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Uno scrittore di classe, un gigante della cultura, un filosofo, semiologo, ma soprattutto grande comunicatore. Se ne va ad 84 anni, in un freddo venerdì di febbraio, dopo una vita di successi letterali ed accademici e dopo quel “Premio Strega” vinto nel 1981, con il romanzo “Il nome della Rosa”, un bestseller mondiale che vendette 30 milioni di copie in tutto il mondo, tradotto in tutte le lingue. Quel romanzo così famoso, che lui stesso definì il suo peggior romanzo.

“I miei romanzi nascono semplicemente da un’immagine” – diceva sempre.

Fece tanto, per la cultura, svecchiando le più alte forme di comunicazione, non smise mai di guardare alla politica, ma ciò che mancherà, da oggi in poi è quel suo disarmante modo di guardare al mondo, ai cambiamenti sociali, per poi raccontarli, attraverso quella sua penna che si è fermata nel suo ultimo romanzo “Numero Zero”, del 2015, edito da Bompiani, ambientato nel 1992. Un giallo pieno di ironia e di colpi di scena, sul cattivo giornalismo. Un romanzo che narra di una giornalista e di una redazione, con forti riferimenti alla politica, alla storia giudiziaria italiana di quegli anni. Parla di complotti e di questo Numero Zero che forse non uscirà mai, ma che ha tutte le carte in regola per divenire un vero e proprio scoop.

Un uomo di grandi passioni e di cultura sterminata, osservatore ironico e creativo, capace – come pochi – di cogliere lo spirito del tempo. Rimase fedele per una vita intera alla sua casa editrice. Ebbe un rapporto conflittuale con la chiesa e si allontanò dalla fede dopo i suoi studi su Tommaso D’Aquino.

Trovava il tempo anche per collaborare con i giornali: ll Giorno, La Stampa, il Corriere della Sera e da anni scriveva su Repubblica. Lui, che ultimamente l’aveva a morte con i giornalisti, con quelli del “riciclo”, perché come spesso diceva, “le notizie vanno cercate, zappate, cercate con maestria”.

Amava i libri…non li scriveva e basta. La sua biblioteca personale conteneva migliaia di rarità provenienti da tutto il mondo. Amava i libri. Amava tutto dai romanzi ai fumetti, dai classici di filosofia alla letteratura, dai saggi di semiologia alle riviste. Un lettore attento, e poi scrittore di grande spessore. Il suo “Trattato di semiotica generale” del 1975 è ad oggi, un testo classico nelle università di mezzo mondo.

Ha insegnato a lungo, ruolo che gli fu congeniale. Insegnava al Dams di Bologna e nei corsi di Laurea in Scienza delle Comunicazioni. Lui, grande comunicatore, che catalizzava le masse, anche quando i suoi discorsi erano forti e miravano a scuotere i giovani sull’importanza della cultura.

Lo fece anche durante una “Lectio magistralis”, durante la quale, ricordando un dolore fisico provato da giovane, raccontò di come si resiste se si sa cosa si sta subendo. “La conoscenza, la cultura, alza la soglia della sofferenza” – diceva.

E chi non ricorda quella sua lezione nella quale parlò di quanto internet dia parola anche agli imbecilli?

I social sopprimono i contatti “faccia a faccia” – diceva Umberto Eco – “oltre al fatto che internet da voce anche a legioni imbecilli, che negli anni andati, sparlavano solo dopo un bicchiere di troppo e non nuocevano alla società. Oggi tutti hanno diritto di parola quanto un premio Nobel. Anche se penso che gli imbecilli, alla fine si screditino da soli, quando ormai scettica, la gente non crede più a nulla di ciò che dicono”.

Muore un grande intellettuale, un uomo che detestava l’improvvisazione, che nel suo cammino intellettuale, ebbe vene illuministiche, con grande attenzione alla vita quotidiana perché lì – diceva – “si nasconde la verità”.

Simona Stammelluti

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Sanremo – Si respirava nell’aria già da un po’, la vittoria meritata degli Stadio, soprattutto quando la rosa dei finalisti si è stretta, scartando tutte le canzoni eseguite in maniera impeccabile come quelle di Arisa, Annalisa e Dolcenera.
Ma il Festival è della canzone Italiana, e gli Stadio hanno portato una canzone bella “Un giorno mi dirai”, cantata bene, che vince anche il premio Mia Martini e il premio Giancarlo Bigazzi, per la miglior musica, assegnato dai maestri della grande orchestra della Rai.
L’ultima serata si apre con il saluto dei ragazzi del Volo, in collegamento da New York, durante la loro tournée in giro per il mondo. Un saluto a tutti e qualche nota accennata a cappella.
Tutto bene quel che finisce bene. Sarà una edizione del festival che si ricorderà senza dubbio per un paio di cose, tra cui la bravura indiscussa di Virginia Raffaeli, che ieri sera – dopo essere stata la Ferilli, la Fracci, la Versace e la Belen – ha vestito i suoi panni, bellissima e simpatica, capace e talentuosa, per la presenza sul palco del maestro di vita Ezio Bossio e per la capacità avuta da Carlo Conti di tenere tutti contenti, mettendo d’accordo i gusti di tutti.
Spazio ai giovani, tanti, durante questa edizione numero 66 del Festival di Sanremo: Rocco Hunt, Clementino, la Michielin, Lorenzo Fragola, i Dear Jack, e poi ancora tutte le età, da Arisa alla Patty Pravo, da Annalisa a Ruggeri, da Dolcenera a Neffa e così via.
Spazio, tanto, per gli ospiti celebri. Da coloro che hanno imbastito la loro carriera partendo proprio dal palco dell’Ariston, da Laura Pausini a Eros Ramazzotti, a coloro che hanno festeggiato le loro lunghe carriere piene di successo come i Pooh, che hanno regalato a Sanremo i loro 50 anni di Carriera e Renato Zero, che ieri sera dopo due anni e mezzo di assenza dalle scene è tornato all’Ariston con dentro la sua valigia, i pezzi di una vita. Bella la sua affermazione sulla musica: “la musia non è velleità, ma un impegno sociale. Insegnate ai ragazzi la musica, si allontaneranno dalle cose brutte della vita”.
Le serate della 66esima edizione del festival di Sanremo sono state lunghe ma senza tempi morti, e ieri sera le 5 ore di diretta – seguite da 11 milioni di telespettatori – sono state riempite da Roberto Bolle, e Cristina D’avena, che sembra non invecchiare mai e che ha regalato alcuni dei suoi successi. Ma in serata sul palco sono giunti Pieraccioni e Panariello, in una sorta di “reunion” con il Carlo Conti nazionale, così come ai vecchi tempi, che tra una battuta e una risata, hanno ricordato al pubblico la loro uscita pubblica in 3 il prossimo settembre all’Arena di Verona.
In chiusura di finalissima, prima della proclamazione dei vincitori, sul palco un emozionato ed emozionante Beppe Fiorello – prossimamente su Rai 1 con una fiction “io non mi arrendo”, che narra la vita di un poliziotto coraggioso, Roberto Mancini – che ha deliziato il pubblico in sala e a casa, con un bellissimo monologo su ciò che accadde quando nacque l’Ilva a Taranto, per poi intonare le note di “Amara terra mia”, accompagnato alla chitarra da Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma.
Un Sanremo che passera ai ricordi come quello delle tante polemiche su Gabriel Garko che sembra non essere piaciuto proprio a nessuno, neanche alle sue numerose fans storiche. Quanto alla Madelina, ha fatto quasi tenerezza, ma allungando la falcata in quei meravigliosi abiti sfoggiati sera dopo sera, ha fatto girare la testa a molti.
La direzione artistica affidata a Carlo Conti è sembrata impeccabile, considerato che tra i Big oltre ai melodici, ai giovani e agli scontati, c’erano anche Elio e le Storie Tese, che – come è facile intuire – fanno gara a se.
Terminato il Festival adesso si aspettano i verdetti della gente che comprerà i dischi, delle radio che da domattina trasmetteranno i brani e già si scommette su quelli che saranno i tormentoni dell’estate. Io un’idea l’avrei…ma ve la dico la prossima volta.
Da Sanremo è tutto, al prossimo anno.
Viva Sanremo e la musica Italiana, quella buona.
Simona Stammelluti
Foto ANSA


Sanremo – Ormai si è in dirittura d’arrivo e si attende con ansia il nome del vincitore della 66esima edizione del Festival di Sanremo. Tutti in gara i 20 big, che provano a dare il meglio di se, rispetto alle serate precedenti nelle quali le performance non sono state sempre impeccabili.
Alcune canzoni si prestano già a divenire tormentoni da radio, mentre alcuni artisti continuano a non convincere in intonazione e capacità interpretativa.
A rischio eliminazioni, dopo le esibizioni sono i Dear Jack, Gli zero Assoluto, Irene Fornaciari, Neffa e i Bluvertigo. A vedere i risultati salta subito agli occhi la veridicità del verdetto, tranne che per figlia di Zucchero, che paga forse il cognome che porta e non riesce a far venir fuori una bravura indiscussa. Si spera adesso nel ripescaggio, e ci si aspetta una oggettività assoluta, considerato che le cattive performance, si sono ripetute serata dopo serata.
Finale per le giovani proposte tra le quali spicca e vince Francesco Gabbani, con il suo pezzo “Amen”, a cui va anche il premio della critica Mia Martini. Il premio della sala stampa web-radio-tv, è andato invece a Chiara dello Iacovo.
Serata che ospita la giuria di qualità, che – a mio avviso – dovrebbe votare tutte le sere, perché va bene il giudizio del popolo, ma conta anche quello di chi la musica la conosce, la scrive, la trasmette, la recensisce da decenni.
Non si può intanto far a meno di notare che la prima vera vincitrice di questa edizione è senza dubbio la bravissima, eclettica e straordinaria Virginia Raffaeli, che nella serata di ieri si è trasformata in una Belen Rodriguez strepitosa, che arriva dopo la Ferilli, la Fracci e la Versace, tutte in splendida forma!
La Raffaeli, mima tutto della Belen, e porta in scena uno spettacolo tra battute, ironie e presenza scenica. Un abito da suora che si trasforma in pochi istanti in miniabito, tanto da mostrare le straordinarie gambe della Raffaeli, che nulla hanno a che invidiare a quelle della vera Belen. E poi la battuta sul “paparazzo a mano”, per non restare mai senza gossip.
I valletti ormai fanno i loro ingressi programmati, lei, Madelina sfoggia abiti sempre più belli, Garko prova a sciogliersi, ma ormai il gioco è fatto e non ci si aspettano certo explois, per la serata finale, in programma per questa sera.
Tra gli ospiti della serata Rocco Papaleo e Alessandro Gassman, che utilizzano il palco di Sanremo per pubblicizzare il loro film “Onda su onda” nelle sale dal 18 febbraio, e poi ancora Enrico Brignano ed Elisa che torna a Sanremo dopo 15 lunghi anni, da quella vittoria con “Luce”.
Una serata come si dice “di mezzo”, che traghetta aspettative e verdetti, nella serata finale di questa sera, nella quale si decreterà la canzone vincitrice della 66esima edizione del Festival di Sanremo, sempre così discusso, ma sempre così tanto amato.
E allora non resta che attendere il verdetto…e che vinca il migliore.
Perché Sanremo è Sanremo…pararà.
Simona Stammelluti

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Sanremo – Una serata imbastita sulle cover, sui ricordi, sulle emozioni che vengono dal passato, da artisti che prestano i loro successi per abbellire e dare un senso alla terza serata del Festival di Sanremo, che ha visto i cantanti in gara, eseguire delle cover, riarrangiate per l’occasione.
Le canzoni sono tante, e tutte con un corredo musicale legato all’epoca, alle capacità canore di chi quei pezzi li ha portati al successo, ripercorse attraverso le interpretazioni dei big, che hanno scelto in maniera non sempre vincente.
Ma di vincente, ieri sera, ci sono state un bel po’ di cose, ad incominciare dal pezzo che ha vinto la serata dedicate alle cover, che è stato proprio “La sera dei miracoli”, del grande Lucio Dalla, uscita in scaletta per ultima, nella performance degli Stadio, e nella voce di un emozionatissimo Gaetano Curreri, che ci ha messo tutto il fiato che aveva in gola e che l’ha cantata come se fosse una necessità e non solo un omaggio al grande cantautore. E sul palco, anche il grande Ricky Portera.
Vince, dunque, un pezzo bello cantato bene, cosa che non può certo dire per molte delle esibizioni avvenute durante quella che è stata una serata ricca di momenti degni di nota, valletti a parte.
Ottimi arrangiamenti per il pezzo “Dedicato”, eseguito da Noemi, e straordinario arrangiamento fiati per la storica “Don Raffaè” di De Andrè cantata bene, oltre ogni pronostico, da un giovanissimo Clementino che ha sorpreso tutti, in sala stampa.
Si riscatta da una performance sottotono, la giovane Francesca Michielin che con “Il mio canto libero” (in)canta e canta, come se fosse in un particolare stato di grazia, come se ci fosse per davvero un senso di libertà in quella sua voce, proveniente da un corpo immobile davanti al microfono.
L’originalità di Elio e le Storie tese, rompe ogni argine, mettendo le parole alla V di Beehtoven, facendo ciò che nessuno aveva mai osato fare, ed è successo a scena aperto.
Tante le stonature durante la terza serata del Festival, da Neffa in “O Sarracino, o ancora Morgan ne “La lontananza”, che malgrado il suo cantare, sfoggia un arrangiamento degno di nota.
Lorenzo Fragola prova, fallendo, di rispolverare “La donna cannone”, come se fosse seduto in un bar, ed invece al pubblico in platea e ai milioni di telespettatori a casa, fa storcere il naso, perché proprio non è un pezzo nelle sue corde.
Rocco Hunt, frizzantino in “Tu vo fa l’americano”, Patty Pravo canta se stessa con “Tutt’al più”, Arisa sempre impeccabile ma non convincente con “Cuore”, che fu di Rita Pavone, Valeri Scanu propone anche lui Battisti, ma senza pathos, un insolito Enrico Ruggeri che canta “A canzuncella”, bene Irene Fornaciari con “Se perdo anche te”, Zero Assoluto e Dear Jack, mi verrebbe da dire “non classificati”.
Degni di nota il siciliano Giovanni Caccamo con Deborah Iurato che hanno eseguito a due voce “Amore senza fine” di Pino Daniele, ed una ottima performance di Annalisa in “America”.
Vincono gli Stadio, meritatamente, con un bel pezzo eseguito in maniera incisiva ed emozionante. Ma vince anche l’emozione che si respira all’Ariston nella reunion dei Pooh, che festeggiano 50 anni di carriera su quel palco, tutti insieme, anche con Riccardo Fogli, che si emoziona e piange in chiusura di performance, stringendo la mano a Roby Facchinetti che non avrà più l’estensione di un tempo, ma resta una voce storica ed indimenticabile.
Le emozioni sono tante, il pubblico in sala si lascia andare, cantando, ed anche i 40enni, si agitano come adolescenti al primo concerto. E poi quel messaggio giunto ad una corista, da chi lavora in un ospedale e che ringrazia i Pooh per aver dato ai malati un momento di serenità e di felicità.
Un piccolo inconveniente con le votazioni in sala stampa, circa le esibizioni delle giovani proposte, ribalta i risultati e mette leggermente in crisi Carlo Conti che si impapera un po’ per poi tornare la macchina da guerra di sempre.
Tra le nuove proposte dunque, passa Francesco Gabbani.
La vera punta di diamante di questa edizione del Festival di Sanremo resta Virginia Raffaele, che anche nella terza serata sfoggia un personaggio perfetto, in movenze e contenuti. Ieri sera è stata la volta di Donatella Versace, che avrà scoperto di avere una sosia forse ancor più simpatica di se. La Raffaele tiene incollati tutti allo schermo mentre in sala si ride e si applaude, come non mai.
Gli applausi sono anche per la simpatica e spigliata Nicole Orlando, la campionessa italiana con la sindrome di down, che ieri sera è riuscita a ridimensionare Garko, dicendogli che per la sua mamma lui “non è proprio un granché”.
Una serata senza tempi morti, con emozioni sulla soglia degli occhi per più di qualcuno, e con la consapevolezza che la musica resta sempre il mezzo migliore, anche per fare spettacolo.
Simona Stammelluti

Sanremo – Sarà sicuramente un’edizione del Festival che non faticherà ad essere ricordata, dopo la straordinaria, umana e commovente presenza sul famoso palco dell’Ariston, del maestro Ezio Bossio, virtuoso del piano, affetto da Sla che ha emozionato fino alle lacrime tutti coloro che hanno avuto l’onore di essere al suo cospetto ieri sera, durante la seconda serata del kermesse canora.
Che si fosse stati in teatro, o a casa, in quei minuti nel quale Ezio Bosso ha parlato e poi suonato, si è spento ogni riflettore, e si è acceso un incredibile dialogo emotivo tra la sua travolgente umanità e i punti deboli di chi lo ha ascoltato, in religioso silenzio, lasciando che le lacrime uscissero senza timore, così come è stato anche per la violinista dell’orchestra.
Quella sua disarmante, straordinaria normalità, nella impercettibile disabilità, è stata una vera e propria lezione di vita, proprio in un momento nel quale si sembra essere tutti vittime “consapevoli” di un egocentrismo che non lascia più scampo a nessun tipo di riflessione condivisa.
“Eppure la musica, come la vita, si può fare in un modo solo: insieme” – queste le parole di concedo del maestro Bosso, dopo la sua esibizione, mentre nelle orecchie di tutti rieccheggiano quelle del suo discorso a cuore aperto, senza barriere, senza difese, nel quale ha raccontato come la vita dell’uomo non sia un filo diritto, ma simile a “12 stanze” (titolo anche di un suo lavoro discografico) dove l’ultima, la dodicesima, non è da considerare la fine, ma un nuovo inizio, un nuovo punto di partenza, dal quale si può ricordare ciò che è stato e quindi si è finalmente pronti a ricominciare.
E poi ancora quella sua riflessione sul “perdere qualcosa” e “perdersi”. Perché “perdere”, inteso come smarrire – dice Ezio Bosso – “non è una cosa brutta, perché c’è chi perde il pregiudizio, per esempio, o l’egoismo”. E perdersi, invece significa avere una nuova opportunità per ricominciare. Ecco, il simbolo del suo parlare, la rinascita, la capacità di non arrendersi agli eventi, ma di riappropriarsi della vita e del futuro.
E la riflessione più bella arriva proprio riguardo alla musica, che lui definisce “magica” e sorridendo racconta che è proprio per quello, che i direttori d’orchestra hanno la “bacchetta”.
Non semplice dunque, raccontare la seconda puntata del Festival di Sanremo, se non in virtù di questo ospite straordinario in talento ed umanità.
In gara ieri sera si è notata l’estensione e la perfetta intonazione di Annalisa Scarrone, con la sua “diluvio universale”, Patty Pravo, che malgrado la sua età e qualche stonatura ha retto una performance che ha lasciato a desiderare, cantanto “cieli immensi”, e poi ancora Valerio Scanu, Clementino con “quando sono lontano”, un pezzo rap che narra di rapporti, Neffa “tra sogni e nostalgia”, che sbaglia l’originalità e prende anche qualche stecca, gli Zero Assoluto “di te e di me”, che non lasciano nessun segno del loro passaggio, né sul pubblico né sulla giuria. E poi ancora Alessio Bernabei che dopo aver lasciato il gruppo Dear Jack, prova un percorso da solista che però non lo premia, considerato che la sua performance non è che appena sufficiente. La canzone di Francesca Michelin, noiosa ed incerta, non regge la sua notorietà in rete, mentre Dolcenera – a rischio eliminazione – racconta un pezzo sofisticato, da lei scritto “ora o mai più”, che non viene apprezzato al meglio.
Come al solito quando è a Sanremo, mette tutti d’accordo l’esibizione di Elio e Le storie Tese, attesi e applauditi, soprattutto per l’originalità. “Vincere l’odio”, è il pezzo che in maniera assai originale riassume 5 pezzi in un’unica partitura, estremamente musicale, e con citazioni di pezzi famosi proprio di Sanremo. Allegria e bravura, nella performance.
A rischio eliminazione dunque, insieme a Dolcenera, gli Zero Assoluto, Neffa e Alessio Bernabei. Ma è stata anche la serata delle nuove proposte. Sfida a due, passano Chiara Dello Jacovo e Ermal Meta.
Vallette e valletti fanno il loro compitino a casa, Madelina sfoggia abiti meravigliosi, Garko sembra sempre come se non avesse mai fatto nulla in vita sua se non piacere a un discreto numero di donne, mentre la bravissima Virginia Raffaele, si destreggia simpaticamente nei panni di una Carla Fracci sagace e glamour.
Torna sul palco dell’Ariston Eros Ramazzotti che come la Pausini nella prima serata, racconta la sua carriera ripercorrendo quelli che sono stati i suoi successi, partiti proprio da quel fortunatissimo palcoscenico e poi, chiacchierando con Conti, parla di figli, della loro capacità di “fare famiglia”, qualunque colore abbia, la famiglia, e poi racconta del delicato ruolo del genitore nel sostenerli ed accompagnarli affinché non si smarriscano.
E’ sembrata banale e senza nulla da ricordare, la presenza in finale di serata della super attrice Nicole Kidman, che a parte raccontare che suo marito le fa trovare fiori freschi e bigliettino in ogni albergo e che sua madre ha acquistato tutti i francobolli con la sua faccia, poco è rimasto di quella donna sicuramente elegantissima, emblema di raffinatezza, ma che – a mio avviso – poteva anche restare a casa.
Subito dopo mezzanotte sul palco dell’Ariston arriva Nino Frassica, che dopo un simpatico duetto di risposte a medesima domanda con Garko, si esibisce in una interpretazione  inedita di un pezzo “a mare si gioca”, scritta dal grande maestro Tony Canto, che sul palco ieri sera ha anche  suonato la chitarra. Il tema del pezzo, la crudeltà della vita dei migranti sul mare, per raggiungere la salvezza, e quello, non è un gioco.
Grande merito, anche nella seconda serata, va alla grande orchestra della Rai, i cui elementi restano la colonna portante di una kermesse inossidabile.
Simona Stammelluti

SANREMO – Come tutti gli anni, si divide in due l’Italia tra chi ama e chi odia la più famosa kermesse canora giunta alla sua 66esima edizione, eppure i dati parlano sempre di milioni di telespettatori per ogni serata, incollati alla Tv.

La conduzione, che spetta anche per quest’anno a Carlo Conti è stata snella, ogni cosa è sembrata al proprio posto, anche se il susseguirsi delle canzoni dei 10 big in gara, non ha certo entusiasmato appassionati e critica.

Valletti, vallette, gag e superospiti hanno cadenzato la prima serata del festival di Sanremo e come sempre hanno suscitato i commenti e le opinioni di tutti.

Un attacco di serata emozionante sulle note di “Starman”, omaggio al grande David Bowie  da poco scomparso, che poi ha lasciato il posto a momenti nella serata non particolarmente entusiasmanti.

Carlo Conti era accompagnato nella conduzione da Gabriel Garko, che è sembrato impacciato e sottotono, da Madalina Ghenea e dalla brava Virginia Raffaele, ma l’attenzione era tutta per i superospiti. Una Laura Pausini emozionatissima, che ha ripercorso, cantando, tutta la sua carriera da quella sua prima vittoria proprio al Festival di Sanremo all’età di 18 anni, dove torna dopo essere divenuta una star in tutto il mondo. Le gag di Aldo, Giovanni e Giacomo, come sempre hanno riempito tempo e spazio con la giusta ilarità. L’imitatrice Virginia Raffaele, bravissima nei panni della Ferilli, che prende in giro la Bellucci.

Ma è sul finale di puntata intorno alle 23,30 che Sir Elton John fa il suo ingresso sul palco, con occhialetti scuri, seduto al pianoforte e quando intona “Your song” sembra non esistere più nulla se non quella voce e quel pathos che non temono il tempo. E poi quella sua sottile provocazione sul suo ruolo di padre.

Poco prima di mezzanotte fa ingresso sul palco dell’Ariston Maitre Gims, artista franco-congolese, che ha regalato alla platea e al pubblico a casa il suo ultimo successo “Est-ce que tu m’aimes”, premiato ieri sera con il disco di Platino.

Ma senza voler togliere nulla a tutto il contorno, le vere protagoniste del festival di Sanremo restano le canzoni ed i loro interpreti, alcuni dei quali ieri sera hanno lasciato molto a desiderare.

Tra i 10 big, spiccano il cantante siciliano, di Modica, Giovanni Caccamo che con il suo brano “Via da qui”, cantato molto bene insieme a Deborah Iurato, ha ricordato il vecchio cantautorato, con un pezzo romantico, con un ritornello orecchiabile, tipicamente sanremese, eseguito con un’ottima estensione vocale, che si pone nella rosa dei probabili vincitori.

L’attenzione si ferma come sempre quando lei c’è, su una superintonatissima Arisa, che ha lasciato a desiderare solo in fatto di look, ma che come sempre, da quel palco, riesce non solo a regalare una impeccabile performance in intonazione e capacità vocale, ma imbastisce testo e musica, come se avesse ormai capito come giocarsi la carta “Sanremo”. La sua “Guardando il cielo”, promette già di diventare tormentone, che nel suo caso, si trasforma in gradevolezza assoluta.

Non in ultimo sotto l’attenzione di chi utilizzerà il televoto per dire la propria e lasciare una preferenza, gli Stadio, per la quinta volta sul palco dell’Ariston, che vanta un Gaetano Curreri che non pensa alle classifiche ma a dare spazio ad una bella canzone, che quando arriva, va regalata. Il titolo del pezzo, “Un giorno mi dirai”, che parla di un rapporto tra padre e figlia, e che lascia senza dubbio un segno, malgrado i problemi di monitor avuti dal cantante, o qualche acuto non messo al posto giusto.

Difficile non sottolineare la scarsa performance di Morgan dei Blu Vertigo a rischio eliminazioni insieme a Irene Fornaciari, Noemi e Dear Jack.

I giovani Fragola e Hunt, passano insieme a Enrico Ruggieri, Stadio, Arisa, e Giovanni Caccamo, che senza dubbio farà parlare ancora di se.

SANREMO – Come tutti gli anni, si divide in due l’Italia tra chi ama e chi odia la più famosa kermesse canora giunta alla sua 66esima edizione, eppure i dati parlano sempre di milioni di telespettatori per ogni serata, incollati alla Tv.
La conduzione, che spetta anche per quest’anno a Carlo Conti è stata snella, ogni cosa è sembrata al proprio posto, anche se il susseguirsi delle canzoni dei 10 big in gara, non ha certo entusiasmato appassionati e critica.
Valletti, vallette, gag e superospiti hanno cadenzato la prima serata del festival di Sanremo e come sempre hanno suscitato i commenti e le opinioni di tutti.
Un attacco di serata emozionante sulle note di “Starman”, omaggio al grande David Bowie  da poco scomparso, che poi ha lasciato il posto a momenti nella serata non particolarmente entusiasmanti.
Carlo Conti era accompagnato nella conduzione da Gabriel Garko, che è sembrato impacciato e sottotono, da Madalina Ghenea e dalla brava Virginia Raffaele, ma l’attenzione era tutta per i superospiti. Una Laura Pausini emozionatissima, che ha ripercorso, cantando, tutta la sua carriera da quella sua prima vittoria proprio al Festival di Sanremo all’età di 18 anni, dove torna dopo essere divenuta una star in tutto il mondo. Le gag di Aldo, Giovanni e Giacomo, come sempre hanno riempito tempo e spazio con la giusta ilarità. L’imitatrice Virginia Raffaele, bravissima nei panni della Ferilli, che prende in giro la Bellucci.
Ma è sul finale di puntata intorno alle 23,30 che Sir Elton John fa il suo ingresso sul palco, con occhialetti scuri, seduto al pianoforte e quando intona “Your song” sembra non esistere più nulla se non quella voce e quel pathos che non temono il tempo. E poi quella sua sottile provocazione sul suo ruolo di padre.
Poco prima di mezzanotte fa ingresso sul palco dell’Ariston Maitre Gims, artista franco-congolese, che ha regalato alla platea e al pubblico a casa il suo ultimo successo “Est-ce que tu m’aimes”, premiato ieri sera con il disco di Platino.
Ma senza voler togliere nulla a tutto il contorno, le vere protagoniste del festival di Sanremo restano le canzoni ed i loro interpreti, alcuni dei quali ieri sera hanno lasciato molto a desiderare.
Tra i 10 big, spiccano il cantante siciliano, di Modica, Giovanni Caccamo che con il suo brano “Via da qui”, cantato molto bene insieme a Deborah Iurato, ha ricordato il vecchio cantautorato, con un pezzo romantico, con un ritornello orecchiabile, tipicamente sanremese, eseguito con un’ottima estensione vocale, che si pone nella rosa dei probabili vincitori.
L’attenzione si ferma come sempre quando lei c’è, su una superintonatissima Arisa, che ha lasciato a desiderare solo in fatto di look, ma che come sempre, da quel palco, riesce non solo a regalare una impeccabile performance in intonazione e capacità vocale, ma imbastisce testo e musica, come se avesse ormai capito come giocarsi la carta “Sanremo”. La sua “Guardando il cielo”, promette già di diventare tormentone, che nel suo caso, si trasforma in gradevolezza assoluta.
Non in ultimo sotto l’attenzione di chi utilizzerà il televoto per dire la propria e lasciare una preferenza, gli Stadio, per la quinta volta sul palco dell’Ariston, che vanta un Gaetano Curreri che non pensa alle classifiche ma a dare spazio ad una bella canzone, che quando arriva, va regalata. Il titolo del pezzo, “Un giorno mi dirai”, che parla di un rapporto tra padre e figlia, e che lascia senza dubbio un segno, malgrado i problemi di monitor avuti dal cantante, o qualche acuto non messo al posto giusto.
Difficile non sottolineare la scarsa performance di Morgan dei Blu Vertigo a rischio eliminazioni insieme a Irene Fornaciari, Noemi e Dear Jack.
I giovani Fragola e Hunt, passano insieme a Enrico Ruggieri, Stadio, Arisa, e Giovanni Caccamo, che senza dubbio farà parlare ancora di se.

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Giulio Regeni, 28 anni, che definirlo un’eccellenza è senza dubbio riduttivo. Torna a casa in una bara, dopo aver girato il mondo, dopo aver riscosso con il massimo dei voti il consenso nelle migliori università, morto – come sostengono i detective – per le sue idee.
Quelle idee che spesso muovono i cambiamenti, che sono alla base dei ruoli diplomatici, che cambiano le sorti di un rapporto e che a volte ti conducono alla morte.
Ed intanto l’autopsia sul corpo del ricercatore italiano scomparso in Egitto lo scorso 25 gennaio, ritrovato morto lungo l’Alexandria Desert Road, il 3 febbraio scorso, parla di numerose fratture, rottura della vertebra cervicale, seguita da crisi respiratoria, e poi ancora di segni di abusi o di violenze sessuali subite.
I media egiziani sostengono che Giulio fosse ad una festa, poco prima di sparire. La notizia arriverebbe dalle indagini degli uomini della sicurezza. Ma fino ad ora era emerso che il ragazzo, diretto a quella festa, non vi era mai arrivato.
Ci sarebbe stato il fermo di due persone, attualmente sotto interrogatorio. Nessuna accusa per loro, ma trattenuti per indagini. E’ quanto si apprende dal quotidiano Al Ahram, che dichiara inoltre che si tratterebbe “di un atto criminoso, ma non terroristico”.
Perché è stato ucciso Giulio Regeni? Il parroco che ha ufficiato il suo funerale, parla ai giornalisti dopo aver detto messa e dichiara che “Giulio è stato ucciso per quello in cui credeva”.
La risposta alla domanda sul perché il ricercatore friulano sia stato così barbaramente ucciso, ancora non è certa e si avvicendano solo supposizioni, fatto sta che lo stesso, talentuoso come pochi, che conosceva l’arabo, che parlava benissimo l’inglese ed il francese, scriveva per il Manifesto, utilizzando uno pseudonimo, forse perché per davvero temeva per la sua incolumità.
Almeno questo veniva dichiarato, fino a quando a parlare è stata Paola Deffendi, la mamma di Giulio che ha chiesto ad un amico di famiglia, di diffondere la sua dichiarazione secondo la quale “Giulio voleva collaborare con il Manifesto, ma non fu considerato”. Ha poi continuato dicendo che “il quotidiano ha pubblicato il giorno 5 febbraio un suo articolo usando il suo nome e cognome, nonostante lui, nel proporre il servizio di carattere sindacale dal Cairo, avesse espressamente chiesto che venisse usato lo pseudonimo proprio per motivi di sicurezza”.
Dal quotidiano Il Manifesto hanno spiegato che “l’articolo in questione era in attesa di pubblicazione”. Nel frattempo Giulio Regani quell’articolo – critico nei confronti del governo di Al-Sisi – lo aveva proposto al sito nena-news, agenzia di stampa del Vicino orientre, che l’aveva pubblicato con uno pseudonimo.
Denunciava e scriveva, chiedeva l’anonimato per l’incolumità sua ma anche per difendere le sue fonti e la loro, di incolumità. Sottolineava quando l’Egitto fosse molto indietro riguardo alla libertà di stampa. Scriveva di come i sindacati facessero sentire la propria voce. I suoi articoli erano coraggiosi. Ma il coraggio spesso pone in situazioni di precarietà, perché chi scrive per denunciare veste un ruolo crudele e spesso scomodo.
Il caso di Giulio Regeni resta un giallo. Giulio amava l’Egitto, lì aveva tanti amici, amava quel popolo e verso quel popolo i suoi genitori non nutrono né odio e né rancore. Quei genitori che con estrema compostezza ed umiltà e dignità hanno accolto l’ambasciatore egiziano, giunto a Roma per consegnare loro le condoglianze del paese, nonché la volontà del presidente Al-Sisi, di fare chiarezza sulla morte del loro amato figlio.

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Ormai tutto ruota intorno all’apparire, e al diavolo l’essere, le competenze, le capacità … basta che ci metta in vetrina. E non conosco vetrina migliore della TV. Tutti sostengono di guardarla sempre meno, alcuni a buon dire, considerato il livello mediocre, scadente e approssimativo che la TV da un po’ propina al grande pubblico.

Eppure ogni sera, capita a tutti di fare il famosissimo zapping, quella metodica attraverso la quale si scorrono i canali, senza neanche sapere cosa si cerchi davvero, quando a fine giornata, vorremmo “tutto e niente”, vorremmo un suggerimento, vorremmo qualcuno che dallo schermo ci parlasse, facendoci mettere in discussione anche una serata qualunque, che ci rinfranchi, o ci faccia sorridere, commuovere, riflettere.

E se possiamo accontentarci di un film che non fa al caso nostro, o di un reality che non amiamo, o di un Tg troppo spiccatamente “di parte”, o di un programma di approfondimento “non tanto approfondito”, sicuramente non potremo mai accontentarci di un programma nel quale chi parla, disconosce le regole della grammatica e della dizione, oltre a disconoscere la giusta coniugazione dei verbi … la lingua italiana, per intenderci. O che in una trasmissione cosiddetta “di settore” si sbagliano vocaboli chiave, mandato i più spaesati, letteralmente in confusione.

C’è chi pensa che non valga la competenza, che tanto la gente non si accorga più di nulla, come se fossimo diventati tutti bambocci ignoranti e di basso livello culturale, che non fanno più caso a nulla. Ed invece il pubblico che guarda la TV, come anche quello che legge i quotidiani, sono persone attente, che sanno esprimere un giudizio, che sono in grado di consegnare un suggerimento, che sanno distinguere con competenza cosa sia fatto bene e cosa no, e che sono capaci di decretare un successo, o un insuccesso di un articolo, di un libro, di un “ruolo”.

Ecco arrivati al dunque. Il ruolo. Perché tutti lo vogliono, quel ruolo, e soprattutto tutti pensano di poterlo avere, a volte pretendere, quel ruolo e sono pochi, pochissimi ormai, coloro che si interrogano sulla capacità o meno di ricoprirlo, quel preciso ruolo. Tutti scrittori, tutti artisti, tutti presentatori, tutti “Tutto”, e chi se ne frega se poi il lettore, o lo spettatore si esprime negativamente, tanto l’importante resta “apparire”, con una firma, con un volto, con un dettaglio “quasi mai degno di nota”.

E i titoli di studio, le competenze, le capacità, si trasformano in un ammasso informe di finestre impolverate che non si affacciano più su nulla, se non su un vociare chiassoso di parole dette a vanvera. Lo stesso vale per il talento, quello puro, spesso archiviato, per far posto a quello o quel personaggio, al parente di, o a chi ha più faccia tosta, per fare del “proprio niente” una vera “filosofia di vita”.

Io lo zapping l’ho fatto, ieri. Non lo facevo da un po’. Non lo facevo da un po’ perché presa dalla volontà di scegliere “per davvero”, a cosa dare importanza, senza farmi suggerire nulla da nessuno. Eppure lo ammetto, ho ceduto. Ho ceduto e mi sono imbattuta in una trasmissione di criminologia – argomento così tanto in voga, mentre fioriscono più criminologi che casi da studiare – e va in onda in un orario pre-serale, mentre prepari la cena e mentre ti interroghi su “dove andremo a finire”.

E dalla Tv, che guardavo da lontano, mi giungevano frasi che recitavano così:

-“Qualche cenno di ciò che ti occupi”

– “Casi di cronaca che conoscete oppure ancora no”

– “Scienze politiche, attinenti alla criminologia”

– “Rappresentare un’attenzione”

– “Fenomeno nuovo, la criminilogia”.

Ma sì, che importa.

Tanto basta l’apparire.

Simona Stammelluti

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Ormai tutto ruota intorno all’apparire, e al diavolo l’essere, le competenze, le capacità … basta che ci metta in vetrina. E non conosco vetrina migliore della TV. Tutti sostengono di guardarla sempre meno, alcuni a buon dire, considerato il livello mediocre, scadente e approssimativo che la TV da un po’ propina al grande pubblico.
Eppure ogni sera, capita a tutti di fare il famosissimo zapping, quella metodica attraverso la quale si scorrono i canali, senza neanche sapere cosa si cerchi davvero, quando a fine giornata, vorremmo “tutto e niente”, vorremmo un suggerimento, vorremmo qualcuno che dallo schermo ci parlasse, facendoci mettere in discussione anche una serata qualunque, che ci rinfranchi, o ci faccia sorridere, commuovere, riflettere.
E se possiamo accontentarci di un film che non fa al caso nostro, o di un reality che non amiamo, o di un Tg troppo spiccatamente “di parte”, o di un programma di approfondimento “non tanto approfondito”, sicuramente non potremo mai accontentarci di un programma nel quale chi parla, disconosce le regole della grammatica e della dizione, oltre a disconoscere la giusta coniugazione dei verbi … la lingua italiana, per intenderci. O che in una trasmissione cosiddetta “di settore” si sbagliano vocaboli chiave, mandato i più spaesati, letteralmente in confusione.
C’è chi pensa che non valga la competenza, che tanto la gente non si accorga più di nulla, come se fossimo diventati tutti bambocci ignoranti e di basso livello culturale, che non fanno più caso a nulla. Ed invece il pubblico che guarda la TV, come anche quello che legge i quotidiani, sono persone attente, che sanno esprimere un giudizio, che sono in grado di consegnare un suggerimento, che sanno distinguere con competenza cosa sia fatto bene e cosa no, e che sono capaci di decretare un successo, o un insuccesso di un articolo, di un libro, di un “ruolo”.
Ecco arrivati al dunque. Il ruolo. Perché tutti lo vogliono, quel ruolo, e soprattutto tutti pensano di poterlo avere, a volte pretendere, quel ruolo e sono pochi, pochissimi ormai, coloro che si interrogano sulla capacità o meno di ricoprirlo, quel preciso ruolo. Tutti scrittori, tutti artisti, tutti presentatori, tutti “Tutto”, e chi se ne frega se poi il lettore, o lo spettatore si esprime negativamente, tanto l’importante resta “apparire”, con una firma, con un volto, con un dettaglio “quasi mai degno di nota”.
E i titoli di studio, le competenze, le capacità, si trasformano in un ammasso informe di finestre impolverate che non si affacciano più su nulla, se non su un vociare chiassoso di parole dette a vanvera. Lo stesso vale per il talento, quello puro, spesso archiviato, per far posto a quello o quel personaggio, al parente di, o a chi ha più faccia tosta, per fare del “proprio niente” una vera “filosofia di vita”.
Io lo zapping l’ho fatto, ieri. Non lo facevo da un po’. Non lo facevo da un po’ perché presa dalla volontà di scegliere “per davvero”, a cosa dare importanza, senza farmi suggerire nulla da nessuno. Eppure lo ammetto, ho ceduto. Ho ceduto e mi sono imbattuta in una trasmissione di criminologia – argomento così tanto in voga, mentre fioriscono più criminologi che casi da studiare – e va in onda in un orario pre-serale, mentre prepari la cena e mentre ti interroghi su “dove andremo a finire”.
E dalla Tv, che guardavo da lontano, mi giungevano frasi che recitavano così:
-“Qualche cenno di ciò che ti occupi”
– “Casi di cronaca che conoscete oppure ancora no”
– “Scienze politiche, attinenti alla criminologia”
– “Rappresentare un’attenzione”
– “Fenomeno nuovo, la criminilogia”.
Ma sì, che importa.
Tanto basta l’apparire.
Simona Stammelluti