Uno scrittore di classe, un gigante della cultura, un filosofo, semiologo, ma soprattutto grande comunicatore. Se ne va ad 84 anni, in un freddo venerdì di febbraio, dopo una vita di successi letterali ed accademici e dopo quel “Premio Strega” vinto nel 1981, con il romanzo “Il nome della Rosa”, un bestseller mondiale che vendette 30 milioni di copie in tutto il mondo, tradotto in tutte le lingue. Quel romanzo così famoso, che lui stesso definì il suo peggior romanzo.
“I miei romanzi nascono semplicemente da un’immagine” – diceva sempre.
Fece tanto, per la cultura, svecchiando le più alte forme di comunicazione, non smise mai di guardare alla politica, ma ciò che mancherà, da oggi in poi è quel suo disarmante modo di guardare al mondo, ai cambiamenti sociali, per poi raccontarli, attraverso quella sua penna che si è fermata nel suo ultimo romanzo “Numero Zero”, del 2015, edito da Bompiani, ambientato nel 1992. Un giallo pieno di ironia e di colpi di scena, sul cattivo giornalismo. Un romanzo che narra di una giornalista e di una redazione, con forti riferimenti alla politica, alla storia giudiziaria italiana di quegli anni. Parla di complotti e di questo Numero Zero che forse non uscirà mai, ma che ha tutte le carte in regola per divenire un vero e proprio scoop.
Un uomo di grandi passioni e di cultura sterminata, osservatore ironico e creativo, capace – come pochi – di cogliere lo spirito del tempo. Rimase fedele per una vita intera alla sua casa editrice. Ebbe un rapporto conflittuale con la chiesa e si allontanò dalla fede dopo i suoi studi su Tommaso D’Aquino.
Trovava il tempo anche per collaborare con i giornali: ll Giorno, La Stampa, il Corriere della Sera e da anni scriveva su Repubblica. Lui, che ultimamente l’aveva a morte con i giornalisti, con quelli del “riciclo”, perché come spesso diceva, “le notizie vanno cercate, zappate, cercate con maestria”.
Amava i libri…non li scriveva e basta. La sua biblioteca personale conteneva migliaia di rarità provenienti da tutto il mondo. Amava i libri. Amava tutto dai romanzi ai fumetti, dai classici di filosofia alla letteratura, dai saggi di semiologia alle riviste. Un lettore attento, e poi scrittore di grande spessore. Il suo “Trattato di semiotica generale” del 1975 è ad oggi, un testo classico nelle università di mezzo mondo.
Ha insegnato a lungo, ruolo che gli fu congeniale. Insegnava al Dams di Bologna e nei corsi di Laurea in Scienza delle Comunicazioni. Lui, grande comunicatore, che catalizzava le masse, anche quando i suoi discorsi erano forti e miravano a scuotere i giovani sull’importanza della cultura.
Lo fece anche durante una “Lectio magistralis”, durante la quale, ricordando un dolore fisico provato da giovane, raccontò di come si resiste se si sa cosa si sta subendo. “La conoscenza, la cultura, alza la soglia della sofferenza” – diceva.
E chi non ricorda quella sua lezione nella quale parlò di quanto internet dia parola anche agli imbecilli?
I social sopprimono i contatti “faccia a faccia” – diceva Umberto Eco – “oltre al fatto che internet da voce anche a legioni imbecilli, che negli anni andati, sparlavano solo dopo un bicchiere di troppo e non nuocevano alla società. Oggi tutti hanno diritto di parola quanto un premio Nobel. Anche se penso che gli imbecilli, alla fine si screditino da soli, quando ormai scettica, la gente non crede più a nulla di ciò che dicono”.
Muore un grande intellettuale, un uomo che detestava l’improvvisazione, che nel suo cammino intellettuale, ebbe vene illuministiche, con grande attenzione alla vita quotidiana perché lì – diceva – “si nasconde la verità”.
Simona Stammelluti