Nell’aria c’è molto scetticismo circa il significato di questo giorno, nella cui data ricorre l’anniversario della famosa dichiarazione di Schuman, nel maggio del 1950
Era il 9 maggio del 1950 quando Robert Schuman, allora ministro degli esteri francese proponeva la creazione di una comunità europea, i cui membri avrebbero messo “in comune” la produzione del carbone e dell’acciaio. Quella che all’epoca fu la CECA di cui facevano parte Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, è stata la prima di una serie di istituzioni europee sovranazionali che avrebbero condotto poi a quella che oggi prende il nome di “Unione europea”.
Il senso in origine era mettere in comune gli interessi economici, così da innalzare i livelli di vita, facendo il primo passo verso un’Europa più unita.
E così nel 9 maggio di ogni anno, da allora, le istituzioni dell’Unione Europea, celebrano la festa dell’Europa, aprendo al grande pubblico le porte delle sedi di Bruxelles e di Strasburgo.
Gli uffici locali dell’UE in Europa e nel resto del mondo organizzano una serie di attività ed eventi per un pubblico di tutte le età.
Ogni anno migliaia di persone partecipano a visite, dibattiti, concerti e altri eventi organizzati per l’occasione e per avvicinare i cittadini all’UE.
La giornata dell’Europa diviene così l’occasione giusta per organizzare eventi mirati ad avvicinare i cittadini all’idea di Europa unita, per educare gli studenti ai temi della cittadinanza europea e a ciò che questo oggi significa, in termini di opportunità e di diritti riconosciuti. E poi ancora per sottolineare la necessità di una convivenza europea priva di ogni forma di violenza, di guerra, di atti di terrorismo.
In questo giorno vengono promossi ed incentivati i servizi di volontariato, nonché progetti di sviluppo locale in posti diversi da quelli nei quali si vive. Le proposte sono tutte nobili, affinché questa festa dell’Europa, sia un contributo al dialogo con le istituzioni europee sulle politiche dell’Unione, in particolare in ambiti come la famiglia, lo sviluppo sostenibile, l’economia, il ruolo dell’UE nel mondo ed anche l’accoglienza di immigrati e rifugiati.
Eppure, malgrado questi nobili principi c’è aria di scetticismo, considerato che un italiano su due, non si sente europeo. Il 50 % di cittadini che si sono sottoposti al sondaggio si sono così espressi e questo dato fa riflettere, considerato che la risposta si dipana su due differenti motivazioni. Una parte degli intervistati dichiara di non sentirti “attaccato” all’Unione Europea, gli altri sostengono di non sapere neanche come funzioni, l’UE. Sembra dunque che l’idea di Europa comune si stia affievolendo sia nelle menti che nei cuori degli italiani, mentre sale la preoccupazione per la sempre maggiore immigrazione, tant’è che rispetto alla media europea – che si attesta intorno al 65% – solo il 42% degli italiani dichiara di essere favorevole a che si fornisca assistenza ai rifugiati, mentre il restante 48% è assolutamente contrario.
Forse un vero lavoro di aggregazione e di integrazione sociale, contro un tentativo di disfattismo e di antieuropeismo, andrebbe irrobustito e promosso nelle scuole, che restano il primo e concreto ambiente di integrazione sociale, dove la pratica della differenza, va gestita partendo dai valori e dagli intrecci sia culturali che linguistici.
Socializzazione tuttavia significa non solo apertura, ma anche ricerca di somiglianze, di conferme, di similitudini di gusto, di sensibilità, di storia personale.
Le persone cercano nel contatto non solo la novità e lo stimolo, ma anche un certo grado di continuità affettiva, di fiducia reciproca, un’assicurazione che i rapporti siano ragionevolmente prevedibili e quindi amichevoli e fruttuosi.
Gli scettici contro l’europeismo sono in crescita. Sono quelli che criticano con forza la mancata coesione, il disimpegno su problematiche come l’immigrazione o il potere della moneta, o l’utilizzo dei fondi europei per i progetti delle regioni italiane. Una sorta di malumore mediterraneo.
Eppure nel processo di secolarizzazione che ha investito le società occidentali, la vita sociale è andata incontro a un doppio processo di diminuzione e al tempo stesso d’intensificazione del senso di appartenenza. Accanto allo stile di vita individualistico e secolarizzato è cresciuto anche il grado di coinvolgimento in forme di associazione neo-identitarie. Alla realizzazione di sé nel lavoro e all’evasione edonistica si è unito il bisogno di perseguire obiettivi nei quali l’individuo si possa sentire risolto in identità più collettive e comunitarie, sia pure nei limiti di una mentalità individualistica.
La speranza è dunque che vi sia un rinnovato bisogno di appartenenza a qualcosa di “grande” e “comune”, generando un equilibrio tra libertà e conservatorismo comunitario. E se l’Europa saprà rielaborare una nuova sintesi, potrà sopravvivere ad eventi e scetticismo.
Simona Stammelluti