monumenti, proprio per simboleggiare l’iniziativa, che mira a far conoscere la disabilità dell’Autismo, e quindi a sensibilizzare affinché conoscendo, si possa sapere cosa fare, e come.
L’Empire State Building di New York, la CN Tower di Toronto, la Statua del Cristo a Rio de Janeiro, e Palazzo Montecitorio a Roma, tutte tinte di blu, a sostegno di una manifestazione mondiale,  a favore della consapevolezza dell’autismo, una patologia che è cresciuta di circa 10 volte, negli ultimi 40 anni, e che nel mondo – secondo i dati dell’OMS – colpisce almeno un bambino su 160.
L’autismo è un disturbo che colpisce per ragioni che sono ancora sconosciute, e che colpisce i bambini di sesso maschile, quasi 4 volte in più rispetto alle bambine.  Ma la ricerca procede, e scopre sempre nuove strade per comprendere questa patologia. Gli studi spiegano che esiste il cosiddetto “ormone delle coccole” che svolge una importante funzione sullo sviluppo neuronale, influenzando così il neurotrasmettitore “Gaba”, la cui alterazione è legata a molte malattie del sistema del neurosviluppo, come l’autismo.
La musica ha grande valore terapeutico sulla vita e sulle funzioni di un bambino affetto da autismo. Tradurre in musica i movimenti dei bambini autistici, attraverso il progetto “si do re mi”. Questa l’iniziativa finanziata dalla Fondazione Telecom Italia, e coordinata da un team di ricercatori. L’obiettivo è quello di far in modo che il bambino muovendosi davanti al dispositivo sotto la guida di un operatore o di un familiare, possa produrre e controllare i suoni da lui stesso generati, migliorando così il livello di interazione con il mondo che lo circonda.
Conoscere e guardare da vicino la vita dei bambini autistici e delle loro famiglie, è il modo migliore per avere consapevolezza dei disagi, delle problematiche e delle difficoltà alle quali vanno incontro le famiglie, che, quando i bambini  autistici divengono adulti, sono costretti ad affrontare ancor più difficoltà e che non sempre ricevono il giusto sostegno a giuda in un percorso difficile.
In questa giornata di sensibilizzazione, la Fondazione Italiana per l’Autismo, chiede il sostegno dei singoli cittadini e delle aziende, affinché si possa continuare a finanziare la ricerca. Fino al 6 marzo, infatti, si potrà donare attraverso un semplice sms al numero 45507.
Simona Stammelluti

Ricorre oggi, la IX edizione della Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, una giornata di sensibilizzazione promossa dall’Onu, che vede in tutto il mondo numerose iniziative, per conoscere da vicino questa disabilità

In Italia e nel mondo, oggi saranno illuminati di blu, i più importanti monumenti, proprio per simboleggiare l’iniziativa, che mira a far conoscere la disabilità dell’Autismo, e quindi a sensibilizzare affinché conoscendo, si possa sapere cosa fare, e come.

L’Empire State Building di New York, la CN Tower di Toronto, la Statua del Cristo a Rio de Janeiro, e Palazzo Montecitorio a Roma, tutte tinte di blu, a sostegno di una manifestazione mondiale,  a favore della consapevolezza dell’autismo, una patologia che è cresciuta di circa 10 volte, negli ultimi 40 anni, e che nel mondo – secondo i dati dell’OMS – colpisce almeno un bambino su 160.

L’autismo è un disturbo che colpisce per ragioni che sono ancora sconosciute, e che colpisce i bambini di sesso maschile, quasi 4 volte in più rispetto alle bambine.  Ma la ricerca procede, e scopre sempre nuove strade per comprendere questa patologia. Gli studi spiegano che esiste il cosiddetto “ormone delle coccole” che svolge una importante funzione sullo sviluppo neuronale, influenzando così il neurotrasmettitore “Gaba”, la cui alterazione è legata a molte malattie del sistema del neurosviluppo, come l’autismo.

La musica ha grande valore terapeutico sulla vita e sulle funzioni di un bambino affetto da autismo. Tradurre in musica i movimenti dei bambini autistici, attraverso il progetto “si do re mi”. Questa l’iniziativa finanziata dalla Fondazione Telecom Italia, e coordinata da un team di ricercatori. L’obiettivo è quello di far in modo che il bambino muovendosi davanti al dispositivo sotto la guida di un operatore o di un familiare, possa produrre e controllare i suoni da lui stesso generati, migliorando così il livello di interazione con il mondo che lo circonda.

Conoscere e guardare da vicino la vita dei bambini autistici e delle loro famiglie, è il modo migliore per avere consapevolezza dei disagi, delle problematiche e delle difficoltà alle quali vanno incontro le famiglie, che, quando i bambini  autistici divengono adulti, sono costretti ad affrontare ancor più difficoltà e che non sempre ricevono il giusto sostegno a giuda in un percorso difficile.

In questa giornata di sensibilizzazione, la Fondazione Italiana per l’Autismo, chiede il sostegno dei singoli cittadini e delle aziende, affinché si possa continuare a finanziare la ricerca. Fino al 6 marzo, infatti, si potrà donare attraverso un semplice sms al numero 45507.

Simona Stammelluti

Un tema importante e serio, quello sul bullismo, portato in scena da Paola Cortellesi, in un monologo toccante, e a lieto fine

In prima serata, durante lo show “Laura & Paola” andato in onda su Rai 1, ieri in prima serata, la Cortellesi da respiro a tutta la sua bravura, durante un monologo che tratta il delicato tema del bullismo. Il monologo è intervallato dalla voce di Marco Mengoni, che a tratti, intona parti della sua canzone “Guerriero”.
La Cortellesi racconta, con tutta l’intensità di cui è capace, la storia di Giancarlo Catino, un bambino di sei anni, che “crede nell’amicizia”, malgrado tutto, malgrado le derisioni, le frustrazioni, le angherie, subite passo dopo passo lungo un percorso scolastico e di vita, nel quale prova a difendersi, senza riuscirci, prova a chiedere aiuto, senza riuscirci. Ma riuscirà, diventato grande, a credere ancora nell’amicizia, facendo esclusivamente “la cosa giusta”.
Un bambino piccolo, di soli sei anni, che inizia la sua avventura scolastica, che conosce i suoi compagni di classe, che prova a farsi accettare, ma che ben presto diviene bersaglio dei bulli, che provano a rubargli la dignità, passando dalle offese verbali alla violenza fisica.
Il bambino diviene adolescente, e poi ragazzo. Dalla scuola elementare passa alle medie e poi al liceo. Cambiano i compagni, ma lui resta il bersaglio, perché porta gli occhiali, o semplicemente perché in sovrappeso. E allora giù con offese, e gesti orrendi, come quello di riempire di scotch il povero Giancarlo, per disegnargli un pene sulla fronte.
Provano a togliergli ogni speranza, i bulli, e lo costringono ogni giorno ad avere paura. A casa, finalmente qualcuno si accorge di ciò che gli sta accadendo a scuola, quanto sia cambiato il suo stato d’animo e di come quella condizione di “vittima”, lo stia rendendo sempre più “piccolo”, malgrado stia crescendo.
Ma la bontà del monologo, sta proprio nel finale, nella speranza che lancia sotto forma di messaggio. Il piccolo Giancarlo Catino, divenuto grande, un bel giorno pronto a risolvere una volta per tutte quella situazione, decide di “puntare e andare dritto incontro al suo peggior nemico”. Ma non gli consegna un pugno in faccia, come si sarebbe invece meritato, ma lo abbraccia, semplicemente, vincendo “per davvero” e potendo affermare ancora di “credere nell’amicizia”.
Un monologo, quello di Paola Cortellesi, che sa essere in maniera straordinaria sia attrice comica che drammatica, è riuscito a catalizzare non solo l’attenzione del grande pubblico, ma anche ad emozionare e a commuovere, per la “veridicità” con la quale ha scorticato una realtà, ponendola nella maniera più cruda possibile, proprio affinché ci si potesse tutti sentire addosso, il disagio e lo sconforto di una vittima di bullismo.
L’atmosfera è stata delle più sentite, considerato che il monologo è stato intervallato dalla performance di Marco Mengoni che ha cantato – come solo lui sa fare – il suo pezzo “guerriero”, nei passaggi più significativi: “io sono un guerriero, veglio quando è notte, ti difenderò da incubi e tristezze. Ti riparerò da inganni e maldicenze, e ti abbraccerò per darti forza, sempre”.
E poi quelle parole lette, dal piccolo Matteo Valentini, che hanno incorniciato, uno dei momenti più singificativi di uno show, che – con molta probabilità – custodirà ancora, momenti degni di nota.
Simona Stammelluti

Inversione di tendenza, nuove forme di artigianato, riscoperta di attività molto vicine al “fai da te”. Così cambiano le imprese

A parlare chiaro sono i dati di Unioncamere e InfoCamere sulla base delle iscrizione al registro delle imprese: Il nuovo commercio va verso nuove attività che riguardano imprese di pulizia, attività di cura della persona, e l’ormai italianizzato “Take Away”, che si espande in un vedo boom.

L’italia cambia, e l’economia si adegua ai nuovi tenori di vita e alle abitudini ormai modificate. L’immagine che ne viene fuori, è dunque che mentre calano sensibilmente le attività legate all’edilizia, settore nel quale la gente sembra sempre meno disposta ad investire, l’attenzione migra verso altri settori.

Quello che sembra riscuotere maggiore successo anche dal punto di vista redditizio, è il Take Away, quel modo semplice e veloce di risolvere il problema “fame”, il cibo su ordinazione, “ordino e porto via”, considerato che sempre più donne lavorano, e quindi c’è sempre meno tempo da dedicare ai fornelli. La velocità sembra dunque la soluzione. Tutto con una semplice chiamata e dopo pochi minuti ecco pronte pizze, hamburger, patate fritte, cibo etnico come il sushi, insalate e così via. Tutto a portata di mano, senza spreco di tempo.

Sorgono anche numerose imprese di pulizia a livello familiare, poca burocrazia, nessuna necessità di assumere dipendenti.

In ascesa anche i “tassisti privati”, ossia affitto di autovetture con autista annesso. Servizi su misura e tariffe concorrenziali, considerati i prezzi dei taxi tradizionali.

Nella mappa di queste nuove imprese artigiane, si calcola che sono molti gli stranieri che vengono in Italia ed investono nell’impresa.  Quasi 2 imprenditori su 10 sono stranieri, e vengono da fuori l’Unione Europea, e sono marocchini, mentre 1 e mezzo su dieci vengono dalla Cina e quasi tutti si insediano geograficamente in Toscana, Lazio, Liguria e Lombardia.

La città simbolo di questa invasione di imprenditori stranieri è Prato. Questa situazione economica, crea una sorta di “squilibrio”, considerato che, malgrado l’immagine di integrazione interculturale, i proventi di queste attività vengono portati fuori dall’Italia, nei paesi di origine degli imprenditori stessi.

Le altre attività in crescita sono quelle che riguardano la cura della persona e quindi via libera a parrucchieri, estetisti e look maker. Ed ancora giardinieri, manutentori di paesaggi e “pulizia a domicilio”, dove le nuove colf 2.0 decidono autonomamente dove andare, quando, in che orari e a che tariffe … tariffe che sono quanto mai concorrenziali.

Una nuova frontiera, un nuova storia economica che sta prendendo respiro in Italia, e che – con molta probabilità – invoglierà i giovani a trovare la strada imprenditoriale giusta, pratica, veloce e soprattutto redditizia.

Simona Stammelluti

Inversione di tendenza, nuove forme di artigianato, riscoperta di attività molto vicine al “fai da te”. Così cambiano le imprese

A parlare chiaro sono i dati di Unioncamere e InfoCamere sulla base delle iscrizione al registro delle imprese: Il nuovo commercio va verso nuove attività che riguardano imprese di pulizia, attività di cura della persona, e l’ormai italianizzato “Take Away”, che si espande in un vedo boom.
L’italia cambia, e l’economia si adegua ai nuovi tenori di vita e alle abitudini ormai modificate. L’immagine che ne viene fuori, è dunque che mentre calano sensibilmente le attività legate all’edilizia, settore nel quale la gente sembra sempre meno disposta ad investire, l’attenzione migra verso altri settori.
Quello che sembra riscuotere maggiore successo anche dal punto di vista redditizio, è il Take Away, quel modo semplice e veloce di risolvere il problema “fame”, il cibo su ordinazione, “ordino e porto via”, considerato che sempre più donne lavorano, e quindi c’è sempre meno tempo da dedicare ai fornelli. La velocità sembra dunque la soluzione. Tutto con una semplice chiamata e dopo pochi minuti ecco pronte pizze, hamburger, patate fritte, cibo etnico come il sushi, insalate e così via. Tutto a portata di mano, senza spreco di tempo.
Sorgono anche numerose imprese di pulizia a livello familiare, poca burocrazia, nessuna necessità di assumere dipendenti.
In ascesa anche i “tassisti privati”, ossia affitto di autovetture con autista annesso. Servizi su misura e tariffe concorrenziali, considerati i prezzi dei taxi tradizionali.
Nella mappa di queste nuove imprese artigiane, si calcola che sono molti gli stranieri che vengono in Italia ed investono nell’impresa.  Quasi 2 imprenditori su 10 sono stranieri, e vengono da fuori l’Unione Europea, e sono marocchini, mentre 1 e mezzo su dieci vengono dalla Cina e quasi tutti si insediano geograficamente in Toscana, Lazio, Liguria e Lombardia.
La città simbolo di questa invasione di imprenditori stranieri è Prato. Questa situazione economica, crea una sorta di “squilibrio”, considerato che, malgrado l’immagine di integrazione interculturale, i proventi di queste attività vengono portati fuori dall’Italia, nei paesi di origine degli imprenditori stessi.
Le altre attività in crescita sono quelle che riguardano la cura della persona e quindi via libera a parrucchieri, estetisti e look maker. Ed ancora giardinieri, manutentori di paesaggi e “pulizia a domicilio”, dove le nuove colf 2.0 decidono autonomamente dove andare, quando, in che orari e a che tariffe … tariffe che sono quanto mai concorrenziali.
Una nuova frontiera, un nuova storia economica che sta prendendo respiro in Italia, e che – con molta probabilità – invoglierà i giovani a trovare la strada imprenditoriale giusta, pratica, veloce e soprattutto redditizia.
Simona Stammelluti